Un occhio ai dati e un’ipotesi sul perché in Italia muoiano più persone che in Germania

La differenza di tasso di mortalità tra due casi emblematici per eccesso e per difetto: Italia e Germania a confronto.

articolo realizzato da Novecorona.eu e concesso a Berlino Magazine

Da buon rimpatriato, pur essendo rientrato in Italia da oramai più di 3 anni, conservo i contatti con la Germania, dove ho vissuto per 5 anni. Tra questi, ci sono gli immancabili gruppi Facebook (“Italiani a Berlino”, “Italiani in Germania e variazioni sull’argomento) che mi sono stati molto utili in questi anni, ma allo stesso tempo ora non posso fare a meno di notare il fatto che ogni 5 minuti viene pubblicato un post con la fatidica domanda “Perchè in Germania i morti sono così pochi?” e nel 90% dei casi vedo che nella discussione è molto presente la linea del “la Germania trucca i dati al ribasso“, “la Germania conta i morti per COVID-19, non i morti con COVID-19” escludendo quindi i pazienti affetti da comorbidità (parola che viene dal vocabolario medico e che in questi giorni è di fondamentale importanza imparare).

Ma è davvero così? Davvero la Germania bara sul numero dei morti? Ha senso porsi questa domanda?

Tasso di mortalità: le differenze tra Italia e Germania (e gli altri paesi)

Effettivamente se si guardano i numeri, impossibile non notare delle stranezze. Ecco una tabella con i dati di alcuni paesi (i primi 10 per numero di casi) aggiornati al 19/03, la triste data in cui con la metà dei casi superiamo il numero dei morti della Cina:

Paese Totale Casi Morti Tasso di mortalità
Cina 80928 3245 4.01%
Italia 41035 3405 8.30%
Iran 18407 1284 6.98%
Spagna 18077 831 4.60%
Germania 15320 44 0.29%
USA 13383 186 1.39%
Francia 10995 372 3.38%
Corea del Sud 8565 91 1.06%
Svizzera 4133 43 1.06%
UK 3269 144 4.41%

Difficile non notare quindi l’enorme differenza tra Germania e Italia, dato che nel primo caso si parla dello 0.29% e nel secondo caso dell’8.30%.
Mi sembra lecito quindi porsi domande, ma è anche vero che bisogna stare molto attenti a darsi le risposte. I numeri sono fatti, ma i fatti bisogna saperli interpretare in maniera corretta. E per farlo bisogna capirli.

Apro quindi una piccola parentesi chiarendo meglio alcuni aspetti del tasso di mortalità che ritengo importanti per le successive argomentazioni, ma se siete di fretta potete anche saltare al paragrafo successivo.

Che cosa è il Tasso di Mortalità e come si calcola

Prima di addentrarci nelle differenze, diamo prima una definizione del tasso di mortalità, che si ottiene dividendo il numero dei decessi per il numero totale dei casi. In realtà il nome è un pochino impreciso, perchè il numero totale dei casi è quello che si riesce a contare, non quello “reale”, fattore non di poco conto in una malattia in cui si stima un alta percentuale di asintomatici o con sintomi simili all’influenza che possono sfuggire al conteggio.

A tal proposito a Gennaio dichiarava infatti l’Organizzazione Mondiale della Sanità (fonti qui e questo pdf):

  1. Non sappiamo quanti sono stati contagiati ed è troppo presto per calcolare percentuali -> “When you look at how many people have died, you need to look at how many people where infected, and right now we don’t know that number. So it is early to put a percentage on that.”.
  2. L’unico numero al momento conosciuto è il numero delle persone che sono morte sul totale dei casi che sono stati riportati all’OMS -> “The only number currently known is how many people have died out of those who have been reported to the WHO”
  3. Quindi è troppo presto per trarre conclusioni riguardo al tasso di mortalità del nuovo Coronavirus. -> “It is therefore very early to make any conclusive statements about what the overall mortality rate will be for the novel coronavirus”

In inglese forse la definizione CFR (Case Fatality Ratio) è più precisa dato che fa capire che è un valore da prendere con le pinze e che si deve relazionare col numero di casi trovati, non col numero di contagiati reale.

La Germania bara sul numero dei morti?

