«Nata a Savona da genitori in fuga dall’Abania, studio a Berlino l’evoluzione dei tumori sperando di migliorare il futuro di tutti »
Sonia Kertalli, classe 1995, è dottoranda della prestigiosa Berlin School of Integrative Oncology: la sua ricerca potrebbe aiutarci a trovare una soluzione al perché alcuni tumori siano più resistenti di altri alle terapie
«Mio padre è arrivato in Italia nel marzo del 1991 sbarcato a Brindisi con la nave “Iliria” che significa libertà in albanese. Pochi mesi dopo arrivò mia madre. Lui ex ballerino, lei laureanda in ingegneria meccanica – un corso di studi che le fu imposto perché suo padre era un oppositore del governo – finirono in Liguria a lavorare tra alberghi e ristoranti. Il 13 dicembre 1995, a Savona, sono nata io. Il mio primo anno però lo passai in Albania con i nonni. Mi vennero nel 1996 a prendere quando scoppiò la guerra in Kosovo. Qualche anno dopo è nato mio fratello. Lui ora fa il Liceo linguistico, io invece sono dottoranda al BSIO, Berlin School of Integrative Oncology, scuola di dottorato congiunta con lo Charité e altri istituti di ricerca come il Max Delbrück Center. Se sono qui è grazie ai loro sacrifici e alla determinazione che mi hanno passato, soprattutto mia madre a cui L’Università di Genova non ha mai riconosciuto i suoi esami. Voglio riscattare la sua generazione. Non ho mai dovuto lavorare, ho potuto sempre dedicarmi ai libri grazie al loro sostegno e alle borse di studio che ho ottenuto nel corso degli anni. Fin da quando sono piccola dico che il lavoro dei miei sogni è la ricercatrice scientifica. Non so dove all’epoca avessi sentito quelle parole, però ci ho sempre creduto ed ora eccomi qui». Sonia Kertalli svolge un lavoro importantissimo in Germania. Assieme ai suoi colleghi cerca di capire come si diffondano le metastasi e perché siano sempre più aggressive a mano mano che evolvono. Il suo rapporto con la Germania non riguarda solo Berlino: «Ho fatto la Triennale in biotecnologie mediche e farmaceutiche a Genova, ma gli ultimi 6 mesi li ho passati all’università di medicina di Lipsia grazie ad una borsa Erasmus+. Dunque durante il mio Erasmus a Lipsia mi sono messa a preparare l’esame per l’IELTS da sola per avere una certificazione e tramite un portale online ho cercato Master all’estero. Così ho trovato l’offerta per fare un master in Medicina molecolare alla Charité, l’ospedale universitario di Berlino a cui sono affiliate sia la Humboldt che ha la Freie Universität. Mi sono laureata nel 2019, ma mi sono fermata per fare il dottorato. E nel laboratorio di ricerca dove ho scritto la mia tesi magistrale mi sono fermata poi per fare anche il dottorato».
L’importanza dello studio di Sonia a Berlino
«Con i miei colleghi cerchiamo di identificare gli elementi chiave e i meccanismi d’azione delle metastasi, ovvero di quel fenomeno con cui le cellule tumorali si spostano dalla zona in cui si sono formate a un’altra parte del corpo. Le nuove tecnologie stanno permettendo di comprendere meglio la base genetica del cancro, ma capire la discriminazione delle alterazioni genetiche che fanno sviluppare i tumori e li rendono sempre più aggressivi e resistenti alle terapie rimane una grandissima sfida. Le cellule metastatiche si staccano da un tumore primario, viaggiano nel sangue o nei vasi linfatici e formano un nuovo tumore secondario in altri organi o tessuti. Dunque non si ha più un tumore da sconfiggere bensì più di uno e peraltro più aggressivo. In particolare noi ci occupiamo di adenocarcinoma polmonare, uno dei tumori più comuni in occidente. Vogliamo capire i meccanismi molecolari alla base della diffusione del tumore dai polmoni agli organi distali. In particolare noi ci occupiamo di adenocarcinoma polmonare, uno dei tumori più comuni nel mondo occidentale e la morte per questo tumore è spesso causata da metastasi. Siamo interessati a comprendere. I meccanismi molecolari alla base della diffusione del tumore ai polmoni agli organi distali. Al giorno d’oggi le nuove tecnologie di sequenziamento hanno permesso di comprendere meglio la base genetica del cancro ma la discriminazione delle alterazioni genetiche cruciali che guidano i processi di evoluzione del tumore rendendolo sempre più aggressivo e dunque resistente alle terapie disponibili rimane una sfida ancora tanto importante. Tutte queste informazioni consentirebbero sia di identificare, in base alla gravità della patologia, i pazienti ad alto rischio che di progettare terapie su misura».
