Favolacce, vi raccontiamo il film con Elio Germano presentato alla Berlinale

Elio Germano in un altro film della Berlinale. Questa volta è Favolacce e interpreta un padre romano

Per la seconda volta alla Berlinale troviamo i gemelli Damiano e Fabio D’Innocenzo. Dopo l’esordio nel 2018 con il film La terra dell’abbastanza per la sezione Panorama, questa volta fanno un salto in avanti e sono in concorso con il loro Favolacce. Con un Elio Germano tra i protagonisti, il film è ambientato nelle zone di provincia romane e racconta la spietata realtà di tutti i giorni. Con la cornice narrativa di un diario, una pellicola che sottolinea la differenza generazionale tra genitori infantili e figli che vogliono fare gli adulti.

Trama del film Favolacce

Estate dal caldo torrido, in uno dei sobborghi di Roma sembra si aggiri una forte irrequietezza che potrebbe scoppiare da un momento all’altro. In Favolacce, i genitori sono costantemente frustrati dal sentimento di non sentirsi abbastanza, dal non vivere la vita che sognavano un tempo e che ormai non è più a portata di mano. I figli, vittime degli incubi degli adulti, cercano di fuggire dalle gelosie che li circondano. Coscienti di cosa sta succedendo, cercano di supportarsi l’un altro, dimostrandosi molto più maturi e razionali dei genitori. Dando una tragica visione della realtà, i fratelli D’Innocenzo intrecciano le diverse storie, favolacce per l’appunto, di famiglie che non sanno uscire dall’insoddisfazione di tutti i giorni, con un finale scioccante emblema della nostra modernità.

I due registi sul film

«La pellicola racconta una giovane generazione sotto pressione a causa dei loro genitori arrabbiati con la vita. Anche i bambini provano rabbia ma è più contenuta, profonda. Le loro scelte sono gestite dal cosa vogliono raggiungere. In Favolacce i bambini sono coscienti, non vogliono vendetta, non vogliono veder soffrire gli adulti e non vogliono essere partecipi della loro vita piena di tragedie. Abbiamo voluto rappresentare questa durezza della realtà perchè è un po’ un’ autobiografica, ci rappresenta. Veniamo dai sobborghi e non avevamo praticamente nulla. Raccontiamo la realtà della provincia, ma non vuole essere un film diretto a cosa succede a Roma, la nostra è una pellicola universale, può capitare anche in America, per esempio. Essere registi vuol dire essere narratori e cerchiamo di raccontare quello che vediamo come lo vediamo, e guardandoci attorno vediamo durezza.»

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Immagine di copertina: ©Berlinale