“Mario” un racconto di guerra e migrazioni

Vi riportiamo l’estratto di un racconto intitolato “Mario”, brano dell’antologia “Illegittima offesa: sguardi letterari sulla guerra, 2022”

*di Antonietta Pezzullo

In un periodo di conflitti, con la guerra Russo-Ucraina e le tensioni degli Stati Internazionali che soffrono la mancanza di una strategia diplomatica per arrivare a un accordo e calmare le ostilità, si riflette sul non senso universale della guerra.
Purtroppo, nei giorni che seguono l’inizio della guerra, il timore dell’allargamento del conflitto diventa sempre più reale: aumenta il senso di angoscia e l’impotenza delle persone, vittime di disegni politici più grandi. Si assiste, inermi, alle immagini televisive di distruzione, esplosioni e fughe di un popolo – costretto ad abbandonare ciò che ha costruito grazie alla fatica di anni, abbandonando case, beni, mariti, figli. Tutto consegnato nelle mani della morte. Si cerca una soluzione per salvare il pianeta e, a quanto pare, l’hanno trovata distruggendolo del tutto, ed eliminando il problema.
I bombardamenti ricordano i tanti racconti dei nostri padri, che l’hanno vissuta, subita, sperando che non li riguardasse più. E, mai come ora, il ricordo di loro diventa vero e attuale. Dopo anni di pace, il flagello ritorna a tormentare i popoli in Occidente e la mente si sposta in quei luoghi devastati dalla Seconda Guerra Mondiale, laddove dominano la fame e il terrore. Nelle nostre orecchie riemergono, allora, le parole dei nostri genitori che raccontano con la paura nelle parole. Gli allarmi, le sirene, il coprifuoco e le retate dei tedeschi. Parole scandite con un brivido, che prima di oggi, sembravano lontane. Spaventose, ma lontane. Tra le tante storie quella di Mario, allora un bambino, resta scolpita nel cuore, come un avvertimento verso gli orrori, quando il mondo si divide tra amici e nemici e anche un innocuo bambino diventa l’Altro, un oppositore da abbattere, non un indifeso da proteggere.

Sono anni duri e spietati in ogni luogo e anche nel Beneventano le cose non vanno meglio. Nell’agosto del 1943, gli aerei degli alleati americani colpiscono la città per destabilizzare i Nazisti. Quando gli Americani a ottobre arrivano a Benevento, la
città è distrutta e anche i suoi comuni sono in sofferenza. In uno di questi paesini, vive Mario con la sua famiglia, ultimo di sei figli, due
sorelle e tre fratelli, nel disagio della guerra, terrorizzati dagli assalti tedeschi. La maggior parte dei compaesani sopravvive a malapena con pochissime risorse.
Per il piccolo Mario, nonostante i tempi difficili, il cibo non manca. I genitori sono piccoli proprietari terrieri tali da permettere alla famiglia di avere sempre almeno gli alimenti principali, seppur razionati. La masseria dove abitano si trova nella parte alta del paese, non troppo distante dal nucleo originario del borgo medievale, il Forte. Mario spesso si avvia verso la discesa sotto casa che porta al
Forte, sbirciando curioso nell’antica chiesetta cinquecentesca. Scivola in strada come una saetta e scorrazza con qualche amichetto tra le vecchie mura. Non può mancare la sosta alla fontana, bevendo e sbattendo freneticamente i piedi nella pozzanghera, salendo e scendendo le scale che portano verso la parte bassa e nuova del paese.
In quel periodo la scuola è ancora chiusa e il papà, andando nei campi, a volte lo lascia dalla nonna, a volte con la mamma quando lei rimane a casa. Altre volte ancora, Mario va perfino a svolgere qualche lavoretto nei campi. Ma spesso la sua età lo distrae anche dai piccoli servizi. Otto anni sono pochi: sufficienti soltanto per cominciare ad abituarsi a dare un contributo e fare la propria parte.
Nei suoi giovani anni Mario ha capito che la guerra è dura: significa morte, fame, paura. Ha imparato che di sera, a una certa ora, non si esce, neanche per andare dalla nonna a pochi passi da casa; che se suona l’allarme bisogna nascondersi, possono essere bombe, oppure soldati tedeschi. Il paese deve sembrare vuoto con tutte le donne chiuse in casa, al riparo da brutte intenzioni. Durante gli attacchi
aerei i paesani si nascondono in cantina, spesso con l’accesso da una botola. O in altri rifugi come quello collettivo sotto la sagrestia in Largo di Corte. Al riparo anche le scorte di cibo: la farina, l’olio, il vino. Ogni casa si adegua alla guerra ricavando piccoli spazi strategici. La cantina della masseria nasconde dietro un vecchio mobile un grande pozzetto dove conservare le scorte. Vi sono, inoltre, altri
nascondigli improvvisati, perfino nella terra. È un segreto che non è stato rivelato a Mario nel timore che, ingenuamente, lo rivelasse.
Quando succede il fatto che segna la sua vita è una giornata nuvolosa e calma di settembre. Mario si sveglia con le paure di sempre: il pensiero che una delle tante bombe minacciose cadano sulla masseria. O sul paese, ed uccidano tutti. Oppure che i genitori siano catturati con i fratelli e lui possa rimanere da solo.

