Il pensiero della Scuola di Francoforte, uno dei movimenti filosofici tedeschi più importanti del 900′

L’espressione Scuola di Francoforte fa riferimento ad una scuola di orientamento filosofico-sociologico che nasce nel 1923 a Francoforte, presso l’Institut für Sozialforschung

L’attività di ricerca dell’istituto che integra scienze diverse, dalla filosofia all’economia, dalla sociologia alla psicanalisi nasce con il fine di analizzare criticamente la società contemporanea, per comprenderne i mali e le ingiustizie in un’ottica trasformativa. Nato nel contesto rivoluzionario della Germania degli anni 20′, l’Istituto fu costretto a chiudere a causa dell’imporsi del regime nazionalsocialista. La sua attività proseguì in diversi luoghi: Ginevra, Parigi e, infine, Stati Uniti. Al concludersi del secondo conflitto mondiale la scuola riprese, nel 1950, la sua attività nella città di Francoforte. Nella Scuola, che è attiva tutt’oggi, si sono succedute diverse generazioni di pensatori. La prima vede come protagonisti i filosofi Theodor Adorno, Max Horkeimer, Herbert Marcuse e psicanalisti come Eric Fromm. Tra le generazioni successive, i nomi più noti sono quelli dei filosofi Jurgen Habermas e Axel Honneth e, più di recente, della filosofa Rahel Jaeggi.

La ragione: un concetto in crisi

Quello della ragione è uno dei temi centrali del pensiero filosofico occidentale. Considerata la facoltà umana per eccellenza, che distingue l’essere umano da tutte le altre specie, a essa è da sempre attribuito un valore positivo. Adorno e Horkeimer, tra i principali rappresentanti della Scuola di Francoforte, sottopongono invece il concetto di ragione a un’aspra critica. Nel momento in cui scrivono i due autori sono reduci delle esperienze drammatiche del Novecento: le due guerre, la dittatura nazista e l’imperversare dell’antisemitismo. Alla luce di queste esperienze, la fiducia incondizionata nella ragione, che contraddistingue l’epoca illuminista, è completamente crollata. La loro analisi rappresenta dunque il tentativo di comprendere cosa, nel divenire storico, è andato storto e perché «l’umanità invece di entrare in uno stato veramente umano sprofondi in un nuovo genere di barbarie».

Dialettica dell’illuminismo: perché la ragione è irrazionale

Dialettica dell’illuminismo, l’opera del 1944 scritta a quattro mani da Adorno e Horkeimer, è uno dei testi più noti della Scuola di Francoforte. In quest’opera i due autori elaborano una teoria filosofica originale secondo cui gli avvenimenti del Novecento non costituiscono un incidente di percorso nel progresso dell’umanità, ma sono piuttosto la logica conseguenza di un concetto di razionalità che è malato fin dal suo principio.

Il concetto di ragione è viziato, secondo i due autori, dalla volontà di dominio, cioè dal desiderio di controllare la natura e i propri simili. Per questo motivo non sorprende che l’umanità sia caduta in uno “stato di barbarie”: la volontà di dominio induce, infatti, l’essere umano a sfruttare senza riguardo la natura e i propri simili, stabilendo con loro un rapporto di competizione, piuttosto che di cooperazione. Questo desiderio di controllo si estende non solo verso il mondo esterno, ma anche verso se stessi: anche l’impulso alla felicità interna è negato, perché se assecondato questo non permettere di essere funzionali al processo produttivo. I due autori argomentano la propria tesi attraverso vari passaggi, che li vedono affrontare il tema del mito, dell’illuminismo, del sadismo, dell’antisemitismo e, infine, della cultura di massa.

L’amore secondo Adorno

Di grande interesse è anche l’analisi del rapporto amoroso svolta da Adorno in alcuni frammenti dell’opera del 1951, Minima Moralia. Nella società industriale l’amore è corrotto, secondo Adorno, dal demone del possesso. La logica del mercato, per cui ogni oggetto diventa merce di scambio, si instaura anche nei rapporti affettivi. Nel momento stesso in cui si dichiara “mio/mia” la persona amata, la si degrada, secondo Adorno, al rango di cosa. In questo modo viene meno l’amore autentico, che non consiste in un egoismo possessivo ma piuttosto nell’atto del dono. Cioè nella capacità di immedesimarsi nell’altro, di concepirlo come soggetto e di comprendere le aspirazioni e i desideri. In una società dove domina la gerarchia del mercato il rapporto amoroso autentico rappresenta una forma di resistenza: esso preannuncia l’idea di una società migliore, dove le relazioni tra le persone sono guidate dal sentimento, e non dal guadagno economico.

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Immagine di copertina: Jjshapiro, Wikipedia, CC BY-SA 3.0