Citazioni e argomenti dei 10 filosofi tedeschi più importanti per capire il nostro presente

La Germania è stata a lungo la patria della filosofia. Abbiamo raccolto le citazioni dei filosofi tedeschi più importanti, a partire dall’800 fino ad oggi, per capire la società contemporanea

Per un lungo periodo di tempo, dal XVIII al XX secolo circa, la Germania è stata la patria di numerosi filosofi e pensatori brillanti. Ora il compito di trainare lo sviluppo del pensiero filosofico sembra essere passato ai paesi anglofoni, nonostante ciò è impossibile non riconoscere il ruolo fondamentale dei filosofi e delle filosofe tedesche nell’evoluzione del pensiero occidentale. Con questo articolo vi proponiamo una rassegna dei filosofi tedeschi più importanti, selezionando delle loro citazioni tutt’oggi utili per capire il nostro presente.

Immanuel Kant (1724 – 1804)

«[…] Sento gridare da ogni lato: non ragionate! L’ufficiale dice: non ragionate, fate esercitazioni militari! L’intendente di finanza: non ragionate, pagate! L’ecclesiastico: non ragionate, credete! (Un unico signore al mondo dice: ragionate quanto volete e su tutto ciò che volete, ma obbedite!)»

Immanuel Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?

La produzione intellettuale di Kant si situa in un contesto storico ben specifico, quello dell’Illuminismo. In concordanza con lo spirito del tempo, Kant si oppone alle restrizioni alla libertà di pensiero che provengono dal mondo ecclesiastico, economico, politico e anche filosofico (come residuo della metafisica). Al contrario il filosofo di Königsberg diventa pieno sostenitore dell’Illuminismo, inteso da lui come la capacità dell’uomo di “servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro”. Le sue parole ci spronano tutt’oggi ad avere il coraggio di pensare autonomamente, senza affidarci passivamente alla guida altrui.

Monument to Immanuel Kant in Kaliningrad

Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831)

«Ciò che fa un servo è propriamente il fare del padrone»

G.W.F. Hegel, La fenomenologia dello spirito

Uno dei temi più noti della filosofia hegeliana è la cosiddetta “dialettica servo-padrone”, ossia l’analisi del rapporto che intercorre tra il servo e il suo padrone. In apparenza il servo dipende dal padrone, che può decidere per lui. Ma, sostiene Hegel, le cose in realtà stanno diversamente: non è il servo a dipendere dal padrone, ma viceversa. Il servo, infatti, lavora per il padrone, soddisfacendo i suoi desideri. Il padrone, invece, è relegato nell’ozio e nell’improduttività. È incapace di avere un rapporto con il mondo esterno e  di manipolarlo per soddisfare i suoi bisogni: insomma, il padrone vive grazie al servo. È prendendo coscienza di questa dinamica, del fatto di essere indispensabile per la sopravvivenza del padrone, che si apre per il servo la possibilità di liberarsi. Un ribaltamento di prospettiva che, se messo in atto ancora oggi, per quanto in condizioni di vita e lavorative diverse, può aprire la strada verso l’emancipazione.

Hegel

Arthur Schopenhauer (1788-1860)

«La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra il dolore e la noia, passando attraverso l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia»
A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione

Nella filosofia di Arthur Schopenhauer si esprime tutto il pessimismo di una generazione delusa: una generazione che vede la sofferenza come parte integrante della vita. Secondo Schopenauer, infatti, il mondo è destinato all’insoddisfazione eterna. Ogni soddisfazione è illusoria e momentanea perché, una volta soddisfatto un desiderio, ne nasce subito uno nuovo. Non c’è limite alla volontà umana, che passa da un desiderio all’altro senza potersi mai arrestare: per Schopenauer, l’umanità è condannata a una ricerca senza tregua. Per questo motivo la vita oscilla come un pendolo tra la gioia e il dolore: una volta raggiunto il piacere, la soddisfazione immediatamente svanisce e nascono subito nuovi desideri e da questi nuove mancanze che suscitano dolore. Nel caso invece in cui non nasca un desiderio, ciò che resta non è la serenità  la beatitudine, ma piuttosto la noia: l’indifferenza più totale che porta ad odiare la vita.