Su questo punto girano alcuni articoli, tra cui questo de Il Giornale che sostiene che la Germania non conti i morti come gli altri paesi, ma che inseriscano nella lista solo i morti di COVID-19 senza altre patologie e non tutti i morti con COVID-19 positivi al tampone. L’articolo cita Libero, ma purtroppo senza link e non riesco a trovare l’articolo originale, che a sua volta citerebbe il Tagesspiegel (linkando però all’homepage e non all’articolo specifico) come fonti. Difficile quindi indagare le fonti (se avete materiale, vi prego linkate nei commenti) di questo articolo, però leggendolo non sembra ben argomentato. Le argomentazioni sono molto confuse e inoltre si fa riferimento al fatto che la Germania non conti i casi totali e faccia pochi tamponi, ma i numeri dei giorni successivi sembrano andare molto contro questa ipotesi visto il crescente numero di casi negli ultimi giorni. Inoltre c’è anche questo articolo (purtroppo in tedesco) dove si parla delle morti per Coronavirus in Germania e guarda caso… la maggior parte di loro avevano patologie pregresse, il che contraddice l’ipotesi che i casi con comorbidità non vengano contati.

Concludendo: finora la maggior parte delle fonti a sostegno di questa ipotesi sono confuse e poco argomentate e vanno interpretate come semplici illazioni. Non mi sento al momento di smentire che ci possano essere delle differenze metodologiche che causino delle differenze nei numeri, ma mi sento di affermare con certezza che queste differenze NON spiegano la grande diversità dei numeri, o almeno non ne sono la causa principale.

Infatti nella tabella precedente si può notare come il tasso di mortalità vari in maniera abbastanza marcata.
Il virus però, è lo stesso: c’è chi parlava all’inizio di ceppi diversi e sosteneva che quello italiano potesse essere più cattivo, cosa però mai confermata da nessuno studio scientifico. Inoltre, se la cosa poteva aver senso nel momento in cui paragonavamo l’Italia ai paesi asiatici, ora che il virus è in Europa questa spiegazione non sembra aver alcun senso. Allora, cosa spiega queste variazioni?

Le cifre basse della Germania vanno anche spiegate in base a due fattori temporali. Il primo è che banalmente sembra che siamo all’inizio dell’epidemia: i decessi non avvengono nei primi giorni di contagio ovviamente, ma ci vuole del tempo per cui vengano accusati i primi sintomi e ci vuole altro tempo prima che le condizioni si aggravino e prima che le persone raggiungano l’ospedale, si aggravino ulteriormente e muoiano (questo aspetto meriterebbe un ulteriore approfondimento). Altro aspetto: al momento la Germania sembra potersi permettere in un certo senso di “analizzare i casi con calma”: in Italia considerato che gli ospedali sono al momento sotto pressione, non perdiamo troppo tempo a valutare la reale causa della morte – mentre in Germania in alcuni casi dubbi vengono fatti alcuni controlli successivi e poi il caso viene attribuito o meno. Comunque nei prossimi giorni possiamo aspettarci un incremento del tasso di mortalità per un mero fatto tecnico.

Le differenze demografiche e di tessuto sociale

Consiglio vivamente la lettura di questo articolo di Medical Facts di Burioni sul confronto tra Italia e Corea del Sud in cui fa alcune riflessioni che ho deciso di riprendere parzialmente nella mia analisi, che comunque si focalizza nel confronto tra Italia e Germania.

La prima riflessione, importante, che però spiega solo in piccola parte le differenze, è quella sull’età media del nostro paese (approfondimento sempre su Medical Facts a questo link): in Italia abbiamo poche nascite e molti anziani e inoltre gli anziani sono fortemente integrati nelle reti familiari, prendendosi cura dei nipoti e entrando maggiormente in contatto coi familiari più giovani che facendo più vita sociale, sono più esposti al contagio e potrebbero fare da vettore.
Le differenze tra paesi sotto questi aspetti possono spiegare quindi una variazione del tasso di mortalità (sappiamo benissimo che il tasso di mortalità è più alto per gli anziani, per gli immunocompromessi e per chiunque abbia altre patologie): il problema è che sebbene si possano comparare le percentuali di popolazione divise per fasce d’età, difficile è quantificare l’integrazione sociale delle fasce anziane e le possibilità che entrino più a contatto col virus. Detto questo, le differenze non sembrano sufficienti a spiegare una variazione così grossa come quella tra Italia e Germania. Infatti la spiegazione più accredita è un’altra.

Il caso del denominatore sballato

L’ipotesi più accreditata è quella del fatto che il numero totale dei casi sia in realtà sottostimato. A supporto di questa ipotesi, c’è una dichiarazione di Massimo Galli, infettivologo e primario dell’ospedale Sacco di Milano (che se guardate un po’ di tv, oramai non potete non sapere chi sia), che sostiene che “il numero reale di contagiati è più alto di quello ufficiale”. Sulla stessa linea è Burioni, nell’articolo linkato sopra e a supporto di questa tesi ci sono molti elementi.

