Dalla pignoleria negli studi alla gestione delle informazioni, perché mi fido di come la Germania sta gestendo la crisi

Perché, nonostante non sia forse perfetta, la strategia tedesca contro il Coronavirus può essere vista come coerente e ben coordinata

Mentre si cercano vaccini e medicamenti validi, i tedeschi stanno impegnando moltissime risorse nel capire la propagazione del virus. Al momento ci sono due studi molto interessanti e hanno il gusto di un’avvincente, per quanto tragica, trama da polizieschi.

Il primo è quello svolto presso l’azienda Webasto vicino Monaco, quella del paziente europeo 0, ovvero una donna cinese che aveva visitato la settimana prima i suoi genitori a Wuhan e che poi ha fatto un viaggio di lavoro in Baviera. I sintomi li ha manifestati solo sul volo di ritorno in Cina, ma aveva già contagiato il collega tedesco – il paziente 1 – che le sedeva accanto in una riunione. In totale alla fine saranno 16 i contagiati della Webasto, ma come si è arrivati a quel numero?

Gli epidemiologi tedeschi hanno sottoposto gli infetti a decine di interviste e test. Sono riusciti facilmente a capire la propagazione dai pazienti 0 a 4 e da 5 a 16, ma mancava il collegamento tra 4 e 5. Fino a pochi giorni fa si pensava che tutti i contagi fossero avvenuti solo dopo una prolungata vicinanza tra un infetto e uno non, avvalorando quindi la teoria che si debba essere a lungo esposti al virus (cosa più facile in luoghi chiusi dove circola poca aria), ma tra il 4 e il 5 non sembrava esserci stata una situazione analoga finché all’ennesimo “interrogatorio” gli intervistatori hanno fatto presente ai due che erano entrambi a mensa il 22 gennaio alla stessa ora, seppur seduti a due tavoli di distanza. A quel punto il 5 si è ricordato di essere andato a prendere il sale da un tavolo vicino. Ecco, così si è preso il virus (tutti i 16 della Webasto sono ora guariti). Lo studio verrà a breve pubblicato sulla rivista The Lancet, ma se ne trova già una sintesi sul New York Times.

L’indagine sul Landkreis Heinsberg

La stessa scrupolosità nello studio del primo focolaio europeo, quello poi arrivato in Italia, è stata poi messa nella comprensione della diffusione del virus nel Landkreis Heinsberg, la “Codogno tedesca”, 1521 contagi e 45 decessi su circa 40mila abitanti. La ragione principale del contagio fu una festa di carnevale a cui ha partecipò il “paziente 0 della zona”. Da lì in poi il virus si è sparso a prima vista a macchia d’olio, ma ora – dopo lo studio – con linee molto definite e ricostruibili. Per scoprirlo da settimane nella zona si è stabilito un gruppo di epidemiologi capitanati da un luminare, Henrick Streeck. Ogni spostamento, ogni persona incontrata o sfiorata, tutto è stato ricostruito grazie a tracciamenti su cellulare, telecamere e interviste. Il risultato è, finora, una conferma di quanto già ho accennato prima: tanto più si sta vicini, a lungo, ad una persona infetta tanto più si rischia di ammalarsi. Non solo: secondo quanto fatto emergere oggi, già una persona su 7 nella zona potrebbe, ha già avuto ed è ora immune al Coronavirus, anche se non ha mai avuto nessun sintomo. L’effettiva mortalità nella zona dovrebbe essere sotto il 2 %, meno della media nazionale.  Alle due indagini sopra descritte bisognerebbe poi citarne un’altra iniziata domenica. A Monaco di Baviera medici e scienziati, accompagnati dalla polizia, stanno chiedendo campioni di sangue di persone selezionate casualmente per capire quante persone siano già immuni.

Germania, dagli investimenti negli studi alla definizione di una strategia

Quanto cito sono studi, dati e teorie non definitivi, ma sono importanti per capire l’approccio tedesco alla situazione generale. Se vi state chiedendo perché si lascia alla gente la possibilità di passeggiare e fare sport è perché si ha la percezione che il contagio in spazi aperti sia difficile e, ad ogni modo, si crede che il virus non possa essere davvero eliminato prima che arrivi un vaccino (ps: il primo potrebbe venire proprio da un’azienda tedesca CureVac che sta iniziando i test sull’uomo). Si sta cercando di rallentarne la diffusione, di far sì che nel frattempo si creino posti in terapia intensiva (dai 28mila di inizio emergenza in poche settimane si dovrebbe arrivare a 50mila). E se qualcuno si ammala, magari in quelle fasce d’età meno a rischio, non è un dramma. Si sta creando una piccola immunità di gregge, non basterà, ma è qualcosa.  Del resto quando la Merkel l’11 marzo disse che si aspettava il contagio tra il 60 e il 70% della popolazione lo intendeva davvero. Non sparava cifre a caso. Anche perché in Germania le parole hanno un peso. Nel frattempo l’economia non si ferma del tutto, anche per non rischiare di morire di fame dopo aver scampato il pericolo del virus. la curva dei contagi è in crescita, ma meno del previsto, anzi si può addirittura dire “sotto controllo”. Jens Spahn, ministro della Sanità, ha dichiarato ieri che si può pensare di allentare le limitazioni, anche se non prima del 20 aprile. Nel frattempo si aiutano il più possibile aziende e freelancer, con qualche pecca, senza dubbio, ma in generale cercando di sostenere non soltanto l’occupazione, ma anche, logicamente, la domanda ed evitare un crollo dei consumi in un momento in cui l’export subirà un grosso contraccolpo dalla crisi economica che subiranno i maggiori mercati stranieri in cui vendono le aziende tedesche.

Le linee guida dell’approccio tedesco.

Puntigliosità, investimenti, realismo e ragionamenti nel medio-lungo periodo, magari è una strategia sbagliata, ma ti fa sentire parte di un sistema coordinato in cui le informazioni sono poche (parlano davvero solo in tre persone, Merkel, Ministro della sanità e capo dell’Istituto di epidemiologia Robert Koch Institut, persino le opposizioni sono sostanzialmente compatte intorno alla Cancelliera), ma chiare così come le limitazioni.

Speriamo che bastino.

Io, ormai berlinese, per quanto conscio di come tutto questo durerà a lungo, sono ottimista.

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