«Mi hai regalato multiculturalità, freschezza e fiducia nei giovani, ma cara Berlino ti saluto»

La lettera di commiato di Luciana Milella, italo-berlinese da sei anni in Germania ora pronta a tornare nel Belpaese

Cara Berlino, ti saluto.

Negli anni ci siamo vissute un po’ addosso; non ti ho mai trovata snob, questo no, ma distratta si.

Non ti curi di chi ti attraversa, di chi ti vive, per te conta farti vivere, pulsare, farti costruire, ogni giorno nuova, diversa. Emblematici sono i cantieri che ti abitano, si moltiplicano ogni giorno e non ho fotogramma nella mia memoria di 6 anni, in cui non ce ne sia uno a costellare strade e piazze.

Costellazioni di cantieri.

Per questo mi sei sempre sembrata diversa, sempre sconosciuta in superficie, sempre distante con le tue latitudini e longitudini così dilatate.

Io ti ho misurata col mio passo, col mio metro. Ti ho osservata. Lentamente. Mi sei piaciuta, anche molto. Ma non ho potuto né saputo sentirti mai davvero mia, non mi sono mai accaparrata la mia parte, quella che mi spettava; ti ho attraversata senza viverti, senza gustarti; ti ho assaggiata, ma sempre con troppa discrezione.

Ti lascio con la sensazione di lasciare qualcosa in sospeso, un discorso a metà; come un maglione fatto a mano, bellissimo, praticamente finito, a cui manca solo la cerniera per essere completo, ma non ho il tempo di metterla, e rimarrà così, incompleto, a ricordarmi che potevamo essere perfette, noi due insieme.

E così ci salutiamo, in questo tempo sospeso.

Doveva essere “straordinario” il nostro commiato. Invece rimarrà congelato, cristallizzato, senza crepe, senza crolli emotivi. Un addio muto, fermato come in un’istantanea; surreale, come questo tempo imperfetto in cui siamo costretti a vivere da qualche mese.

È tanto quello che porterò con me.

Mi hai regalato apertura, multiculturalità, freschezza e fiducia nei giovani e nel futuro.

Sono stati tanti i nostri momenti; ci siamo annusate, sfiorate, ci siamo guardate e incontrate in tanti posti solo nostri e ora ci salutiamo. Era scritto nelle corde della nostra storia, che ci saremmo lasciate.

Un amore controverso, il nostro. Altalenante, come le tue giornate, come il tempo, quello meteorologico, che qui, spesso, va al contrario e il sole e il sereno, arrivano la sera, quando non posso fare altro che guardare il cielo sgombro di nuvole dalla finestra e salutarlo, come sto per salutare te.

Quando ti guardo, vedo le ferite che ancora sono vive sotto la tua pelle fresca, cambiata solo di recente, ma che lascia leggere, in trasparenza, da cosa sei passata per essere così, ora. Per la tua storia, avrai sempre una parte di me attaccata a te come una calamita.

Pulsa nelle strade, sui muri, nei percorsi nascosti, la tua storia; all’ombra dei ciliegi sulla Mauerweg vicino Bornholmer Straße, sulla cima della montagna del diavolo, polverosa e selvaggia, tra le lamiere e i mattoni su cui cocciutamente sono cresciuti gli alberi del tuo verde prepotente.

Pensavo che mi sarei portata via troppo poco, invece scrivendo, mi accorgo che non sarà così.

Ti saluto, Berlino, e ti ringrazio.

Mi emoziono a pensare di chiudere questo capitolo, di tirarmi la porta di questa vita alle spalle.

Lascio tante cose che sempre mi ricorderanno te; lascio il tuo verde prêt-à-porter,: i viali alberati e i parchi, autentici, spontanei, selvaggi. Parchi sempre brulicanti di persone; vissuti, quotidianamente, come un’esigenza, non come un’eccezione, come “la gita al parco”.

Lascio i marciapiedi larghi, spaziosi, così tanto da farmi dimenticare della strada; lascio gli Spielplatz, tua grande ricchezza, Berlino, che giochi coi bambini.

Lascio il profumo delle tue primavere, i tuoi lunghi e dorati tramonti; le tue estati senza zanzare, ma con eserciti di vespe; i tuoi autunni miti all’inizio, un po’ uggiosi sul loro finire, per lasciare spazio ad inverni rigidi, si, ma non impossibili, come mi ero aspettata: in sei anni, Berlino, non mi hai mai regalato neanche una nevicata seria, da manuale, di quelle indimenticabili che avrei aggiunto molto volentieri al mio album dei ricordi. Ma ti perdono, dai, tu questo non potevi deciderlo.

Ora sento di dover chiudere e di voler affidare romanticamente queste parole alle tue acque, ai tuoi grandi e piccoli canali, che capillarmente ti nutrono, ti dissetano, ti danno ogni momento nuova forza, nuova luce. Affido le mie parole allo Spree, sottofondo di tante belle serate estive nei tuoi Biergarten chiassosi; ai tuoi laghi, vere e proprie istituzioni, patrimonio culturale e paesaggistico, elemento imprescindibile in una città’ dove non riesce ad arrivare la brezza del mare.

Cara Berlino, ti saluto.

Ma, come si dice nei migliori film di genere, questo non e’ un addio, è un Aufwiedersehen.

Adesso voglio sentirmi un po’ come lei, Marlene (donna affascinante e vulnerabile come te, Berlino) e citare una delle sue frasi più citate, ma perfette in questi casi: “Ich hab noch einen Koffer in Berlin”.

Forse non c’è bisogno di chiudere in modo definitivo, anche perché lascio qui una valigia ricca, preziosissima: quella con la promessa di tornare dagli amici bellissimi che ho incontrato; tornare da loro per tornare da te e per farmi raccontare ancora di te, da te, Berlino.

Grazie, Luciana

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Photo: © CC0 Pixabay