Quel giorno scende verso la piazzetta vicino al Forte, dove abita la nonna paterna. La sua casa è affiancata da altre abitazioni in modo circolare e c’è sempre qualcuno nella corte indaffarato o che arriva dai campi o che riparte. Prima di arrivare alla piazza, un rumore assordante di mezzi, il rombo dei motori lo investe. Un soldato tedesco gli intima qualcosa, e altri scendono dalle
camionette urlando. Succede all’improvviso. Tutte le persone presenti per strada, nella piazzetta e davanti le loro case vengono spinte su un camion. Uomini e donne travolti dalla furia intimidatoria dei soldati, forti nelle loro divise. Mario frastornato, incredulo, resta paralizzato. Si ritrova in viaggio maledicendo se stesso per essere uscito. Se fosse rimasto a casa o se avesse seguito il padre in campagna, non si troverebbe in pericolo. Le lacrime disperate gli solcano il viso, mentre, con una cantilena, invoca la madre e il ritorno a casa, pregando di essere salvato. Ogni tanto un viso familiare prova a dire qualcosa per rassicurarlo, ma poi la paura paralizza anche loro. Non ci vuole molto tempo prima che tutti rimangano vittime del proprio destino e delle proprie angosce.

I ricordi di Mario sul viaggio restano confusi. Troppo angosciante per averne una visione nitida. Il dolore e il senso di solitudine annientano la memoria. Le preghiere restano vive con le promesse a Gesù, alla Madonna e a tutti i santi che ha conosciuto, suggellando un patto a vita verso il bene.
Dopo un tempo di viaggio di durata incerta, arrivano in una stazione e li fanno salire su un convoglio. Ricorda il vagone di un treno che contiene altre persone oltre loro, la puzza e le voci dei soldati. Mario è tra gli ultimi a salire: rimane vicino alla porta socchiusa.
E il viaggio riprende. Più il treno avanza e più l’angoscia aumenta, allontanandosi da casa. Ricorda il muco che solca la bocca, i pantaloni bagnati di piscio e gli spasmi addominali, spinti dalla paura. Le immagini rarefatte dei compagni di viaggio sono come un sogno frammentato. La sensazione greve di essere solo, come se non ci fosse nessuno, con l’angoscia che domina incontrastata sui suoi pensieri.
Sta succedendo proprio a lui ciò che tante volte hanno raccontato in famiglia, di uomini, donne, bambini dispersi e portati chissà dove. Il tempo del viaggio sembra eterno. Il treno, in realtà, è un carico merci e, mentre avanza verso la sua
destinazione ignota, lo sportello si apre a metà, ossigenando l’ambiente chiuso. Il fragile corpo fissa le nuvole che nascondono parte del sole. Per Mario, quel getto d’aria lo aiuta a ricollegare i pensieri in modo meno confuso e rapido. Ed è proprio
in quella frazione di secondo, mentre il treno in una curva rallenta, che Mario decide, incurante dell’esito, e d’istinto si butta. Si lancia dal treno in una cunetta a ridosso delle rotaie, sbatte e poi rotola, senza dolore, ma solo paura. Nel trovarsi
fuori da quell’orrore si rialza come spiritato e corre con tutta la forza che ha nelle gambe, nei polmoni e nel cuore. Corre fino a quando raggiunge gli alberi di una collinetta verde, dove il piccolo corpo si mimetizza. Difficile ricordare per quanto
tempo striscia tra rami pungenti, fino ad arrivare in una distesa di campi. Gli manca il fiato quando scorge gli olivi e inizia a rallentare impaurito, non sapendo dove si trovasse.