Perché la Germania e non l’Italia o l’Albania
«»A Lipsia ho avuto la possibilità di poter ultimare la mia tesi effettuando specifici esperimenti e imparando nuove tecniche. In Italia avevo avuto un’eccellente preparazione teorica, ma non avevo avuto la possibilità di poter lavorare in laboratorio senza la paura di sbagliare perché, ad esempio, se avessi sprecato un reagente non ce ne sarebbero stati altri. Non che fosse una colpa dell’Università di Genova, ma la situazione, anno accademico 2016/17 era quella per una tirocinante. È questa sensazione di poter prendere decisioni e crescere sul campo che mi hanno convinto a rimanere in Germania. Qui i tirocini sono pagati, cosa impensabile in Italia e gli investimenti pubblici nella ricerca si basano sia su fondi istituzionali che, grazie alla Deutsche Forschungsgemeinschaft (DFG), Associazione tedesca per la ricerca, al finanziamento di specifici progetti di ricerca scelti s tramite il “peer-review” ovvero una “revisione alla pari” operata da un comitato scientifico che ne valutano contenuti e idoneità. Ad ogni modo non so sarà rimarrò in Germania per sempre. Sono cresciuta fino ai 16 anni in un paesello chiamato Varigotti, un paradiso terrestre. L’Italia è il Paese che mi ha formato dal punto di vista educativo e devo ammettere che noi italiani partiamo con una marcia in più grazie ai nostri esami e alla nostra preparazione accademica, nettamente più forte, ma non sarebbe neanche male iniziare un percorso di ricerca scientifica in Albania, una grande nazione che si sta rialzando e che potrebbe puntare tanto in alto. Conosco molti albanesi, figli di immigrati o immigrati loro stessi, che sentono la mia stessa ambizione. Sarebbe bello concentrarla sul nostro paese d’origine».
Berlino e la propria identità tra Italia e Albania
«Ormai sono tre anni che vivo a Berlino e mi sento come a casa. All’inizio la si può vivere secondo me come “città di porto”, in tanti stanno solo un periodo e poi vanno via, ma a livello lavorativo è una città che offre molto ed è sicura quando torni la sera a casa da sola. Ho un buon livello di tedesco, ma lo sto ancora imparando. Sono cresciuta comunque già bilingue. I miei genitori mi parlavano albanese in casa e italiano fuori. Con il passare degli anni, asilo e scuola, è diventato gradualmente tutto più facile. La responsabilità di fare da tramite tra la mia famiglia e il mondo che mi circondava fuori di casa ha finito con il farmi sentire speciale. La nazionalità l’ho presa dopo tanti anni. Il fatto di essere nata a Savona non contava, ho dovuto aspettare che uno dei miei genitori diventasse italiano, ovvero rispettare il requisito di essere stato residente nello stesso comune per 10 anni, per prenderla anche io grazie allo Ius Sanguinis. Fino a quel momento avevo avuto il permesso di soggiorno. La cittadinanza l’avrei comunque ottenuta a 18 anni, ma fino a quel momento mi trovavo in Italia grazie ad un permesso di soggiorno».
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