Peter Von Kant, il remake al maschile di Petra Von Kant di Fassbinder: dirige Ozon e apre la Berlinale
Abbiamo visto Peter Von Kant, il film che ha aperto la Berlinale 2022: ecco di cosa parla e se vale la pena andarlo a vedere
In origine era uno spettacolo teatrale rappresentato con discreto successo, poi Rainer Werner Fassbinder, all’epoca ventisettenne, decise di farlo diventare anche un film. Lo girò in 10 giorni, fu presentato alla Berlinale del 1972 con il titolo di Le lacrime amare di Petra von Kant e da allora è considerato tra i capolavori del cineasta tedesco. Qurant’anni dopo François Ozon, regista coraggioso, capace di firmare i più disparati progetti, dal musical al thriller, non tutti memorabili, ma sempre in grado di lasciare qualcosa dietro (spesso il tema ricorrente è la sessualità, lui stesso è un attivista LGBT), ha deciso di farne un adattamento al maschile. La celebrata stilista Petra è diventata il geniale regista Peter, l’aspirante modella Karin è ora è l’astro nascente della recitazione Amir, la venerante assistente Marlene è diventata il fido Karl. Sono i tre personaggi principali intorno a cui gira una storia di passioni, esaurimenti e ribaltamenti di ruoli. Facciamo un passo indietro però, ecco la trama.
Peter Von Kant, la storia del film di François Ozon
Peter si da poco lasciato con il suo storico partner. È disperato e nervoso. A casa si affida completamente al suo devoto assistente Karl, spesso approfittandosi del suo carattere taciturno. Il suo umore cambia appena l’amica Sidonie gli presenta Amir, giovane senza particolari talenti se non quella di essere bello e giovane,. È amore a prima vista. Pur di farlo rimanere con sé Peter gli offre il ruolo di protagonista nel suo prossimo film. Amir accetta e si trasferisce da lui. Passano nove mesi. Ormai Amir è padrone della situazione, Peter è pronto ad assecondare e accettare ogni suo vizio e tradimento. È però un equilibrio destinato presto a rompersi…
Peter Von Kant, il nostro giudizio
Per il suo Peter Von Kant Ozon riprende completamente l’impianto teatrale e l’ambientazione temporale, gli anni ’70, dell’originale. Il film è quasi completamente girato nell’abitazione di Peter. Allo stesso modo il personaggio del taciturno Karl, l’assistente, colui che di fatto svelerà la chiave interpretativa del film, viene usato sia come elemento interno al film, su di lui si basano molte delle triangolazioni visive e concettuali della storia, sia come punto di vista esterno, di fatto rappresentando la prospettiva dello spettatore. La capacità di lavorare su più piani di lettura è l’espediente cercato, e grossomodo trovato da Ozon, per dare respiro ad una storia altrimenti troppo teatrale, sia nelle ambientazioni che nell’uso dei dialoghi come unico mezzo per far progredire il canovaccio. La sua bravura si estende alla direzione e uso del corpo degli attori, con Denis Ménochet scelto probabilmente sia per la possanza fisica che, probabilmente, nota di colore in più, per l’estrema somiglianza con Fassbinder. Sullo stesso piano ironico, da occhiolino verso lo spettatore, va letta la decisione di affidare il ruolo della madre di Peter alla decana delle attrici tedesche, Hanna Schygulla, che in Petra Von Kant interpretava l’aspirante modella. Il totale è un film intenso e sicuramente godibile per chi ama storie su come la l’amore spesso lambisca, fino ad attraversare, tutti quei sentimenti che dovrebbero esserne l’antitesi.
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