Arthur Schopenhauer by J. Schäfer, 1859

 

Ludwig Feuerbach (1804 – 1872)

«La filosofia dell’avvenire ha il compito di trarre la filosofia dal regno delle ‘anime morte’ e di reintrodurla in quello delle anime vive, unite al corpo; di farla scendere dalla beatitudine concettuale, divina ed autosufficiente, nella miseria umana»

L. Feuerbach, Scritti filosofici

Feuerbach è uno dei filosofi tedeschi più importanti dell’Ottocento, sostenitore di un rigoroso materialismo antropologico. Stanco di una filosofia che fa dell’intelletto l’unico criterio di verità e che fa coincidere la realtà con il pensiero, Feuerbach ci ricorda che la realtà è fatta anche di altro: di carne, sentimento e relazioni. Insomma, che l’uomo non è tutto pensiero, come sostiene invece il  “cogito ergo sum” cartesiano, ma anche corpo. Reintrodurre la filosofia “nel regno delle anime vive” significa anche ridare valore alla corporeità, a lungo svalutata dalla morale cattolica. Non solo, è anche un modo per ricordarci che la realtà è tale non perché puramente pensata, ma perché praticamente sentita: esiste solo ciò che suscita una reazione emotiva, un moto di piacere o dispiacere, di  gioia o dolore.

Feuerbach_Ludwig

Karl Marx (1818 – 1883)

«Lavoratori di tutto il mondo unitevi. I filosofi si sono limitati a interpretare il mondo in modi diversi; si tratta ora di trasformarlo»

Karl Marx, Tesi su Feuerbach

Incisa sulla scalinata d’ingresso della rinomata Humboldt-Universität di Berlino, questa citazione ci ricorda che lo scopo della filosofia non è meramente interpretativo, ma piuttosto trasformativo. Marx è il filosofo della prassi, colui che riconosce una falla nello sviluppo del pensiero filosofico occidentale: i filosofi, fino a quel momento, si sono limitati ad analizzare o, nel migliore dei casi, a criticare il mondo, ma sono stati incapaci di cambiarlo. Marx ci invita a fare un passo avanti: a rivoluzionare l’esistente, per raggiungere il sogno di una società giusta, dove non esistano più oppressi e oppressori. Se il pensiero di una tale società può apparire ai più utopico, le sue parole ci invitano ancora oggi a non diffidare dell’utopia: questa non coincide infatti con qualcosa di impossibile, ma piuttosto con ciò che ancora non esiste, ma che non è detto non possa esistere in futuro.

Marx & Engels

Friedrich Nietzsche (1844 -1900)

«Il più grande avvenimento recente – che ‘dio è morto’, che la fede nel Dio cristiano è divenuta inaccettabile – comincia già a gettare le sue prime ombre sull’Europa […] ogni rischio dell’uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi ancora mai stato un mare così aperto»

 Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 343.

Nietzsche, tra i filosofi tedeschi più noti, è sostenitore di una filosofia radicale, che mette in dubbio i fondamenti morali e religiosi su cui si basa l’esistenza umana. Uno di questi è il concetto di “dio”, concetto che, secondo Nietzsche ha troppo a lungo ostacolato il decorso della civiltà.  Il processo che porta alla decostruzione di questa illusione è doloroso, poiché il concetto di Dio era servito all’uomo per dare senso alla propria esistenza. Allo stesso tempo, con la morte di dio, si apre la possibilità di dare vita a un nuovo tipo umano, quello che Nietsche definisce oltreuomo (o superuomo). Un uomo che, di fronte al “mare aperto” che emerge una volta decostruite le false credenze, è in grado di affrontare il tragico nella vita, esplorando anche ciò che veniva proibito dalla morale e dalla religione tradizionale.

