Ho passato una serata al Re:mise

Re:mise, ti ho appena conosciuto e già mi manchi come un vecchio amico

Un amico mio una volta mi disse: “Uscire di sabato è da stupidi”. Sono sempre stato abbastanza d’accordo con questa affermazione, fino ad ora, smentito da un sabato piovoso e un club underground, prossimo alla chiusura.

Il lavoro logistico è stato complesso. Gli spostamenti per la capitale tedesca, ultimamente, risultano molto simili a quelli di Roma: complicati, confusionari, inaffidabili. Riusciamo comunque, io e la mia ragazza, ad arrivare di fronte ai bouncer. Tutto lo staff, gentilissimo, ci accoglie come se ci stesse aspettando. Pagato il biglietto e posate le giacche, entriamo dai bagni e arriviamo alla prima sala: siamo dentro e capisco che il posto ha da offrire molto più di quello che il fuori lascia immaginare.

Il club Re:mise, rispetto all’imminente chiusura che abbiamo raccontato in questo articolo, risponde con un weekend musicale che a Berlino non ha da invidiare nessuno. Ho partecipato alla serata di sabato, Body Language, e le sensazioni sono due: meno male aver partecipato e la tristezza nel capire che il Re:mise, come tutte le cose belle, ha un inizio come una fine.

Il Re:mise si nasconde dietro i container: l’identità sommersa di un club

L’esplorazione del club va fatta prima di perdere lucidità, altrimenti verso le 4/5 del mattino, ti ritrovi a vagare per un luogo che sembra cambiare forma ogni 10 minuti. Per i primi venti minuti, do un’occhiata alle sale, le zone “chill”, i bagni e il bar. Tutti gli spazi, un po’ per necessità spaziale, un po’ per conformazione, tendono ad appiccicare tutti i presenti. Poco spazio di movimento, ma non mi sento particolarmente costretto. La sensazione di spazio “familiare” ti costringe a scioglierti. Non ho sofferto tanto la confusione, data l’utenza poco turistica, ma la carenza di bagno rispetto al numero di persone.

La prima sala, quella sullo stesso piano dell’entrata, si presenta tutta blu, con un pavimento a scacchi e molte travi in ferro. La sala giù, invece, è tutta rossa, con un quadrato di materassi al centro, dove per i più creativi era possibile esibirsi in performance “orizzontali” di ballo. Musicalmente le due sale differiscono poco. Si alternano, ma non si annullano, tant’è che rimbalzavo da una parte all’altra, senza rimpiangerne nessuna.

Le pareti piangono e le casse urlano: la triste e poetica libertà dell’ultimo “valzer”

Quando sai di chiudere è come se combattessi una guerra contro il tempo per non essere dimenticato. Il Re:mise non chiuderà per sempre, si sposterà. Come un felino della giungla urbana berlinese, tagliato un albero, se ne cerca un altro. Il problema è che, tagliando alberi, si trasforma un bosco culturale in un deserto decadente, dove le oasi si trasformano in resort e le comunità culturali diventano nomadi, come beduini delle metropoli, che non cercano più un posto, ma riempiono i vuoti che lascia questa città, facendo festa. Quella festa che fa politica e spaventa sempre tutti.

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Immagine di copertina: Pixabay