Willy Brandt, chi fu il cancelliere a cui è dedicato il nuovo aeroporto di Berlino

Dopo 10 anni dalla data di apertura prevista, entra in funzione il nuovo aeroporto di Berlino intitolato al Cancelliere che ha segnato la storia tedesca del dopoguerra

Nel rigido clima della Guerra Fredda, la figura politica di Willy Brandt è senza dubbio tra quelle che meglio incarnano la speranza di rinnovamento morale. Dapprima sindaco di Berlino Ovest (1957-1966), la sua ascesa politica prosegue nel 1964 con la carica di Presidente del Partito Socialdemocratico (SPD), Ministro degli Esteri (1966-1969) e culmina con l’elezione del 1969 che lo proclama Cancelliere della Repubblica Federale tedesca. La sua Ostpolitik (letteralmente politica orientale) concretizzò l’instaurazione di rapporti diplomatici con i paesi comunisti. Aldilà delle prestigiose nomine conferitegli, ciò che lo colloca in modo decisivo e permanente nella storia tedesca è la Kniefall von Warschau (genuflessione di Varsavia), un gesto tanto semplice quanto significativo che ha suscitato grande ammirazione generale. Oggi Berlino  lo ricorda con un aeroporto intitolato a suo nome, il Flughafen Berlin Brandenburg “Willy Brandt” e con una imponente statua all’interno della sede del Partito Socialdemocratico.

 

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La fuga in Norvegia e il cambio di nome

All’anagrafe Herbert Ernst Karl Frahm, Brandt nacque nel 1913 a Lubecca, da una ragazza madre, che di fatto lo crescerà insieme al nonno, e da padre insegnante che non conoscerà mai. Sin da giovanissimo era chiara la sua traiettoria politica: a soli 16 anni entra nella Gioventù Socialista,  per poi iscriversi nel 1930 all’ SPD. Quando Hitler prese il potere nel gennaio del 1933, il partito venne dichiarato illegale e Frahm fu incaricato di formare una cellula di opposizione a Oslo. Sarà proprio qui, nella capitale norvegese, che il militante socialista Frahm si rifugerà, sotto il nome di Willy Brandt. Alla base di questa scelta, dovuta in primis a motivi di copertura e quindi di sicurezza, c’è anche un discorso d’identità personale.  Nella sua esperienza  nella socialdemocrazia norvegese, con cui lavorerà per 10 anni, aveva trovato un’altra forma di politica, che non era più quella del partito in cui si era iscritto e affermato. Mantenendo il nome di Willy Brandt quindi, è come se riconoscesse a quell’esilio il fatto di aver ritrovato la sua vera identità.

 

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L’opposizione a distanza al Nazismo

La battaglia a favore della democrazia e l’opposizione al nazismo continuarono in Norvegia, dove Brandt collaborò con diversi giornali locali. Nel 1937 venne inviato in Spagna come cronista per raccontare la guerra civile che stava devastando la Penisola Iberica. Intanto il suo nome finì nella lista dei traditori ricercati dalla Gestapo. Il regime nazista lo privò della cittadinanza e Brandt fece richiesta per avere quella norvegese. Nella primavera del 1940, con l’invasione della Norvegia da parte delle truppe tedesche, venne catturato come prigioniero ma non fu riconosciuto a causa dell’uniforme dell’esercito norvegese che indossava. Una volta rilasciato, si rifugiò nella neutrale Svezia, dove rimase fino alla fine della guerra.

Il rientro in Germania e la nuova carriera politica: l’Ostpolitik

Finita la guerra Brandt rientrò stabilmente in Germania ma trovò una nazione completamente diversa da come l’aveva lasciata. Sono le parole di Roberto Rossellini, regista di Germania, anno zero, a esemplificare meglio il senso di vuoto che pervadeva il Paese. Secondo il cineasta, infatti, i berlinesi «Vivono nella tragedia come nel loro elemento naturale». Spinto dalla volontà di cambiamento, nel 1948 Brandt riottiene la cittadinanza e ricominciò a fare politica. L’anno successivo, le continue tensioni tra sovietici e americani portarono alla formazione di due stati indipendenti: Repubblica Federale Tedesca a Ovest e Repubblica Democratica Tedesca ad Est. Nel fulcro centrale della Guerra Fredda, Brandt venne eletto nel ’57 borgomastro di Berlino Ovest. Nel suo discorso inaugurale fece una premessa che era già un programma: il suo obiettivo era quello di rendere più facile la vita degli abitanti della città divisa attraverso accordi tecnici tra le autorità di Berlino Ovest e Berlino Est. Nella notte del 13 Agosto 1961 reticolati e filo spinato, presto sostituiti da un muro alto metri, divisero Berlino per i successivi 28 anni. John Fitzgerard Kennedy elogiò la lotta per la libertà di Berlino Ovest pronunciando il memorabile discorso “Ich bin ein Berliner”, il 26 giugno 1963, ma di fatto l’America non intervenne mai per non incrinare ulteriormente i rapporti con l’Unione Sovietica col rischio di innescare una nuova guerra. Nel febbraio del ’64 Brandt venne eletto presidente dell’ SPD e due anni dopo lasciò la carica di sindaco per essere nominato Ministro degli Esteri e vice Cancelliere. Il 21 ottobre 1969 il Bundestag lo elesse Cancelliere della BRD e nella sua prima dichiarazione pubblica annunciò la sua nuova politica estera: l’Ostpolitik. Obiettivo principale del suo Governo era quello di promuovere il riavvicinamento e la distensione con i paesi orientali soprattutto con l’Unione Sovietica, la Cecoslovacchia e la Polonia con i quali avviò negoziati diplomatici. Ma fu il 7 dicembre 1970,  che tutti i riflettori si rivolsero verso il politico tedesco. Giunto nella capitale polacca per firmare il trattato di Varsavia, Brandt si inginocchiò al Monumento ai caduti del ghetto di Varsavia e fu proprio per questo forte atto di estrema umiltà che l’anno successivo gli venne conferito il Premio Nobel per la Pace.

 

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Lo scandalo di Günter e la reazione di Brandt alla caduta del Muro

Nel ’74 Brandt fu costretto a rassegnare le dimissioni da Cancelliere a causa di uno scandalo che rese nota l’appartenenza del suo segretario Guillaume Günter ai servizi segreti della DDR. Nonostante ciò, mantenne comunque la carica nel Bundestag e negli anni successivi assunse incarichi altrettanto prestigiosi.  Il 10 novembre 1989, il giorno dopo il crollo del Muro prese la parola a Piazza Kennedy e nel suo discorso rivendicò il fatto che «Berlino è finalmente riunificata» e affermò in modo piuttosto lungimirante che da quel momento sarebbe cominciata un’altra avventura per costruire una possibile Europa. «Ora torna a crescere insieme ciò che era nato per crescere insieme». Negli ultimi anni realizzò il suo sogno più grande: è lui nel 1990 ad aprire i lavori del primo Bundestag della Germania riunita. Morì nel 1992, all’età di 78 anni.

Il giornalista italiano Enzo Biagi ci offre una prospettiva più ravvicinata del Cancelliere con un’intervista del 1987 in cui Brandt affermò che: «Tutta la politica può essere anche mandata al diavolo se non ha come scopo lo sforzo di rendere più vivibile la vita del singolo».

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Immagine di copertina: Willy Brandt ©Bundesarchiv_Bild_183-1990-0304-022,_Gera,_SPD-Wahlkundgebung,_Willy_Brandt