«Sono stata tra le prime infermiere berlinesi vaccinate. Vi racconto il “mio” pronto soccorso durante la pandemia»

Come è la vita nel reparto emergenze di un ospedale berlinese? Lo abbiamo chiesto a una gentilissima infermiera cittadina: Isabelle Leppe

Si chiama Isabelle Leppe («Ma a reparto mi chiamato Izzy!»), è nata  a Berlino nel 1992 e, a dicembre, è stata tra le prime infermiere in città a ricevere il vaccino contro il Covid19. Lavora al pronto soccorso dell’ospedale St.Joseph, zona Tempelhof. «Quando fai un lavoro come il nostro, in cui lotti per la salute dei pazienti e spesso ti trovi tra la vita e la morte, è una missione. È sempre dura, ma in questo momento di più». La incontriamo poco fuori dal suo luogo di lavoro. Il nostro obiettivo è capire sia il suo punto di vista sulla situazione sanitaria locale che capire chi e come si diventi infermieri in Germania. «Dopo 10 mesi dall’inizio della pandemia sono più ottimista ma non nascondo che all’inizio il Covid19 ci ha dato una bella scossa e messo in seria difficoltà. Dall’inizio non abbiamo smesso di migliorare la cura del paziente ed ottimizzare il lavoro quotidiano tra colleghi. Il nostro è un lavoro vario, ogni istante arrivano nuove informazioni che devono essere elaborate, situazioni di emergenza e decisioni che devono essere rivalutate e modificate. Siamo fianco a fianco con i pazienti, il che è per lo più positivo, certo le eccezioni ci sono come in tutti i campi però la distanza sta cambiando il nostro approccio. Il vestirsi e lo svestirsi prima e dopo una visita, il modo di comunicare tra noi infermieri, l’interazione con i medici, e ovviamente la comunicazione con i pazienti stessi. Rendere tutte queste particolari attrezzature di sicurezza sanitaria efficaci e protettive per tutti non è semplice».

La gestione della pandemia in un pronto soccorso di Berlino

«È davvero faticoso, da un punto di vista fisico, svolgere i turni. È estenuante portare dispositivi di protezione personale h 24, igenizzarsi continuamente, vivere nella paura di infettarsi o di infettare qualcun’altra. Quando porti una maschera FPP2 per interi turni ti ritrovi con segni ad orecchie, naso e guance, lì dove elastici e bordi della mascherina provocano una pressione maggiore. La mascherina poi va sistemata in continuazione anche per essere certi di averla in modo perfettamente aderente alla pelle e tutto questo sempre con massima attenzione visto e considerato che andrebbe toccata il meno possibile. Questo stato di continua tensione si ripercuote inevitabilmente anche sulla muscolatura superiore: la mandibola, le spalle e anche la schiena. Mi sono ritrovata non poche volte a fine turno con forti mal di testa, e purtroppo non sono l’unica. Sembrano dettagli insignificanti ma proprio tutte queste misure di protezione hanno provocato una riduzione dei nostri spazi . A lavoro ci dimentichiamo spesso di fare pause per bere. Siamo arrivati al punto in cui tra colleghi ci ricordiamo a vicenda di idratarci a sufficienza».

Chi fa i vaccini negli ospedali

«Io sono stata vaccinata dal primario del pronto soccorso. In genere comunque delle vaccinazioni si occupano medici del lavoro e primari di anestesia e medicina d’urgenza dato che secondo le indicazioni ministeriali a svolgere la vaccinazione deve essere un medico. Il vaccino in sé non è stato fastidioso e personalmente non ho avuto problemi di sorta. Nei 2 giorni successivi ho sentito un indolenzimento nella sede dell’iniezione e un piccolo arrossamento e rigonfiamento, ma niente di diverso da tutte le altre vaccinazioni che ho ricevuto. Sinceramente non posso nemmeno definirli come effetti collaterali: è del tutto normale che il nostro organismo reagisca ad una sostanza iniettata. Ho già ricevuto il secondo richiamo la scorsa settimana e non ho avuto nessun tipo di problema nemmeno con la seconda dose».