Il primo è che è ragionevole pensare che ci siamo accorti in ritardo che la diffusione dei contagi era in corso. Infatti il famoso paziente uno è stato diagnosticato il 23 Febbraio, e dal racconto della ormai famosa anestesista che per prima ha formulato l’ipotesi Coronavirus il paziente aveva sintomi influenzali dal 14 Febbraio – il che indica che comunque è stato contagioso per 9 giorni senza prendere alcuna precauzione. Inoltre, considerato il fallimento nel rintracciare il “paziente zero” e nel risalire alla fonte di contagio è plausibile pensare al fatto che il virus abbia avuto qualche trasmissione attraverso pazienti asintomatici o con pochi sintomi che purtroppo non siamo riusciti a rintracciare. Inoltre, particolare un pochino inquietante, il fatto che il paziente uno sia stato scoperto un po’ per caso e perchè l’anestesista ha forzato le regole, può far ragionevolmente pensare che ci siano stati altri gravi casi precedenti che non sono stati identificati correttamente.

Il secondo, come fa notare Burioni, è la differenza di tamponi positivi tra Lombardia e Veneto. In Italia la maggior parte dei morti (70%) e il maggior focolaio è in Lombardia, dove la situazione sembra fuori controllo. Il fatto che la percentuale di tamponi positivi sia maggiore del 30% mentre in Veneto è del circa il 6% fa pensare che in Lombardia l’ondata massiccia di infezioni ha portato a effettuare un maggior numero di tamponi solo ai pazienti più gravi, mentre i pazienti asintomatici o paucisintomatici (con sintomi moderati) restano a casa ad aspettare il decorso della malattia, per non pesare su un sistema sanitario già messo a dura prova. Il che fa presuppore quindi che i numeri che vediamo sono solo la punta di un iceberg molto grande.

Il terzo elemento è quello relativo al campionamento, che fa appunto pensare che in Italia siamo in una fase molto più avanzata dell’epidemia, come appunto sostiene il presidente del Robert Koch Institute. Lo spiega molto bene questo articolo a cui ho rubato l’immagine (non me ne vogliano) e l’ho modificata per far capire come il fatto di effettuare le misurazioni su una popolazione infetta da tempo e una affetta da poco possa riflettersi nel tasso di mortalità.

Immaginate che il caso di sinistra rappresenti l’Italia, mentre quello di destra la Germania (I numeri che ho messo sono inventati ma è giusto per dare un’idea). Sul fondo c’è una rappresentazione del contagio “reale”, presupponendo che l’Italia sia infetta da più tempo, mentre quella Germania da meno tempo (ALT! non venite a dirmi che in Germania il primo caso è stato trovato prima. Quello che importa è quanto il contagio comincia a muoversi e diffondersi tra la popolazione). Sulla seconda linea, ci sono “i positivi al test”, i numeri che poi trovate nei report come “totale casi” giornaliero. In alto, in nero, i morti.
Come vedete nel primo caso purtroppo si iniziano a fare i tamponi quando i casi gravi cominciano a farsi vedere in ospedale – e per questo sappiamo che ci vuole tempo, cosa che fa presuppore che il virus sia ormai diffuso e più difficile da tracciare – mentre nel secondo caso i tamponi sono fatti in fase iniziale, quando non si sono ancora sviluppati un ampio numero di pazienti in condizioni gravi: ne deriva quindi che il numero di morti e il conseguente tasso di mortalità tra i due esempi risulta differente, mentre il tasso di mortalità reale è lo stesso. Infatti se lo calcolate sul numero di contagi reali è in entrambi i casi dello 0,5%.

Conclusioni parallele

Questa analisi rispetto che mette in evidenza alcune specificità del caso italiano da luogo ad un sacco di ulteriori domande e considerazioni sul momento che stiamo vivendo, sul come si stia sviluppando l’epidemia in Italia, sul come abbiamo gestito la preparazione e la fase iniziale, sul come la stiamo gestendo ora. Cose che dobbiamo affrontare e su cui dobbiamo riflettere. Questo però è materiale di un altro articolo.
Per il momento fatevi bastare che no, la Germania non sta barando sui numeri (o al massimo c’è qualche differenza nel conteggio che ha impatto nel farli sembrare al momento più bassi di quel che sarebbero).

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Photo by ?? Claudio Schwarz | @purzlbaum on Unsplash