La Germania vuole (finalmente) legalizzare l’aborto entro le 12 settimane

La Germania vuole legalizzare l’aborto entro le 12 settimane, ma il dibattito non riguarda solo una legge vecchia 153 anni

di Carla Farris e Simone Speciale

Il governo tedesco ha istituito una Commissione per valutare le politiche sull’aborto attualmente presenti in Germania. Il risultato ha diviso parecchio le istituzioni sul dibattito riguardo il diritto all’aborto. La commissione, infatti, si è espressa su quelle politiche “secolari” che la Germania ha portato avanti fino ad ora. La legge in questione è la §218  del codice penale tedesco che sancisce la pena pecuniaria in caso di interruzione di gravidanza. Questa, appunto, ha 153 anni.

Secondo la commissione, quindi, l’aborto non può essere criminalizzato entro le 12 settimane.

Attualmente, in Germania, ogni aborto è potenzialmente illegale. Questo, però, non vale se l’aborto viene effettuato entro una settimana da una consultazione medica. Non vengono considerati, però, abortivi tutti quei metodi contraccettivi come, ad esempio, la pillola anticoncezionale. Secondo la stessa legge, però, un aborto “medicalmente infondato” può essere punito fino a cinque anni di carcere e l’esecutore multato in forma pecuniaria.

Prima, però, che il discorso in Germania diventi “concretamente” istituzionale, dovrà ancora “passarne di acqua sotto i ponti” del Bundestag.

La paura sociale riguarda il rischio che la polarizzazione del dibattito sul diritto all’aborto, non porti concretamente ad un cambiamento nel prossimo futuro. Per questo, la Commissione, è un reale punto di partenza per analizzare, e cambiare, una politica controversa che non rispecchia la lucidità sociale caratteristica delle politiche tedesche.

La Commissione per l’Autodeterminazione e la Medicina Riproduttiva

Instituita il 23 marzo del 2023, la Commissione ha il ruolo di analizzare, contestualizzare le attuali leggi sull’aborto producendo dei resoconti (report) che facciano da basa per la discussine parlamentare sul tema. L’ultimo report, presentato dalla Commissione, mette in discussione le fondamenta della legge §218, affermando che non può essere criminalizzato l’aborto entro le 12 settimane.

La Commissione nasce dopo quasi 30 anni di riforme fallite, che dal 1974 al 1993, hanno evidenziato come il dibattito sul diritto all’aborto, tenda a morire tra le ideologie e le discussioni politiche. Così, la Commissione, sancisce, indirettamente, un punto di partenza sul dibattito.

Il dibattito tedesco sull’aborto: tra polarizzazione e politiche remissive

Nonostante le dichiarazioni del ministro federale della giustizia Marco Buschmann, per il quale parlare di conseguenze rispetto a questo rapporto è ancora prematuro,  non esclude l’analisi approfondita del rapporto. Il ministro della salute Karl Lauterbach sottolinea come sia importante che, in Germania, la maggioranza affronti il tema dell’aborto in maniera costruttiva, valutando concretamente delle conseguenze che questo rapporto “deve” avere sulle politiche attuali.

Ovviamente interviene a gamba tesa la comunità ecclesiastica. Il presidente della Conferenza episcopale cattolica, il vescovo Georg Bätzing, usando “l’evergreen” delle argomentazioni “pro-vita”, afferma che al bambino non ancora nato, non si può negare il diritto imprescindibile alla vita. Le dichiarazioni dai fedeli anti-abortisti sono tutte abbastanza simili tra loro. A irritarli maggiormente è la messa in discussione di una legge, la §218, che ha quasi 153. Per la comunità religiosa, a quanto pare, questa é ancora attuale. Non sembra, quindi, una necessità del mondo ecclesiastico quello di confrontarsi criticamente con un dibattito e con delle politiche ormai consolidate in Europa. Solo le realtà nazionali più ancorate alla ritrosia delle destre conservatrici considera il dibattito di secondaria se non di nulla importanza.

Cosa prevede la legge §218 di 153 anni fa

Sebbene in Germania l’aborto venga di fatto punito molto raramente, in teoria la legge §218  del codice penale tedesco, risalente al 1871, prevede una multa in caso d’interruzione di una gravidanza. Solo in alcune condizioni l’aborto non è considerato reato, ovvero, se la vita della donna è in pericolo o se la donna è stata vittima di violenza sessuale. Inoltre, in alcuni casi, la donna può abortire solo dopo aver seguito una procedura specifica di consulenza e l’intervento deve comunque avvenire entro un certo periodo di tempo.

I costi in caso di aborto vengono coperti dall’assicurazione sanitaria solo in caso di violenza sessuale o di pericolo di vita per la donna e, inoltre, nel caso in cui il reddito della donna non superi una determinata cifra. I costi non sono coperti se l’aborto è avvenuto dopo la sopracitata procedura di consulenza.

Le differenze con l’Italia

In Italia, l’aborto è regolato dalla legge 194 del 1978, che prevede la possibilità d’interrompere una gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Questa legge è stata oggetto di dibattito, specie tra i partiti di destra, i quali hanno cercato più volte di attaccare il diritto all’aborto, con disegni di legge che limitano di fatto la libertà di scelta delle donne.

L’anno scorso, infatti, il senatore dei Fratelli d’Italia Roberto Menia, ha proposto un disegno di legge in cui si sarebbe dovuta riconoscere la soggettività giuridica agli embrioni dal momento del concepimento. Menia ha affermato di voler “dichiarare che ogni uomo ha la capacità giuridica in quanto uomo, cioè che la soggettività giuridica ha origine dal concepimento, non dalla nascita”.

Nella pratica, questa proposta limita la libertà di scelta della donna, la quale, basandosi sulla presunta “soggettività giuridica” dell’embrione, non avrebbe diritto a decidere per esso. La domanda sul perchè la donna non dovrebbe invece avere il diritto di decidere cosa fare con il suo stesso corpo, pare non sia stata presa in considerazione.

Ancora in Italia

La maggioranza ha approvato l’emendamento che consente alle “associazioni pro-vita” di accedere ai soldi del Pnrr. Firmato dal deputato Lorenzo Malagola di Fratelli d’Italia, l’emendamento dimostra come il governo Meloni, oltre ad assicurare i fondi del Pnrr alle realtà molto vicine al governo, vuole facilitare l’ingresso nei consultori degli anti-abortisti.

Questo ha infuocato il dibattito italiano sul tema. Quello che le associazioni “a difesa della maternità” portano avanti, sono delle pratiche faziose per dissuadere le donne incinte dall’idea di abortire. Queste pratiche “coercitive” consistono nel far sentire alla madre il battito cardiaco del feto e mostrandole l’ecografie dell’intoccabile nascituro.

Fare leva sul senso di colpa è una pratica sociale che fa molto medio-evo. Invece di costruire un dibattito concreto che crei effettivamente consapevolezza sociale e politica sul tema, si preferisce alzare muri e favorire realtà “inquisitorie” come gli antiabortisti nei consultori. Questo a discapito di un discorso Europeo sul tema che progredisce ma dal quale, a quanto pare, come Italia preferiamo rimanerne fuori.

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