Vaccino: le politiche di Berlino e del governo tedesco

«Quando sono arrivate le dosi di vaccino la voce si è sparsa in modo molto veloce, io non ero in turno ma sono stata raggiunta da un messaggio tramite una collega di lavoro e sono stata contattata dal responsabile capo reparto. Nonostante fossi nel mio giorno di libertà mi sono subito messa in viaggio per raggiungere l’ospedale. Devo dire che ho avuto fortuna: aver visto il messaggio in tempo mi ha permesso di recarmi velocemente a farmi vaccinare. Io come infermiera in pronto soccorso faccio parte del personale sanitario che ha già avuto lunghi e molteplici contatti con pazienti o colleghi positivi, ovvero persone che hanno corso il rischio più di tutti gli altri di avere contatti inconsapevoli e senza protezioni adeguate con casi di persone infette. Al nostro stesso livello di priorità ci sono gli over 80/85 anni e persone con patologie pregresse e a rischio»

Come si diventa infermieri a Berlino

«Nel 2011, appena ottenuta la maturità, ho cominciato un anno da volontaria in una struttura di riabilitazione per pazienti geriatrici. All’epoca volevo diventare un medico, ma una volta dentro l’ambiente ho notato che la burocrazia e la documentazione delle cartelle cliniche richiedono molto più tempo di quello che si passa al letto del paziente. E così, l’anno dopo,  ho deciso di intraprendere un percorso di formazione da infermiera presso l’ospedale St.Joseph, a Berlino Tempelhof. La formazione è durata tre anni. Nel corso eravamo infermieri specializzati in medicina e chirurgia d’urgenza e quindi abituati ad occuparci del paziente adulto, ma anche infermieri pediatrici che curavano neonati e bambini. I corsi teorici erano gli stessi per tutti, la parte diversa era quella pratica suddivisa a seconda della tipologia di paziente su cui eravamo specializzati.  Ad inizio 2016 sono stata assunta qui all’ospedale St. Joseph e ho cominciato a lavorare in Pronto Soccorso. Appena raggiunto questo traguardo ho svolto il corso per diventare paramedico e mi sono impegnata presso l’ASB, Arbeiter-Samariter-Bund, l’associazione dei lavoratori samaritani, un’organizzazione umanitaria paragonabile alla Croce Rossa ed in cui sono volontaria da 12 anni. Del pronto soccorso e del mio lavoro mi piace soprattutto la grande diversità di quadri clinici e di temi che affrontiamo. Abbiamo casi di medicina interna, pazienti chirurgici o ortopedici, ginecologici e pediatrici. Non c’è un campo che prevarica e in questo modo si resta attivi e allenati in tutto. E poi i colleghi, i migliori che mi sarei potuta scegliere. Dico sempre che avere un team che ti sostiene e ti copre le spalle rende molto più semplice qualsiasi turno».

Il presunto, ma non reale, scetticismo degli infermieri riguardo al vaccino

«Dalle notizie dei telegiornali si sente spesso che personale infermieristico rifiuta di farsi vaccinare. Io non ho esperienze dirette al riguardo: nei nostri reparti siamo stati più che felici di poterci vaccinare. Mi è capitato però di leggere articoli anche di giornali rispettabili dove nel titolo compariva a lettere cubitali come il personale infermieristico si rifiutasse di farsi vaccinare. Andando ad approfondire la lettura e non facendosi influenzare solo dalle prime righe, spesso e volentieri le affermazioni degli infermieri si rivelavano diverse e in realtà ciò che chiedevano era una vaccinazione prioritaria dei pazienti per poterli curare adeguatamente. Sinceramente mi sento di dire che si tratta più di un tipico comportamento del personale sanitario: noi pensiamo alla salute dell’altro e a salvare la vita del prossimo. Solo in seconda battuta si pensa al proprio interesse: ed è quello che dimostriamo rischiando la nostra vita tutti i giorni. Certo, quando è arrivata la notizia del vaccino tra i miei colleghi sono sorte molte domande, tra le altre anche come fosse possibile che in tempi così brevi fosse disponibile un vaccino. Prendendosi però un po’ di tempo per documentarsi e leggendo fonti attendibili ed adeguate, si riesce a capire come è potuto accadere che le industrie farmaceutiche abbiano sviluppato in termini così rapidi questo farmaco. Un grosso tema sono i brevetti e le tempistiche burocratiche. Questa pandemia e l’enorme quantitativo di morti e malati hanno reso possibile velocizzare scadenze  che normalmente avrebbero impiegato molto più tempo. Chi, tra le mie conoscenze, ha deciso di non vaccinarsi o di attendere qualche mese prima di farlo ha valide motivazioni. Sono persone con molteplici ipersensibilità o allergie che necessitano prima di una consulenza di pneumologhi, allergologhi e medici di famiglia. C’è anche, ad esempi, la mia migliore amica. Sta portando una gravidanza a rischio. Le è stato sconsigliato dai medici di non sottoporsi momentaneamente al vaccino. Come dicevo si tratta di tutti casi limite. Il vero problema sono tutti quelli che ancora aspettano la prima dose di vaccino. Sono molti e la produzione non è in grado di tenere i ritmi della richiesta di mercato. Sinceramente conosco molte molte più persone che vorrebbero farsi vaccinare e che ancora non possono rispetto ad antivaccinisti e questo per chi come me ogni giorno si infila la divisa e va a combattere questa pandemia in prima linea è sicuramente un messaggio di grande speranza».

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