Chiara Dazzi

La storia di Chiara ricercatrice romagnola a Berlino: “In Italia forse manca l’incentivo per rimanere a fare ricerca”

La storia di Chiara Dazzi: giovane ricercatrice romagnola allo Charité di Berlino, uno dei principali ospedali universitari d’Europa che attira sempre più talenti italiani

«A febbraio 2020, mentre scrivevo la mia tesi di laurea magistrale, sono stata a Saragozza per un workshop di due giorni sulla rigenerazione dell’osso. Lì ho incontrato tanti giovani ricercatori che lavoravano in diverse parti d’Europa. Mi hanno raccontato le loro esperienze, ma una mi ha colpito particolarmente: quella di Vincenzo, dottorando al Julius Wolff Institute (JWI) dello Charité di Berlino. Il modo in cui mi ha parlato della città, dell’Istituto e della sua ricerca mi ha fatto pensare che forse avevo trovato la mia strada.» Così, per un incontro fortunato in Spagna, Chiara Dazzi ha cominciato la sua esperienza berlinese. Vincenzo Orassi, già ricercatore allo Charité, l’ha convinta che la capitale tedesca poteva essere un ottimo punto di partenza per la sua carriera accademica. Nata a Lugo, in provincia di Ravenna, nel 1994, Chiara ha studiato Ingegneria Biomedica prima all’Università di Bologna e poi al Politecnico di Milano, dove si è laureata nel 2020. «Quando ho visto che si era aperta una posizione per un dottorato al JWI, che fa parte appunto dello Charité, uno dei più importanti ospedali universitari europei, non ho esitato a candidarmi. Ed eccomi qui, da Marzo 2021 sono dottoranda a Berlino per studiare l’angiogenesi durante la rigenerazione dell’osso.»

I motivi che hanno spinto Chiara a fare ricerca all’estero

«Fin dagli anni del liceo volevo lavorare nel campo medico, ma allo stesso tempo mi entusiasmavano materie come la matematica e la fisica. Quando ho scoperto dell’esistenza di una branca dell’ingegneria che si occupa di applicare i principi della matematica e della fisica per descrivere, comprendere e risolvere i problemi di interesse medico-biologico, ho deciso di intraprendere questo percorso. In realtà, ho capito di voler fare ricerca già durante i miei studi universitari. Parlando con vari professori e ascoltando le esperienze di altri ragazzi, ho realizzato che probabilmente rimanere in Italia non sarebbe stata un’opzione per me. Chiaramente si può fare ricerca anche in Italia, ma personalmente avevo deciso che il mio lavoro dovesse rispettare due parametri precisi: doveva rendermi economicamente indipendente e permettermi di lavorare in un ambiente internazionale e multiculturale.»

Chiara Dazzi

Chiara Dazzi a Berlino

La ricerca di Chiara allo Charité sulla rigenerazione ossea

«Il mio team di ricerca si occupa di meccano-biologia computazionale. In pratica facciamo delle simulazioni al computer per comprendere come i segnali meccanici influenzano i processi biologici. In particolare, il tema della mia ricerca è l’angiogenesi, cioè la nascita di nuovi capillari a partire dai vasi preesistenti, nel contesto della guarigione di una frattura ossea. L’osso, a differenza di altri tessuti del corpo, è in grado di auto-rigenerarsi in seguito ad una lesione. Quando un osso si frattura, i vasi sanguigni limitrofi che portano ossigeno e nutrienti al tessuto osseo si rompono. Nei primi giorni successivi alla frattura è fondamentale che inizi la formazione di nuovi vasi: appunto, l’angiogenesi. Il nostro obiettivo è capire quali segnali meccanici regolano questo processo, quali lo favoriscono e quali la inibiscono. Per fare questo, collaboriamo con biologi e clinici. Con le nostre simulazioni riproduciamo al computer esperimenti effettuati su animali o su cellule e tessuti in laboratorio per testare ipotesi e condizioni che non si riuscirebbero o potrebbero testare sperimentalmente. Da questa collaborazione nascono le nuove scoperte.»

