Peenemünde, il centro per gli esperimenti missilistici nazisti rimasto anche sinonimo di tecnologia

Il centro di ricerca militare di Peenemünde, uno tra i più avanzati al mondo tra il 1936 e il 1945

La realizzazione del centro di ricerca militare di Peenemünde cominciò a partire dal 1936 e terminò in un anno attraverso il lavoro degli schiavi dei campi di concentramento. L’enorme centro comprendeva una rete di strade, chilometri di binari ferroviari, tre porti, un piccolo aeroporto, diversi edifici e basi missilistiche. Sin dall’inizio, l’obiettivo principale delle ricerche tecnologiche di tale centro era lo sviluppo di tecnologie avanzate che potessero permettere una supremazia militare. Wernher von Braun condusse i lavori per la costruzione del primo missile balistico, noto nella propaganda nazista come V-2.

L’alto tributo di vite

In seguito alla crescente domanda di lavoratori per l’assemblaggio dei razzi, a Peenemünde deportarono circa 5.000 prigionieri. Circa 20.000 internati dei campi di concentramento collegati al centro militare morirono brutalmente durante la produzione del V-2. Inoltre, a partire dal 1944, i razzi V-2 assemblati a Peenemünde iniziarono a colpire obbiettivi civili in Gran Bretagna, Francia e Belgio. Alla fine della guerra, si contarono all’incirca 3.200 razzi lanciati e più di 8.000 morti per i loro attacchi, soprattutto civili.

Il museo

L’Historisch-Technisches Museum di Peenemünde, ex “Centro di Informazione Peenemünde per la Storia e Tecnologia”, è stato inaugurato nel 1991. Il museo è dedicato alla storia del Centro di Peenemünde Army Research, in particolare ai razzi e missili sviluppati lì tra il 1936 e il 1945. A partire dal gennaio 2007 è entrato a far parte degli snodi della ERIH (European Route of Industrial Heritage), una rete europea composta dai più rilevanti monumenti industriali. Per il rinnovo e l’ampliamento del museo sono stati investiti 6,5 milioni di euro ed in previsione vi è un ulteriore investimento di 3,9 milioni di euro. Nel 2013  ha ricevuto il premio dall’Unione Europea per il patrimonio culturale.

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Immagine di copertina: Pixabay