Al paese, intanto, si vivono ore di angoscia. Ognuno piange e si dispera per qualche familiare catturato e il piccolo Mario diventa l’emblema della tragedia.
Per i genitori, Giovanna e Antonio è un dolore indescrivibile, che si sfoga formulando mille ipotesi, colpevolizzandosi a vicenda. Se la madre non lo avesse lasciato andare. Se il padre lo avesse portato in campagna. Se i fratelli lo avessero protetto. Se e se… tutto questo non sarebbe successo. Tutte le tragedie sono piene di Se. Per Giovanna il sogno del soldato tedesco morto e seppellito sotto il ponte, vicino alla loro casa, oltre alla sua apparizione sul muretto, proprio dove lo hanno  sepolto, diventa chiaro. Il morto ha provato a dirle qualcosa, ad avvertirla.
D’altronde, se non fosse stato per Giovanna il corpo del poveretto sarebbe rimasto nel bosco abbandonato. Invece, con il marito e i figli, lo portano vicino alla loro casa e lo seppelliscono, aggiungendo una piccola croce. In fondo quel giovane figlio tedesco, potrebbe essere anche il loro e, se per caso un giorno qualcuno lo cercasse, almeno saprebbero dove trovarlo. E i morti di ciò tengono rigorosamente conto.
Per questo Giovanna si affida alla sua anima e prega. Prega vicino alla sepoltura del soldato per ritrovare suo figlio. Prega e pensa e ripensa all’ultima volta che vede Mario, che freme per uscire, mentre lei gli rimbrotta qualcosa. Mario: coi suoi pantaloni e maglietta scuri, bucati e consumati. Se almeno lo avesse abbracciato.
Il corpo di Giovanna, in quelle ore, si ritira e, nonostante l’altezza, la sua figura sembra ridimensionata. Anche il marito Antonio non particolarmente alto, nella sofferenza, appare ristretto in un’espressione di dolore.
Giovanna cerca di convincersi che i nazisti, quando si accorgono di aver preso un bambino lo rimandano a casa. Nella confusione, magari è soltanto capitato in mezzo, povero figlio!

In paese, questo avvenimento scuote la popolazione e, se prima la paura dominava in un sonno a intermittenza, ora si vigila ogni istante, nel timore che qualcosa di terribile possa abbattersi sulle loro case. Per i familiari dei prigionieri sono tante le paure. La paura di non rivederli. La paura che i soldati tornino prendendo altri uomini. La paura di un attacco dei tedeschi o degli aerei americani. La paura con
le sue sfumature di fame e di morte. In guerra, la morte ti segue come un’ombra e a volte resta solo quella della vita di un uomo. Un’ombra della morte. Flavio raccoglie la legna dal bosco e la sistema vicino ai suoi campi, accatastando
le fascine per l’inverno. Nel ritornare indietro verso la collina, vede qualcuno correre, sembra un bambino. Un bambino? Mario intravede finalmente una figura, prova a gridare ma è talmente provato che, pur aprendo la bocca, non riesce a emettere alcun suono. Si ferma vicino a un corpo magro, in una brusca frenata. Flavio, basito, fissa incredulo gli occhi azzurri di Mario, talmente chiari da poter riflettere le sue pupille scure. Mario inizia a piangere, farfuglia qualcosa: “Mi hanno preso, aiutatemi!” Inizia a raccontare tutto d’un fiato. Flavio resta
commosso dal quel fascio di ossa punto da erbacce e spine. Lo prende in braccio e lo rassicura che sarebbe tornato a casa. Durante il percorso, Flavio spiega al piccolo che si trova in un paesino della Ciociaria, ai confini del Lazio e vicino alla Campania.
La moglie Carmela intravede il marito dalla finestra con un bambino, ed esce di scatto seguita dalle tre figlie. Maria, la figlia più grande di diciotto anni, corre arrivando prima della madre e prende il bambino, avvolgendolo nelle sue forme. Il padre, in un getto di parole, racconta la brutta avventura di Mario. Maria simpatizza subito con il piccolo, a cui viene affidato per prendersene cura. Per Mario ancora tremante, la sua presenza affettuosa diventa un sollievo.

Flavio si avvia al paese per avvertire le autorità, sperando che le informazioni che il bambino ricorda siano sufficienti per rintracciare la famiglia.
Maledetta guerra! Borbotta mentre cammina. Maledice la guerra, il governo, Mussolini, i tedeschi e l’Italia stessa. Bisogna andarsene e farsi una vita nuova. Una parte della sua famiglia vive nelle vicinanze di Pontecorvo e sono stati costretti a lasciare le loro case e accamparsi nei boschi, in montagna. Lo zio Peppe che vive a Pontecorvo, i tedeschi se li ritrova in casa, da quando l’hanno occupata,
costringendo loro a vivere in soffitta. Animali! I guai invece a Laurentino, il paese di Mario, non finiscono. Si succedono in una serie di distruzione senza futuro.

