Come e perché Curzio Malaparte rinnegò le sue origini tedesche
Le origini di Curzio Malaparte, uno degli intellettuali più importanti del XX secolo
Kurt Erich Suckert, conosciuto come Curzio Malaparte, nacque a Prato nel 1898 dal maestro tintore tedesco Erwin Suckert e dalla milanese Edda Perelli. Terzogenito di sette figli, Kurt fu affidato per alcuni anni alla famiglia della sua balia Eugenia e l’operaio meccanico Milziade Baldi. Frequentò il Convitto Cignonini di Prato. L’ambiente scolastico lo avvicinò ai movimenti anarchici e al partito repubblicano e divenne simpatizzante delle idee interventiste. Anche D’Annunzio aveva frequentato lo stesso liceo quasi trent’anni prima. Malaparte ammirò, ma criticò anche lo stile dannunziano, dal quale volle allontanarsi. Il Vate gli scrisse nel 1928: «So che tu mi ami; e che la tua ribellione esaspera il tuo amore. Con la tua schiettezza e con la tua prodezza, col tuo furore e col tuo scontento, quale altro uomo potresti amore, oggi, nel mondo? ».
Esperienza della Prima Guerra Mondiale
Fu proprio la spinta interventista che inspirò il giovane Kurt ad arruolarsi come volontario nella Prima Guerra Mondiale in un’Italia ancora neutrale. Entrò nella Legione garibaldina e successivamente come fante nel Regio esercito, diventando poi sottotenente, e nella Fanteria alpi sul Col di Lana in Francia. Rimase ferito a causa dei gas e questo gli compromise la salute per tutta la vita, ma il suo valore militare fu premiato con una medaglia di bronzo. In seguito, Kurt si dedicò alla diplomazia, assumendo funzioni importanti nella Conferenza di Pace di Versailles e nella Regia Legazione d’Italia a Varsavia. Nel 1921 pubblicò il primo saggio-romanzo Viva Caporetto!, in cui esaltava la disfatta di Caporetto come rivolta del proletariato in guerra. Perciò venne accusato di vilipendio dalle forze armate e il libro potè essere pubblicato nuovamente, sebben con un nuovo titolo.
Curzio Malaparte, sostenitore del fascismo
Poco dopo, si allontanò dal partito repubblicano e si avvicinò al nuovo movimento fascista. Perciò si può considerare tra i fascisti della prima ora di estrazione anarchica e repubblicana. Nel 1922, partecipò alla Marcia su Roma organizzata dal Partito Nazionale Fascista (PNF) di Mussolini e sostenne lo squadrismo intransigente. Iniziò una carriera nell’editoria, fondando nel 1924 il giornale La Conquista dello Stato. Si proclamò ispettore politico del PNF, invitando Mussolini a diventare dittatore. Piero Gobetti lo descrisse come «Il più spregiudicato scrittore fra i mussoliniani». La sua entrata ufficiale nel PNF avvenne nel 1925, quando firmò anche il manifesto degli intellettuali fascisti. Assunse lo pseudonimo Malaparte come umoristica paronomasia di Bonaparte. Abbandonò così tutte le tracce della sua origine tedesca, anche perché non aveva un buon rapporto con il padre. Dei tedeschi e del Nazismo, poi, non ebbe mai una buona opinione. In quegli anni si cimentò nella scrittura e nella editoria, fondò e diresse riviste letterarie e viaggiò in tutta Europa. Nel 1929 iniziò a dirigere La Stampa e venne licenziato nel 1931.