Senza titolo

Martin Heidegger (1889 – 1976)

«Non è la bomba atomica, di cui tanto si parla, a costituire, in quanto ordigno di morte, il mortifero […] Ciò che da tempo minaccia l’uomo nella sua essenza è la convinzione che la produzione tecnica metterà in ordine il mondo»

Martin Heidegger, Sentieri interrotti

Martin Heidegger è uno dei filosofi più interessanti e allo stesso tempo controversi del Novecento (vista, ad esempio, la sua adesione al Partito nazionalsocialista). Nella citazione qui riportata Heidegger indaga il tema della tecnica. Contrariamente a una visione comune che vede nella tecnica il vettore del progresso, Heidegger mette in guardia contro i pericoli ad essa connessi. La tecnica non è uno strumento nelle mani dell’uomo, al contrario il fine della tecnica è quello di strumentalizzare tutto, essere umano compreso. Per questo motivo la tecnica “minaccia l’uomo nella sua essenza”, poiché rischia di asservire tutto al processo cieco di accumulazione e produzione.

 Hannah Arendt (1906 – 1975)

«Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso»

«Non era stupido, era semplicemente senza idee. Quella lontananza dalla realtà e quella mancanza di idee, possono essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell’uomo. Questa fu la lezione di Gerusalemme. Ma era una lezione, non una spiegazione del fenomeno, né una teoria»

Hannah Arendt, La banalità del male

Hannah Arendt, rinomata filosofa e politologa tedesca, seguì nel 1961 il processo a Adolf Eichmann, famigerato criminale di guerra nazista, conosciuto anche come “il burocrate dell’Olocausto”. Il processo viene raccontato da Arendt nel celebre libro La banalità del male. Qui Arendt porta a riflettere su come “il male” sia qualcosa compiuto non da individui “mostruosi” o “fuori dall’ordinario”, ma da persone considerate perfettamente normali. È questo il caso di Eichmann. Durante il processo di Norimberga, Eichmann tentò di sollevarsi da ogni responsabilità sostenendo di aver semplicemente eseguito gli ordini. Le azioni terribili da lui compiute non sembravano derivare una qualche malvagità innata, ma piuttosto da quella che Arendt definisce come una “mancanza di idee”. Eichmann era un uomo mediocre, che si lasciava guidare dal corso degli eventi, eseguendo passivamente gli ordini e adempiendo, senza riflettere, ad ogni compito assegnato.

.Hannah Arendt

Theodor Adorno (1903 – 1969) e Max Horkheimer

«L’illuminismo ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra illuminata splende all’insegna di trionfale sventura»

M. Horkheimer e T. Adorno, Dialettica dell’illuminismo

Theodor Adorno e Max Horkheimer sono due dei più importanti filosofi della Scuola di Francoforte, istituto che, integrando  filosofia, economia, psicanalisi, vuole analizzare criticamente la società contemporanea. Il concetto di ragione è viziato, secondo i due autori, dalla volontà di dominio, cioè dal desiderio di controllare la natura e i propri simili. Per questo motivo non sorprende che l’umanità sia caduta in uno “stato di barbarie”: la volontà di dominio induce, infatti, l’essere umano a sfruttare senza riguardo la natura e i propri simili, stabilendo con loro un rapporto di competizione, piuttosto che di cooperazione. Questo desiderio di controllo si estende non solo verso il mondo esterno, ma anche verso se stessi: anche l’impulso alla felicità interna è negato, perché se assecondato questo non permettere di essere funzionali al processo produttivo.

Leggi anche: Il pensiero della Scuola di Francoforte, uno dei movimenti filosofici tedeschi più importanti del 900′

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 Immagine di copertina: Hermann Traub da Pixabay