Per Giovanna, oltre l’attesa straziante di Mario, si aggiunge la notizia del ritorno del fratello Giambattista, ferito con una pallottola alla schiena. In quanto invalido, non serve più alla guerra e dunque lo rimandano a casa, non con le sue gambe, ma su una sedia a rotelle. Giovanna si chiede come farà ora la moglie con cinque figli più un malato addosso. Senza un uomo in casa e con tanta rabbia dentro. Ma con chi prendersela poi se ti hanno tolto un figlio, ferito un fratello, ucciso un padre e schiere di amici?
Accade però l’impensabile. Da qualche parte, un Angelo si manifesta e adombra la possibilità che Mario possa essere vivo. Non soltanto. Sembra che stia addirittura tornando a casa. Si dice, infatti, che un bambino sia riuscito a scappare e forse si tratta proprio di Mario.
La vita di Mario in attesa di essere riportato a casa è scandita dalle occupazioni della famiglia. La piccola masseria, un po’ nascosta dalla vegetazione, consiste in pochi ambienti, con una cucina grande, dove dormono le ragazze e Mario, la camera di Flavio e una stalla per gli animali.

Per Mario i giorni passano stando sempre stretto a Maria, insieme a lei dal risveglio fino a sera. Stinge la disperazione di quella tragedia nella consolazione dei suoi abbracci. Spera ogni giorno, però, che qualcuno lo riporti presto a casa. Prega per il ritorno così come ha pregato per salvarsi. Prega. Ripensa alla madre così fortemente, che poi sembra quasi di non ricordarla più. Ricorda la sua casa; dentro quelle mura, anche con la guerra, si sente più sicuro. Fissa nei pensieri la stalla con l’asino, i maiali, le galline e la cantina sotto le scale esterne, che portano al primo piano, con la cucina e le due camere da letto. Bella, tutta in muratura. Si sofferma con la mente sui giorni di raccolto: grano, uva, olivi, frutta. Erano quelli davvero dei giorni di festa! Non immagina quello che accade in paese alla sua famiglia. Al ritorno, lo zio
Giambattista non potrà più prenderlo in braccio come prima, ma si chinerà lui ad abbracciarlo. La madre subisce un mese di galera, colpevole di aver venduto l’olio nel periodo fascista. Pagato a lei senza saperlo, con soldi falsi. Il padre, senza il sostegno della moglie, si sente perso e, nei suoi occhi chiari, appaiono due lacrime fisse: una per il figlio e l’altra per la moglie. Nell’attesa, impreca e spera che
tornino a casa e poi bruciasse pure il mondo! Passano tre mesi prima del ritorno di Mario, mentre la guerra continua con la sua
minuziosa distruzione.

Gli alleati arrivano in paese distribuendo caramelle, cioccolata, sardine, simmenthal, soprattutto ai bambini. Capita ai soldati anche qualche coinvolgimento amoroso con le giovani del posto, che però poi sposano i paesani, in modo che nessuno abbia qualcosa da ridire. Ma si chiacchiera lo stesso con varie ipotesi sulle paternità biologiche.

Intanto, mentre il tempo passa, Giovanna e il marito aspettano, ogni tanto rincuorati da qualche notizia, che rende più vicino il ritorno. E il giorno arriva, in una giornata nebbiosa dei primi freddi. Alcuni soldati italiani lo riportano a casa e diventa per tutti un eroe, per la famiglia e per il paese. Il suo coraggio è la sua salvezza. Invece, agli altri prigionieri è andata assai peggio: alcuni si perdono nella deportazione e altri, a guerra finita, stremati, ritornano. A Mario e alla famiglia non sembra vero che quell’attesa si concluda e diventi reale la presenza vagheggiata di Mario. Per Mario, oltre all’immensa gioia di ritrovare la famiglia, resta il dispiacere di lasciare Flavio e soprattutto Maria. Nella tragedia lei e la sua famiglia si sono rivelati la sua fortuna. E nel distacco promettono di rivedersi, che le due famiglie si sarebbero incontrate e che Maria lo avrebbe riabbracciato ancora una volta. Purtroppo, nonostante il desiderio e la gratitudine, la guerra, le necessità e le continue disgrazie, non lasciano spazio per i convenevoli. Per i contadini, in quel tempo, spostarsi è impossibile. E nonostante gli entusiasmi iniziali, dopo qualche giorno si ritrovano a lottare come sempre per sopravvivere, anche senza andare in battaglia. Le difficoltà quotidiane li riporta alla loro realtà. E quando finalmente la guerra finisce, il paese e la popolazione appare svuotata. Sono stati depredati
nelle forze e negli averi, anche dai soldati affamati che hanno sempre sottratto qualcosa. Non di rado, hanno scoperto e preteso le scorte. Si son presi pure quelle poche galline. I soldati armati comandano sempre e ai civili non rimane che obbedire.

