Veterinaria, © 12019, https://pixabay.com/it/photos/veterinario-clinica-cane-paziente-85925/ CC0

«Da Roma a Londra, la mia pessima esperienza come infermiera veterinaria in UK»

«La mia passione per il viaggio e le lingue mi hanno portata a vivere a Londra dove lavoro come infermiera veterinaria»

«Ho sempre avuto il desiderio di vivere all’estero, fin da quando ero bambina. Amo viaggiare e studiare le lingue straniere, ho persino studiato giapponese e hindi. Prima di trasferirmi a Londra mi sono laureata in lingue e civiltà orientali e ho vissuto per qualche mese a Tokyo». Classe 1988, romana, Giulia (nome di fantasia) si è trasferita a Londra a dicembre 2018 dopo aver terminato gli studi in infermieristica veterinaria nella capitale italiana: «Mi sono iscritta al corso di infermieristica veterinaria a Roma proprio con l’intento di prendere una qualifica che valesse anche nel resto d’Europa. A Londra, dopo essermi iscritta all’albo degli infermieri ho subito trovato lavoro in un ospedale veterinario. Ho iniziato a lavorare con un contratto di apprendistato: il lavoro di infermiere veterinario nel Regno Unito differisce da quello in Italia. Gli infermieri inglesi hanno più libertà e autonomia rispetto a quelli italiani. Basti pensare che possono persino fare dei piccoli interventi chirurgici e la pulizia dentale, cose assolutamente vietate in Italia». 

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Alti e bassi del lavoro nel Regno Unito

L’esperienza londinese di Giulia non è sempre stata facile, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con i colleghi: «Inizialmente con loro avevo un rapporto abbastanza tranquillo, nulla di eccelso, ma nemmeno negativo. A un certo punto però hanno tutti cominciato a trattarmi veramente male e a isolarmi», racconta. E continua: «Tutto è cominciato dopo un incidente sul lavoro, durante il quale un mio collega mi ha ferita e sono dovuta andare in pronto soccorso (mi è stata persino tolta la giornata di paga). Hanno cominciato a isolarmi durante la pausa pranzo, nessuno più parlava con me. I compiti che mi venivano assegnati erano sempre meno importanti e più svilenti. Venivo chiamata per pulire le deiezioni in qualsiasi reparto, anche se non era quello in cui ero stata assegnata, per fare la lavatrice, per mettere medicinali in ordine. Passavo giornate intere senza toccare un animale e anche il training sembrava essersi interrotto. Certi giorni mi sembrava che bastasse veramente che io respirassi per fare adirare qualcuno». Insomma, da dopo l’incidente per Giulia inizia un periodo molto difficile a livello lavorativo: «Cose per le quali venivo elogiata inizialmente (la mia bravura nell’eseguire test di laboratorio, per esempio), improvvisamente sembravano non contare più nulla. Molto spesso non mi veniva concesso di fare la pausa contrattuale, oppure venivo mandata dopo che lo chiedevo per ore. Ho passato mesi molto stressanti e difficili. Ne ho parlato con i miei superiori e sembravano capire, ma poi non cambiava nulla».

«Nonostante il mio inglese sia ottimo, non è stato facile relazionarmi con i miei colleghi»

Giulia ha un livello di inglese molto alto, ma la comunicazione a lavoro avveniva soprattutto in dialetto: «Sono partita con una buona base d’inglese, avendo una laurea in lingue che mi ha anche permesso di iscrivermi all’albo degli infermieri veterinari e avendo anche lavorato in passato in ambienti dove l’inglese era l’unica lingua. Questo però non è bastato. Se avessi lavorato in ambienti più internazionali, probabilmente sarebbe bastato ma lì, purtroppo, i miei colleghi erano per la quasi totalità inglesi e non si sforzavano minimamente di parlare in modo comprensibile anche da chi non era madrelingua. L’inglese che parlavano era pressoché dialettale (molti di loro venivano dal nord, cadenza molto complicata). Quando chiedevo di ripetere qualcosa, la ripetevano con la stessa velocità e tono della prima volta. A volte rispondevano piccati “doesn’t matter”. È anche capitato che mi hanno preso in giro per il mio accento non British. Per assurdo, visto il modo in cui sono stata trattata, credo che il mio inglese sia migliorato più a Tokyo che a Londra». 

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Essere infermiera veterinaria in Italia e in UK: le differenze

Per Giulia l’esperienza a Londra non è stata l’unica in ambito lavorativo: «Ho lavorato in cliniche veterinarie in Italia e devo dire che, a parte le diverse mansioni che possono svolgere le infermiere, generalmente l’ambiente lavorativo italiano è più rilassato e meno macchinoso». Ma sono moltissime le differenze con il Regno Unito: «Gli inglesi tendono a controllare maniacalmente anche cose molto semplici, sono davvero quadrati, rendendo il lavoro più lento e stressante per tutti. Quando mi sono iscritta all’albo, ho dovuto fare un incontro con un rappresentante dell’ente preposto che si occupa di medicina veterinaria. Oltre a darmi tutte le info sugli obblighi e diritti di un infermiere, mi sono stati dati dei volantini riguardanti la prevenzione per il suicidio. Mi è stato spiegato che nell’ambiente veterinario la percentuale di suicidi e di dipendenza da droghe pesanti è molto alta. Mi è stato detto che questa problematica è legata al fatto che gli addetti ai lavori molto spesso lavorano tante ore, molte delle quali non pagate (tutte le ore di straordinario da me fatte non sono mai state pagate), ma anche che il lavoro è pericoloso (si sta a contatto con animali non proprio felici di essere lì) e non si sentono tutelati adeguatamente». 

Torneresti in italia?

«A me piacerebbe tornare in Italia in futuro, Roma mi manca molto e questo non mi era mai successo in passato. Qui però ho la possibilità di guadagnare abbastanza per poter vivere da sola e non dover chiedere aiuto ai miei genitori, anche se decidessi di non fare più l’infermiera. Purtroppo, il rapporto che ho con Londra non è dei migliori. La trovo una città dove manca il contatto umano e anche un po’ noiosa. Mi rendo conto che tutti i pensieri negativi che ho su Londra siano dovuti alla brutta esperienza che ho avuto in ambito lavorativo. Vorrei riuscire a cambiare idea, cambiando anche lavoro. Al momento non lavoro in un ospedale e sto cercando in ambito completamente differente. Questa esperienza mi ha ferita profondamente e voglio ritrovare fiducia in me stessa. Voglio credere che non tutti gli ambienti lavorativi sono così tossici. Non so se in futuro deciderò di fare nuovamente l’infermiera, il che mi dispiace molto, ma ho capito che il tipo di ambiente in cui si lavora conta molto di più del tipo di lavoro svolto. Non avrei problemi a pulire stalle, se intorno a me avessi colleghi sereni che ti trattano con rispetto. Incrociamo le dita».

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Immagine di copertina: Veterinaria, ©12019, CC0 da Pixabay