Ricercatori italiani in Germania: sono più di quelli stranieri che vengono in Italia, guidano i gruppi di lavoro e ci sono più donne che in altri paesi
Presso l’ambasciata d’Italia a Berlino la conferenza “La ricerca scientifica come motore della crescita”, organizzata in collaborazione con SIGN – Scienziati Italiani in Germania Network
La conferenza si è svolta martedì 9 maggio in occasione della giornata della ricerca italiana nel mondo. Dopo il discorso introduttivo dell’ambasciatore, i cinque panelist invitati – tra cui quattro ricercatori italiani di spicco in Germania – hanno presentato le loro storie e i propri progetti condotti all’estero, seguiti da un dibattito con domande provenienti dal pubblico presente in sala. Il panorama degli ambiti di studio è stato ampio e variegato: spaziava dai raggi X all’osservazione astronomica, passando per l’utilizzo dei big data per scopi medici. In tutti, gli italiani spesso ricoprono dei ruoli di rilievo. Inoltre, il rapporto tra donne e uomini tra i ricercatori italiani è attualmente tra i più equi al mondo (quasi una donna per ogni uomo). I problemi si riscontrano perlopiù in Italia: il paese attrae meno ricercatori stranieri di quanti emigrano (soprattutto in Germania), anche a causa di bassi investimenti nel settore.
Verso la parità di genere nella comunità scientifica italiana
L’ultima presentazione alla conferenza è stata quella del Professore di sociologia Emilio Zagheni, direttore dell’Istituto per la ricerca demografica Max Planck di Rostock, che ha condotto una ricerca sulla mobilità internazionale dei ricercatori di vari paesi. Dai risultati del suo studio emerge che tra i ricercatori italiani, quasi 1 su 2 è donna. È un risultato migliore di molti paesi europei, tra cui la Germania (1 donna su 3). Tuttavia, il gender gap è più ampio tra i ricercatori italiani “migranti” (ogni 10 ricercatori ci sono circa 6 ricercatrici all’estero). Il dato positivo è che entrambi i divari sono in tendenziale miglioramento: 20 anni fa la percentuale di donne tra i ricercatori era nettamente inferiore.
Gli italiani sono in posizioni guida nei progetti di ricerca in Germania, ma l’Italia è sempre meno attrattiva per i ricercatori stranieri
Sakura Pascarelli, direttrice scientifica dell’European XFEL di Amburgo, e Roberto Tamai, capo progetto dell’Extremely Large Telescope (ELT) di European Southern Observatory (ESO) a Monaco, hanno raccolto i dati sugli italiani che all’interno dei propri istituti di ricerca ricoprono delle posizioni di rilievo. È incoraggiante sapere che allo European XFEL ben 5 dei 13 group leader sono italiani. Per quanto riguarda l’ELT – ESO, entrambi i coordinatori dei 13 gruppi di lavoro sono italiani.
Un dato negativo è invece rappresentato dal numero di ricercatori stranieri in Italia. Purtroppo, il flusso di ricercatori dentro e fuori il nostro paese è in negativo. La Germania, invece, registra un saldo vicino allo zero. Per quanto riguarda l’ultima rilevazione nel flusso di ricercatori Italia – Germania (2018), il numero di ricercatori italiani che sono venuti in Germania ammonta a 345 unità, mentre gli scienziati tedeschi giunti in Italia sono stati 215, con un saldo negativo per l’Italia di -130. Non a caso, la Germania rappresenta il quarto paese di emigrazione per gli scienziati italiani, dopo Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia.
D’altra parte, il trend dell’attrattività dell’Italia per i ricercatori stranieri è, infatti, in declino. Se nel 1998-2002 l’Italia si accaparrava quasi il 4% delle ricercatrici (posizionandosi sesta al mondo) e il 2,6% dei ricercatori (nona al mondo), oggi questi dati si aggirano attorno al 2%. Anche la Germania ha perso attrattività, passando dal 6% al 5,5% per le donne e dal 7% al 5,8% per gli uomini (da terza a quarta al mondo per entrambi i generi).
In confronto alla Germania, l’Italia stanzia ancora troppi pochi fondi per la ricerca (mentre i baroni ostacolano ancora la meritocrazia)
Come ricorda il titolo della conferenza all’ambasciata italiana a Berlino, la ricerca scientifica è un motore dello crescita di un paese. In Italia, nonostante la percentuale del pil dedicato alla ricerca e allo sviluppo sia cresciuta costantemente negli ultimi 20 anni (dall’1% del 2000 al 1,54% del 2020), il paese rimane al momento ben al di sotto della media europea (2,32%). In confronto, la Germania spende il 3% del proprio pil nel settore, che equivale a più di 1200 euro pro capite, il triplo dei circa 400 euro pro capite spesi in Italia.
Anche le retribuzioni dei ricercatori italiani sono troppo basse – fatto che potrebbe spiegare il saldo migratorio negativo. In Italia partono da un minimo di 23 mila euro lordi annui e, in un’università importante come quella di Bologna, possono arrivare a un massimo di 27 mila. Per un lavoratore altamente qualificato come il ricercatore, questa cifra può essere considerata troppo esigua, soprattutto se paragonata allo stipendio iniziale di un ricercatore in Germania, che è il doppio che in Italia (50 mila euro), a fronte di un costo della vita solo leggermente più alto.
Infine, c’è il problema del baronato. In Italia, data l’esistenza di reti clientelari interne all’Università, accedere all’assegno di ricerca non è sempre un processo totalmente meritocratico. I professori più potenti, i c.d. baroni, talvolta scelgono i vincitori dei bandi per gli assegni di ricerca senza basarsi sul criterio del merito, bensì sulla parentela. Per combattere questo fenomeno, nel 2017 è nata l’associazione “Trasparenza e merito”, il cui scopo principale è ottenere concorsi universitari più equi.
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