Perché è importante studiare l’angiogenesi

«Ci sono diverse condizioni cliniche nelle quali l’angiogenesi può risultare alterata o non avvenire per niente. Può capitare con pazienti diabetici, pazienti oncologici in trattamento con farmaci antiangiogenici e in caso di fratture ossee di grandi dimensioni (per traumi importanti o resezione di tumori di grosse dimensioni). In tutti questi casi la guarigione ossea è compromessa e una delle cause principali è legata proprio alla mancanza di angiogenesi. Capire come è regolato questo processo dal punto di vista meccanico potrebbe portare alla realizzazione di dispositivi innovativi capaci di trasferire i giusti stimoli meccanici alla zona di frattura. Promuovere la rivascolarizzazione e di conseguenza la rigenerazione ossea tramite la meccanica può evitare gli effetti indesiderati dei trattamenti a base di componenti biologiche. In generale, studiare il fenomeno può portare beneficio in diversi campi della medicina.»

Le differenze tra la ricerca scientifica in Germania e in Italia

«Non ho molti amici o colleghi che sono rimasti a fare ricerca in Italia. Ma conosco diversi ragazzi che hanno fatto domanda per una posizione all’estero e sono stati presi in alcune delle migliori università europee. Questo credo sia un chiaro segnale di come la preparazione che riceviamo in Italia sia molto valida, ma forse manca poi l’incentivo per rimanerci a fare ricerca. Le differenze tra Italia e Germania sono principalmente di salari e budget. Non ho esperienze dirette riguardo alla ricerca in Italia, sono venuta qui subito dopo la laurea, ma posso elencare alcuni dei motivi per cui vale la pena intraprendere questa carriera in Germania. Qui uno stipendio da dottorando generalmente ti permette non solo di essere economicamente indipendente ma anche di vivere serenamente. Si investe di più nella ricerca e ci sono diverse possibilità per ottenere dei fondi statali. Molti Istituti come il JWI sono affiliati a delle “Graduate School” che permettono non solo di entrare in contatto con altri dottorandi e ricercatori ma anche di accedere gratuitamente a corsi, altrimenti costosi, per sviluppare sia competenze utili per i nostri studi che soft skills. Inoltre, essendo una delle mete più attraenti per i ricercatori, l’ambiente è molto internazionale e stimolante.»

 

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I pro e i contro della vita a Berlino

«Sono arrivata a Berlino a Febbraio 2021, quindi nel pieno del lockdown. I primi mesi non sono stati semplici. Non avevo occasione di socializzare o di conoscere davvero i miei colleghi se non attraverso uno schermo. Ora la situazione è nettamente migliorata, ho trovato non solo colleghi ma anche amici all’interno dell’Istituto. Non ero mai stata a Berlino prima, ma credo che sia davvero difficile stancarsi di vivere qui. Ogni quartiere ha un’anima ed è diverso da tutti gli altri, sia urbanisticamente che per le persone che ci abitano. La città è internazionale, eclettica e viva. Forse l’unica cosa che mi piace di meno qui – e in generale in Germania – è la burocrazia… infinita!»

Imparare il tedesco per integrarsi davvero

«Non ho ancora imparato il tedesco. Ho iniziato a studiarlo da autodidatta perché passando tutto il giorno al computer, l’idea di fare dei corsi online durante il lockdown non mi attirava. Ora che le restrizioni si sono allentate e sono ricominciati i corsi in presenza, mi iscriverò sicuramente. Credo che imparare la lingua del posto sia fondamentale per integrarsi davvero. Ora perlopiù interagisco in inglese e non incontro grosse difficoltà: Berlino è una città internazionale e l’inglese lo parlano quasi tutti e bene. Addirittura, una ragazza tedesca una volta mi detto che a loro fa piacere parlare in inglese di tanto in tanto per tenerlo allenato. Non mi sono mai sentita emarginata per questo. Inoltre, anche a lavoro la lingua ufficiale  è l’inglese. Le difficoltà principali le ho riscontrate le prime volte che andavo al supermercato, lì non puoi scappare dal tedesco e non puoi neanche metterti a tradurre ogni etichetta. Dopo che per la seconda volta ho riportato a casa del pane alla cipolla, convinta fosse pane normale, ho capito che dovevo iniziare ad assimilare qualche termine in tedesco.»

Nostalgia di casa, ma non troppo

«La comunità italiana a Berlino è grande e molto attiva, e poi ci sono tantissimi bar e ristoranti che fanno cucina nostrana e che aiutano a non sentire la mancanza di casa. Al momento non ho in programma di tornare, vorrei viaggiare e conoscere il più possibile il mondo, magari spostarmi anche dalla Germania. Amo l’Italia e credo che a un certo punto sentirò il desiderio di tornarci come succede a tanti italiani all’estero, ma per adesso non ci penso.»

 

In copertina: Foto di ©Chiara Dazzi.

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