Il punto sul Covid in Germania secondo Stefano Gaburro

Il biologo molecolare Stefano Gaburro ci aggiorna sulla situazione Covid in Germania, con un focus particolare su vaccini e varianti.

Secondo l’ultimo report del Robert Koch Institut (RKI), la Germania è da considerarsi ancora una zona ad alto rischio per la salute. Rimane infatti elevato il numero di trasmissioni del virus Covid-19 nella popolazione. Ieri si sono registrati 7.676 nuovi casi e 145 morti causa Covid in tutta la nazione. Continuano anche i ricoveri, che ieri sono stati 5.500 in tutto. L’incidenza su sette giorni è attualmente di 60 casi per 100.000 abitanti (56 a Berlino). Sul fronte delle vaccinazioni, sono 3.179.290 le persone che hanno ricevuto almeno la prima dose. Nel frattempo continua la preoccupazione per le nuove varianti, in particolare per quella inglese. A rispondere ai dubbi sul vaccino e sulle mutazioni del virus è Stefano Gaburro, biologo molecolare residente a Berlino. Egli ricopre la carica di direttore scientifico per Tecniplast, azienda di apparecchiature per stabulario e animali da laboratorio, ed è inserito nel network di virologia ed epidemiologia in Germania.

Quante mutazioni del virus si sono registrate in Germania? E quanto hanno inciso sui nuovi contagi?

«Ci sono la variante inglese, chiamata B 1.1.7, e la variante sudafricana B.1.351. La variante inglese, come testimonia uno studio di Oxford, di sicuro si propaga velocemente ed è più presente sul territorio tedesco. Per quel che riguarda il resto d’Europa, sappiamo che in Danimarca un quarto dei testati ne è affetto, mentre in Italia il 17%. In Germania, il numero di persone che ha contratto la variante inglese si attesta intorno al 22%. Essendo tale valore di infezioni per 100.000 abitanti riconducibile a quello del 10 ottobre (circa 60 persone su 100.000 abitanti), si spera che, limitando gli ingressi dall’estero e diminuendo ancora gli spostamenti, si riesca ad evitare l’espansione della variante più contagiosa. Secondo Wieler, capo del RKI, il numero di infetti non decresce più ma è stagnante. I focolai della variante inglese sono stati identificati a Düsseldorf (40% degli infetti da Coronavirus) e nel nord della Baviera. A Monaco, intanto, il numero di casi da variante inglese raddoppia di settimana in settimana».

Le varianti sono più pericolose per la salute rispetto al virus “originale”?

«Gli studi svolti in Sudafrica e a Oxford non sembrano dimostrare una differenza nei sintomi. Semplicemente, infettando più persone c’è più possibilità che molte di più finiscano in ospedale. Anche se non è stato scientificamente validato, sembrerebbe tuttavia che la variante inglese comporti meno perdita del gusto e che sia più simile ad una influenza. La mortalità elevata, come aveva detto Boris Johnson, non è stata scientificamente validata ad oggi. Un nuovo studio di Harvard sembra dimostrare che la variante inglese non sia più infettiva quando duri di più la durata dell’infezione. Quindi in teoria una persona potrebbe uscire ma essere ancora in grado di infettare. Se questo fosse vero, una persona dovrebbe rimanere in isolamento più a lungo rispetto ai 10 giorni suggeriti per la variante originaria».

Anche alla luce delle nuove varianti, esiste un vaccino più efficace di un altro?

«Uno studio sui vaccini effettuato in Israele dimostra che, su 500.000 pazienti che hanno ricevuto il vaccino Pfizer-BioNTech, solo 544 (0.01%) si sono ammalati di Coronavirus. Di questi, solamente 4 si trovano in terapia intensiva. Uno studio recente sembra indicare inoltre che i vaccini Moderna e Pfizer BioNTech proteggono contro le varianti B117 e sudafricana. Il vaccino AstraZeneca invece non è efficace contro la variante sudafricana, tanto che il Sudafrica ha smesso di somministrare questo vaccino. AstraZeneca pare protegga solo nel 22% dei casi contro la variante sudafricana, ma gli studi non sono conclusivi. Di sicuro previene casi di ospedalizzazioni seri e riduce il numero di morti da Covid-19. L’appeal per il vaccino AstraZeneca deriva dal fatto che il vaccino può essere tenuto in frigo e quindi eseguito dai medici di base, portando ad una velocizzazione del processo di immunizzazione di gregge. Ricordiamo che quest’ultimo altro non è che il fenomeno o processo per cui una popolazione, per la maggior parte, riesce a resistere all’attacco dell’infezione. Moderna e Pfizer cominceranno a breve (tra circa un mese) anche i test su bambini dai 12 anni in su. I risultati però avranno bisogno di mesi».