L’allontanamento dal fascismo
Si trasferì a Parigi dove scrisse Tecniche du coup d’état, una critica delle conquiste violente del potere di Hitler e Mussolini. Il libro venne proibito in Italia, bruciato in piazza da Hitler, e criticato sia dalla destra che dalla sinistra. Uno scontro con Italo Balbo, all’epoca ministro dell’aeronautica, gli costò l’accusa di attività antifascista all’estero. Fu condannato a 5 anni di esilio a Lipari, ma grazie all’amicizia con Galeazzo Ciano riuscì ad essere trasferito a Forte dei Marmi. Intanto, Curzio continuò a scrivere con lo pseudonimo Candido. Le sue opere dell’epoca simboleggiarono un momento di riflessione e annunciarono un allontanamento dall’età della giovinezza. Nel 1937 fondò la rivista “Prospettive”, che marcò un’apertura culturale e letteraria verso l’Europa, in chiaro contrasto con l’epoca precedente. Durante la Seconda Guerra Mondiale, fu inviato speciale per il Corriere della Sera in Africa Orientale e in Europa dell’Est accanto alle truppe tedesche. A contatto con la distruzione della guerra, Malaparte scrisse una delle sue opere più famose, Kaputt, che segnò il totale distacco dal fascismo. Il titolo in tedesco significa rotto, fine, un evidente riferimento alla fine dell’umanità causata dall’avvento del Nazismo. In un racconto autobiografico, l’autore raccontò la sua visione della guerra. Descrisse come i tedeschi «Hanno paura soprattutto degli esseri deboli, delle donne, dei bambini. Hanno paura dei vecchi. La loro paura ha sempre suscitato in me una profonda pietà. Se l’Europa avesse pietà di loro, forse i tedeschi guarirebbero del loro orribile male». Raccontò una Europa lacerata, cruda e piena di spettri, tanto diversa da quella pura e nobile di prima.
Avvicinamento al PCI e La Pelle
Nel 1944, Curzio chiese a Togliatti di iscriversi al Partito Comunista Italiano, giustificando l’adesione per la sua educazione operaia. Quando Mussolini fu deposto, Malaparte tornò a Roma da Stoccolma, dove venne arrestato. Poi nuovamente dagli Americani. In seguito, si arruolò nelle truppe alleate di liberazione, nelle quali lavorò come ufficiale di collegamento. Nel 1949 pubblicò La pelle, romanzo che venne messo all’Indice dei Libri Proibiti del Vaticano per via della sua blasfemia e anti-patriottismo. Infatti, con sottigliezza e cinismo, l’autore non mancò di criticare un’Italia vinta dalla guerra. Curzio visse in prima persona una città, Napoli, straziata e sanguinante. L’arrivo degli Alleati significò l’arrivo di una peste, una peste di corruzione e umiliazione. Un popolo, quello napoletano, che pur di salvarsi la pelle fu costretto a umiliarsi e a piegarsi al cospetto di quello sbarco liberatore. L’autore descrisse con pietà i vinti, che credettero di essere stati liberati. Mentre criticò i vincitori, che si sentivano superiori nella loro missione di civilizzazione. Il romanzo ripercorse il dualismo tra umanità e disumanità della guerra e del post-guerra.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale
Al termine della guerra, Curzio Malaparte entrò nel mondo del teatro francese. In Toscana, lavorò alla sceneggiatura del film Il Cristo Proibito. Il film suscitò polemiche ma riuscì a vincere il Gran Premio d’Onore fuori classe al Festival Cinematografico di Berlino del 1951. Successivamente, continuò la carriera giornalistica e quella teatrale. Quest’ultima, senza molto successo. Fu mandato nell’Unione Sovietica per assistere ad opere teatrali e poi partì per la Cina di di Mao-Tze-tung, alla quale regalò la sua villa di Capri. Ma qui la sua salute deteriorò e gli fu diagnosticato un tumore. Di ritorno a Roma, in agonia, fu visitato da personaggi politici, letterari e religiosi. Secondo alcune fonti, vi fu anche una conversione al cattolicesimo. Curzio Malaparte morì il 19 luglio 1957. Fu sepolto sulla collina di Spazzavento, vicino Prato, come suo desiderio espresso in “Maledetti toscani”: « E vorrei avere la tomba lassù, in vetta allo Spazzavento, per poter sollevare il capo ogni tanto e sputare nella gora fredda del tramontano. Io son di Prato, m’accontento d’esser di Prato, e se non fossi di Prato vorrei non essere venuto al mondo».
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Immagine di copertina: Curzio Malaparte in esilio a Lipari © Pubblico dominio