Le pensioni in Germania sono più ridicole di quelle italiane

In Germania le pensioni sono peggiori di quelle italiane. Il risultato sociale, però, è identico: si è costretti a lavorare anche in età avanzata

In Germania i lavoratori che vanno in pensione sono sempre meno. Questo perché, a causa del costo della vita, la “cifra” delle pensioni è irrisoria. Parliamo di 1600/1200 euro mensili con 45 anni di contributi e uno stipendio lordo annuale di 43 mila euro (dati del 2023).

É il ministro del lavoro Hubertus Heil, in una recente dichiarazione riportata dal Tagesschau, a dimostrarsi stranamente positivo. Data la diminuzione graduale dell’inflazione, per l’estate le pensioni dovrebbero risalire.

Questa dichiarazione, però, “cozza” con i dati emersi dall’interrogazione parlamentare del partito di sinistra europea Die Linke. Attraverso i dati di Destatis, vengono fuori delle problematiche importanti. Le persone con un più alto livello di istruzione vanno in pensione più tardi e il rapporto tra contribuenti e pensionati cambia rispetto all’età di pensionamento. Ciò vuol dire che, se negli anni 60 il rapporto tra contribuenti (chi lavora e paga i contributi per pagare le pensioni) e pensionati era di 6 a 1, nel 2030 si prevede che il numero di contribuenti diminuisca ad 1 e mezzo per pensionato. Vale a dire che, più o meno un dipendente pagherà una pensione.

In Italia, è presto detto, questa previsione è per il 2050, ma il trend è grossomodo lo stesso. Un contribuente paga la rispettiva pensione di un solo pensionato, creando così una grossa sproporzione tra chi ha usufruito delle baby pensioni o del pensionamento anticipato e chi, adesso, non vede prospettive pensionistiche neanche se dovesse parlarne per fare ironia.

Il sistema delle pensioni tedesco è la “lucetta rossa” lampeggiante che segnala un problema più grande

In Germania il rispetto del lavoro è evidente. Questo perché vige una politica del lavoro che garantisce molto i lavoratori ma, a quanto pare, non garantisce chi non è, per l’età, più in grado di farlo.

Con l’aumento dell’aspettativa di vita, è cresciuta anche l’età pensionabile, che si aggira più o meno intorno ai 67 anni. Il problema, però, è che i tedeschi avanti con l’età, preferiscono lavorare ancora un po’, perché le pensioni non sono in grado di reggere il confronto con il costo della vita. Le pensioni tedesche, un tempo, erano le più “blindate” d’Europa. Adesso sembra, leggendo Destatis, che  gli stessi anziani tedeschi, prossimi alla pensione, scelgano di continuare a lavorare. Sopratutto le persone più istruite si allontanano più tardi dal lavoro. Ciò crea un circolo vizioso.

In Germania, se avete mai lavorato in un ufficio tedesco, vi renderete conto che il rapporto giovani-vecchi è esattamente all’opposto di quel che conosciamo, lavorativamente, in Italia. Chi supera i 60 anni è considerato come uno stagista in Italia: lento, da seguire, non aggiornato e, semplicemente, vecchio. Voler essere alla moda in tutto, porta a dare molto valore alle giovani menti e a “discriminare” lavorativemente chi è più avanti con l’età. Un nonnismo al contrario, che in Italia ci farebbe credere di star sognando, probabilmente.

In Italia le pensioni sono l’utopia per gli stessi giovani che “non hanno voglia di lavorare” ma che, comunque, di lavorare non potranno mai farne a meno

Le pensioni non preoccupano i giovani ma soltanto i vecchi, che già ne usufruiscono. Da parte dei giovani c’é una silenziosa accettazione sulle oscure prospettive pensionistiche dei neo-lavorandi.

In Italia, infatti, oltre ad avere il sistema pensionistico fermo alla legge Fornero del 2011, la prospettiva di una pensione sembra lontanissima, se non utopica, per tutti quei giovani che lavorano o hanno appena iniziato. Il sistema del lavoro (anche universitario) è fossilizzato, come tutta l’Italia, in un garantismo verso tutto ciò che è “vecchio”. Se sei un giovane, in un’azienda, la tua opinione conta meno del caffè che porti in mano, sicuramente a qualche dirigente, attività unica del tuo piano di tirocinio non retribuito. Iniziare a lavorare, quindi, per un giovane è difficile se non impossibile, per il solo fatto di essere giovane. Quanti annunci che cercano persone da formare con esperienza.

Le esperienze, quindi, ce le dobbiamo inventare, dato che si esce dall’università che di lavoro non si ha né idea né sentimento. Figuriamoci avere una prospettiva pensionistica. Già gli attuali cinquantenni la vedono come una lontanava e improbabile possibilità. Questo perché gli errori sono stati fatti, ma sembra non importi a nessuno quali siano le cause di questo stallo. Dal governo Rumor del 73 fino al 95 con il governo Dini, le baby pensioni (pensionamenti anticipati con 15 anni di carriera) hanno deformato, costretto e fossilizzato il sistema pensionistico italiano.

Il problema del lavoro in nero, in oltre, complica il tutto, portando giovani a lavorare molto presto senza, però, poterlo dimostrare in nessun modo.

I pensionati sono l’unica categoria socialmente attiva, se parliamo di intervento economico. Sono gli unici in grado di permettersi di vivere e votare in Italia avendo soldi da spendere, partiti che parlano a loro e un sistema statale che sembra abbia paura di lascarli andare storicamente, culturalmente e socialmente.

Strade diverse con lo stesso risultato

Sono quindi diverse e divergenti le strade intraprese da Germania e Italia sulle pensioni. Il risultato, però, sembra convergere sullo stesso punto: In Italia i giovani, in Germania già gli anziani, non avranno accesso alle pensioni, per scelta o per contingenze. Nel caso dell’Italia, quello che preoccupa maggiormente è che, ai giovani, delle pensioni, quasi non interessa nulla. Chi dovrebbe riqualificare, o pretendere che sia ridisegnato il sistema pensioni, non avverte questo come un proprio problema, tanto lo stato ha battuto il martello per allontanare questa idea dalla prospettiva lavorative dei giovani.

In Germania lavorano tutti, pensionati e non, in Italia hanno lavorato solo i pensionati. Adesso chi lavora lo fa a vita o non lavora proprio.

La risposta nazional popolare che da giovane ricevi quando sottolinei il problema è “ma sei giovane, inizia a lavorare e poi pensi alla pensione”. Questo, adesso, si riduce in “ma quale pensione, tanto non lavorerai comunque”. Prospettive interessanti, sopratutto se si guardano gli occhi allarmati e perplessi della classe politica, che non si spiega perché i giovani cervelli scappino dall’Italia. O almeno, le strategie messe in atto fino ad ora per risolvere il problema, sembrano scrivere la soluzione “sul ghiaccio per leggerla col sole”.

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Immagine di copertina: Pixabay