I vaccini sono sicuri se dati a soggetti che soffrono di allergie?

«Ai soggetti molto allergici i primi due vaccini non sono da consigliare, poiché in circa una persona su 100.000 potrebbero provocare uno shock anafilattico. Ciò avviene soprattutto per via di un nuovo componente usato, chiamato glicole polietilenico (Macrogol), che, insieme ad altri componenti, protegge l’mRNA e si trova anche in cosmetici e in altri prodotti di uso comune. Alcune reazioni per l’attivazione del sistema immunitario possono essere simili all’influenza, comportando quindi mal di testa, senso di freddo e dolori articolari».

Quanto può durare l’immunità dopo aver ricevuto il vaccino?

«Non si sa ancora. Le prognosi dicono che molto probabilmente sarà una vaccinazione annuale. Sulla base delle ricerche sulla variante di Wuhan e da uno studio pubblicato di recente, sembra che l’immunità duri 9-12 mesi. I casi di reinfezioni sono stati pochi e non si sa veramente se si trattasse di un’infezione o semplicemente del fatto che il virus non fosse misurabile, ovvero sotto soglia. Non si sa ancora se ci si può reinfettare con le nuove varianti. Per quel che riguarda l’immunità di gregge, invece, secondi i nuovi calcoli per raggiungerla occorre che circa l’80% delle persone siano vaccinate o abbiano avuto il Covid (per adesso il 3% della popolazione). Si vorrebbe raggiungere questo risultato per l’autunno. I dati sulla campagna di vaccinazione in Germania sono resi disponibili da varie sorgenti, ma i numeri variano fra i vari Länder».

Cosa pensa delle attuali restrizioni?

Occorre considerare che tutto cambia con la variante inglese, perché l’R con T è calcolato per la maggior parte sulla base della variante di Wuhan. Per quanto concerne le scuole, uno studio recentissimo svedese dimostra che queste, soprattutto se per bambini sotto i 10 anni, non sono causa di infezione tanto per i genitori quanto per i maestri. Visto che la variante inglese infetta molto di più i bambini rispetto alla variante Wuhan, è difficile esprimersi al riguardo. In generale, secondo una nuova statistica pubblicata da Ulf Dennler (Università di Ulm), che tiene conto dell’infettività della variante inglese (50-80% in più), si assume che, se si aprisse tutto, un altro lockdown sarebbe inevitabile. A livello di contagi su 100.000 persone, adesso siamo come ad ottobre 2020. Dai modelli si prevede che una riapertura totale verso metà aprile comporterebbe tante ospedalizzazioni quante a gennaio e lo stesso numero di posti letto occupati in terapia intensiva. Solo le condizioni ambientali, come l’incremento dei raggi UV deleteri per il virus, e il rispetto delle regole influenzeranno questo andamento. Abbassando l’obiettivo da 50 a 35 casi ogni 100.00 abitanti, Merkel vuole probabilmente evitare un nuovo lockdown».

È vero che la vitamina D riesce a evitare un decorso grave della malattia nelle persone più anziane?

«Una carenza di vitamina D sembra essere associata ai casi più gravi. Visto che l’80% delle persone, soprattutto nei ricoveri, è poco esposta alla luce solare (solamente circa per un’ora al giorno), questa presenta poca vitamina D. L’RKI suggerisce di farsi testare ed eventualmente di farsi consigliare la dose necessaria. Lo zinco, inoltre, sembra aiutare il sistema immunitario nella risposta al Covid-19».

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Immagine di copertina: virus – ©Pixabay / CC0