Marta Della Seta

«Da Roma a Berlino, come a 31 anni sono diventata radiologa alla Charité, miglior ospedale d’Europa»

Il percorso di Marta Della Seta, romana, oggi radiologa in uno degli ospedali più prestigiosi al mondo

«Fare la radiologa alla Charité? Fino ai 25 anni pensavo che avrei vissuto tutta la mia vita a Roma. Ed ora invece eccomi nell’ospedale che un recente studio di Newsweek reputa il quinto al mondo e il primo in Europa» Marta Della Seta, classe 1988, nata e cresciuta a Roma, zona Vigna Stelluti, fino ai 25 anni non aveva mai immaginato un futuro in una città diversa. «Poi, come forse si sentirebbe in un video dei The Pills, l’Erasmus in Spagna, e più precisamente a Barcellona, mi ha cambiato». Tornata in Italia, fatto il tirocinio e superato l’esame di stato, la decisione di trasferirsi a Berlino. «In Italia quando finisce la specializzazione rischi di rimanere in mezzo ad una strada. Io avevo studiato al Sant’Andrea, distaccamento dell’Università La Sapienza. Volevo investire il mio tempo in una struttura in cui, se fossi stata in gamba, avrei avuto la possibilità di essere confermata. E questo poteva accadere solo all’estero. Peraltro sentivo l’esigenza di partire. Cominciai a ragionare sul dove. In Francia e Spagna il concorso per medici è nazionale, se non risulti tra i primi in classifica puoi essere mandata in qualsiasi posto e a fare qualsiasi cosa. Io volevo invece specializzarmi in radiologia e farlo in una grande città. In Germania era possibile. A Berlino avevo un paio di amici di cui uno anche lui medico, solo un anno più grande di me.  Volevo seguire il suo percorso. E così è stato».

Da Roma a Berlino: come Marta è diventata radiologa della Charité

«Mi sono trasferita ad aprile 2015. All’epoca per ricevere l’abilitazione ad esercitare in Germania “bastava” l’esame di stato in Italia e un certificato di lingua B2, mentre ora per i cittadini europei, non tedeschi, c’è da fare anche un Fachprüfung, un esame in cui ti vedono anche all’opera. Ricevetti la promessa dei miei genitori di aiutarmi a sostenermi economicamente mentre avrei studiato tedesco. Ce la misi tutta. Quattro ore di lezione ogni mattina e a volte anche due il pomeriggio. A settembre superai l’esame e subito mi segnai ad un corso di tedesco medico. Nel frattempo, grazie ad amicizie comuni, avevo conosciuto Federico Collettini, anche lui romano e radiologo alla Charité, l’unico ospedale universitario berlinese e il più prestigioso in tutta la Germania. Aveva diversi progetti di ricerca e me ne diede da seguire uno. Mi chiese se avessi voluto dargli una mano e nel frattempo iniziare un’ospitalità gratuita da loro di tre mesi, non di più visto che da laureati non si può avere tirocini non pagati più lunghi.  Accettai. Quel progetto che mi passò divenne poco dopo oggetto di un dottorato che a breve terminerò, uno studio sulle metastasi cerebrali da tumore al polmone e melanoma, ovvero riuscire – attraverso risonanze magnetiche e un particolare software – a identificare fattori predittivi che possano predire la sopravvivenza di questi pazienti. Ad ogni modo, finito il periodo di ospitanza, il primario cominciò a chiedere al resto del team se sapessi lavorare bene in gruppo. Da una parte era più concentrato a capire che tipo di persona fossi che le mie capacità mediche, dall’altra era impressionato dalla velocità con cui avevo imparato il tedesco e, in passato, il catalano, con cui avevo dato anche alcuni esami nel periodo dell’Erasmus. Mi offrì un contratto part-time venti ore a settimana per sei mesi. Cominciai ad avere i primi turni in tac e in ecografia. Ad ottobre 2016, senza alcun concorso, dopo un colloquio, mi fu fatto un contratto di due anni a tempo pieno con possibilità di rinnovo per i quattro anni consecutivi, come del resto è stato».

Sistema tedesco vs sistema italiano: formazione e carriera

«In Italia facciamo tanta teoria, ma fino all’ultimo anno di medicina non interagiamo con i pazienti. Se dopo cinque anni di studi una persona ci si accascia davanti non sappiamo da dove partire, fino a quel momento, nei tirocini, come si dice in gergo “abbiamo solo retto il muro”. Qui si impara quasi subito il contatto con i pazienti. Noi siamo più teorici. Certo, io mi posso basare solo sulla mia esperienza, finora limitata nel tempo, e forse nel lungo periodo queste differenze si limano o si ribaltano completamente, ma una cosa è certa: qui ti fanno sentire subito medico. È diversa la mentalità. Nonostante anche negli ospedali pubblici si venga normalmente assunti a colloquio, e non con concorso, non ho mai sentito persone parlare di nepotismo. Si dà per scontata e imprescindibile la trasparenza, basti pensare che nessun medico formatosi in un ospedale può diventare primario dello stesso. Sei costretto a cambiare come successo ad un mio collega che ora si è trasferito a Lipsia per salire di carriera. In Italia non solo si rimane spesso nello stesso ospedale, ma la carica passa di padre in figlio.»

Orari e stipendi di un medico alla Charité di Berlino

«Si lavora di base 42 ore a settimana, se si lavora più del proprio orario si viene pagati extra o si accumulano giorni di ferie. Non si timbra il cartellino, ma c’è un sistema online in cui bisogna scrivere, autonomamente, quante ore regolari e quante di straordinario si siano fatte. Il turno più lungo, con la reperibilità notturna di mezzo, dura 20 ore. La base per un neoassunto a tempo pieno è di circa 4.200 € lordi, 2.800 netti a cui poi, dopo un anno, si possono sommare extra per turni nel weekend o di notte. Nulla è dato per scontato. I vari scatti di carriera sono legati sia agli anni di attività, normalmente ogni cinque che a precisi obiettivi numerici, nel mio caso il numero di tac, ecografie, risonanze magnetiche e radiografie refertate complessivamente.»

Lasciare Roma per sempre

«Non penso mai di tornare a vivere in Italia. A parte la famiglia o il piacere di un weekend fuori porta al mare. In Italia rischi di non sentirti appagato dal tuo lavoro. Qui a Berlino la qualità della vita è molto più alta così come le soddisfazioni da medico che penso di potermi togliere. Certo, è dura da accettare per mia madre, sono figlia unica, ma al momento penso che il mio futuro sia qui.»

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