Il dilemma dell’italiano all’estero: restare o tornare? Bisogna essere più razionali dei nostri genitori

Restare all’estero o tornare in Italia per Natale? Chiunque sia espatriato vive in questi giorni questo dubbio

Non c’è una risposta unica, dipende dai giorni a disposizione, dal rischio di doversi fare una quarantena per ogni viaggio, dai collegamenti aerei sempre più scarsi, dall’età e dalla salute dei propri genitori, dalla regione e dalla grandezza della casa di famiglia in cui si andrebbe a stare e, in molti casi, anche e logicamente dai soldi che si possono spendere per adattarsi ad una situazione fuori dalla normalità (con la speranza che questo concetto, normalità, torni all’originale significato a breve).

C’è chi pensa di viaggiare in auto, affittandola se fosse necessario. Molti, la maggior parte di noi, hanno invece già il volo, normalmente di sola andata. Sanno bene che è difficile capire ora quando tornare visto che non si è sicuri neanche di partire. Si dovrà fare la quarantena prima di tornare a lavoro? O basta un tampone? E se sì, dopo quando arriverebbe quel risultato negativo necessario per poter ritornare alla quotidianità? Al datore di lavoro va bene che si faccia home office dall’Italia o, per ragioni di organizzazione interna o di assicurazione, non è minimamente possibile? Vale la pena mentire? E se poi il volo di ritorno viene cancellato?

Sulle regole qui trovate un vademecum preciso su eventuale obbligo di quarantena e tampone prepartenza, ad ogni modo, il rischio maggiore, quello che più frena la decisione di andare, riguarda la possibilità di portare – inconsciamente – il virus ai nostri genitori. Non basta lo scrupolo di farsi il tampone prima di partire. Il virus lo si può prendere durante il viaggio. Farsi il tampone appena arrivati non ha senso, bisogna aspettare almeno qualche giorno, diciamo 5 (questo il termine calcolato ad esempio dai tedeschi). Che fare in quei 5 giorni? Affittare una casa, a meno che non si abbia qualche amico fidato disposto ad ospitarci, è la soluzione più sicura. Fatto il secondo tampone e ricevuto l’esito negativo, ecco che ci si può spostare in casa, bere e mangiare con la nostra famiglia. Il tacito patto però è non vedere nessun altro nel frattempo. Facile a dirsi, meno a farsi. Se si hanno dei genitori separati significa scegliere quale genitore vedere. E questo senza citare il dolore, per carità sopportabile, ma pur sempre dolore, di non potere salutare un’amica/un amico che non si vede da un anno e che sentiamo visceralmente il desiderio di guardare negli occhi. E raccontare, raccontarsi, sorridere.

Fosse per noi non partiremmo, anche se il rischio è di passare quei giorni da soli a casa davanti serie tv niente di che perché quelle belle ormai le abbiamo viste tutte. Ma i nostri genitori sono anziani, non è sicuro che ci sarà un altro Natale da passare assieme. È stato sempre così e lo è ancora di più in un momento di così alta mortalità nella terza età. E allora li chiamiamo, cerchiamo di capire quanto gli dispiacerebbe se non venissimo. Li lasciamo “soli” tutto l’anno, possiamo anche levargli il piacere del Natale? Sono ben consci di essere a rischio, ma pur di averci con noi tentennano, sono pronti a dirci di sì, a mettere a repentaglio la loro vita.

Ed è in questi casi, che nonostante il dolore, forse dobbiamo diventare più razionali di loro. E rassegnarci a un Natale in “videoconferenza”, una parola che forse dal prossimo anno potremo inserire tra i neologismi più fastidiosi della lingue di tutto il mondo.

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