Dopo qualche anno dalla fine della guerra, in paese arrivano dei familiari di un soldato tedesco, morto durante uno scontro nella zona. E, nel chiedere informazioni proprio vicino alla masseria, Giovanna con Mario pensano al giovane trasportato e seppellito sotto il ponte. Indicano il luogo, nel caso fosse la stessa persona. E si tratta proprio di lui. Il soldato viene traslato e per i familiari avere almeno il corpo è un enorme sollievo. Contenti, tentano di lasciare un’offerta nelle mani di Mario, ora ragazzo, che però si ritrae facendo un passo indietro. Accettare sarebbe un peccato. Il bene non si conteggia, si distribuisce. Intanto i fratelli di Mario sono adulti e hanno bisogno di lavoro e stabilità. Le terre del padre, una volta sufficienti per tutti, ora non bastano per sostenere i figli e le nuove famiglie. Bisogna andarsene e cercare fortuna altrove. Dopo la guerra, l’emigrazione diventa una soluzione naturale di fronte a un paese distrutto che non ha nulla per nutrire i suoi figli e quel poco che ricava non basta a sfamarli.
Allora si parte, la famiglia si disperde non solo in una nazione, ma dove arriva l’occasione. Anche Mario emigra per un gruzzolo e poi ritorna.

Vivendo in una nazione nuova, ti accorgi di non essere più italiano e neanche australiano, americano, canadese, ma sei nel mezzo, in una nuova nazione la tua.
Un luogo che contiene tutto proprio perché non è caratterizzato da nulla. E parli una lingua nuova, diversa, un insieme di parole mischiate. Una lingua imbastardita della tua personale nazione: “Vado a fare la shower. Puscia. E’ tangeroso. L’ friggitè!”. La memoria di Mario lascia degli sprazzi nitidi e altri oscuri. Lo sguardo nocciola della madre e il suo corpo slanciato. La mitezza del padre nella statura esile e scattante. I ricordi di quando mangiano insieme nello stesso piatto, al centro del tavolo. E la notte quando dorme con i fratelli nel lettone. Gli uomini dalla parte della spalliera del letto e le sorelle al contrario. Ma quando le sorelle bambine diventano ragazze, il padre divide la stanza con un compensato, creando un ambiente riservato per le femmine. Più adatto a loro. Ricordi di un bambino con i suoi detti popolari: “Fratelli e sorelle quando si cresce.” E’ strano, nel guardare oggi Mario, curvo su sé stesso, il naso aquilino e gli occhi cerchiati chiari, vispi, mentre lavora e prepara caffè, spiccia le comande e a ogni richiesta risponde sempre di Sì! Quasi impaurito e mai in opposizione. Al massimo, quando è esasperato, abbassa il suo apparecchio dietro l’orecchio e non ascolta più nessuno. Si defila in una realtà muta, dispensando sorrisi quando il lavoro diventa incessante. Eppure, in quel piccolo uomo buffo, incerto, dall’espressione furbetta,
che si racconta disegnando ali di uccelli, si nasconde un bambino fragile, secco, svogliato ma coraggioso. Un bambino esile che, in pochi momenti, ha cambiato la direzione della sua vita. In un istante soltanto ha rischiato di morire ma ha scelto la libertà. Nella sua esistenza, vissuta qua e là per il mondo, Mario non ha mai dimenticato che in guerra non sei nessuno, né militare né civile. In guerra, sei solo un obiettivo nel mirino di un fucile.

*Lavora come Bibliotecaria presso il Pontificio Collegio Maronita (RM). Autrice di una raccolta di poesie: Orizzonti di nebbia, premiato nel 2011 al concorso nazionale letterario Opera Uno. Ha pubblicato un racconto edito con Caosfera I neuroni alla riscossa (2014), Un abusivo nel mio letto con Aracne Editore (2019), Mario brano presente nella antologia letteraria Illegittima Offesa: sguardi letterari sulla guerra, (2022). Scrive per IlFormat.info quotidiano online, sulla pagina culturale. Prossima pubblicazione: 16 mesi per un giorno d’amore: scarso.

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