Negli Usa i matrimoni gay, a Berlino la Christopher Street Parade. In Italia? Family Day e ossessione gender

Venerdì, a poco più di un mese di distanza dal referendum irlandese, è arrivato il sì della Corte Suprema americana ai matrimoni gay. Una decisione storica, destinata a influenzare il dibattito internazionale e ad accelerare in molteplici paesi processi decisionali che ristagnano da troppo tempo.

Sabato, a Berlino, centinaia di migliaia di persone hanno sfilato per il Christopher Street Day, l’annuale parata in favore dei diritti LGBT e in memoria dell’insurrezione newyorkese del 28 giugno 1969 contro le vessazioni omofobe della polizia. Anche sull’onda del successo americano, lo slogan della parata è stato quest’anno molto chiaro: Ehe für Alle, matrimonio per tutti.

In Germania, in effetti, è in vigore dal 2001 una legge sulle unioni civili che legittima la Partnerschaft omosessuale senza però assimilarla all’istituto matrimoniale classico. Le coppie gay sono sottoposte agli stessi doveri delle coppie etero su un piano fiscale e ricevono le stesse tutele in materia di assistenza sociale, assicurazione sanitaria, reversibilità della pensione. Ma non possono, ad esempio, adottare insieme un bambino, a meno che non si tratti del figlio di uno dei due partner derivante da una relazione precedente, la cosiddetta stepchild adoption.

La eingetragene Partnerschaft, frutto del proverbiale pragmatismo tedesco, in Italia è vista di buon occhio da ampie componenti del Partito Democratico ed ha sostanzialmente ispirato il ddl Cirinnà. L’Italia è l’unico paese dell’Europa occidentale rimasto senza legislazione sulle unioni omosessuali. Stati come Spagna, Francia, Gran Bretagna, Svezia contemplano da tempo i matrimoni tra coppie dello stesso sesso – alcuni anche l’adozione congiunta e la possibilità di ricorrere alla fecondazione assistita – e tutti gli altri, Ungheria compresa, prevedono almeno le unioni civili.

Ciononostante il ddl Cirinnà, sorta di compromesso al ribasso tra le forze parlamentari, è stato capace di scatenare aspre polemiche: le Sentinelle in piedi lo giudicano un cavallo di Troia della ideologia gender e lo hanno dunque reso obiettivo polemico del Family Day dello scorso 20 giugno. Anche i deputati di FI, Lega e Ncd vi si oppongono strenuamente. Il parlamentare forzista Lucio Malan vi scorge addirittura una pericolosa minaccia all’intero impianto della nostra società.

La stampa tedesca e una parte preponderante dell’opinione pubblica, al contrario, si domandano da tempo come si possano giustificare due differenti legislazioni sulla base dell’orientamento sessuale e perché non si provveda a una totale Gleichstellung, a un’equiparazione che fughi ogni sospetto di discriminazione. L’Spd sarebbe favorevole, ma permangono molte perplessità nell’altro partito della große Koalition, la CDU/CSU, specialmente nella sua costola bavarese, cattolica e conservatrice. L’Union, di fatto, è lacerata da un vibrante dibattito interno in cui membri come Jens Spahn, gay dichiarato e da anni in prima linea sul fronte dei diritti civili, chiedono uno svecchiamento del partito e maggiore coraggio al paese: se ce l’ha fatta uno Stato profondamente cattolico come l’Irlanda, perché non dovrebbe riuscirci anche la Germania?

Parte della CDU è con lui e, secondo un sondaggio di Stern, lo sarebbe anche il 74% dei tedeschi. Si fa forte, così, la pressione sulla Merkel, che deve fare i conti con la corrente conservatrice all’interno del suo partito senza sfigurare agli occhi del mondo. La leader dei Grüne, Katrin Göring-Eckardt, la invita a non tergiversare ulteriormente sulla questione, mentre il collega CDU Christian Röbcke-Gronau fa notare con rammarico come la Germania abbia perso il suo ruolo guida sul tema dell’uguaglianza e dei diritti civili e sia stata scavalcata da altri paesi, in buona parte proprio a causa dell’Union.

Negli ultimi mesi gli Homo-Ehe hanno incassato anche l’endorsement di personaggi di spicco del mondo del cinema, della cultura, dello sport. Da più parti si è invocato un referendum al riguardo, sul modello irlandese. Se si lasciasse la questione alla coscienza dei singoli parlamentari, peraltro, non sarebbero da escludere sorprese nella stessa CDU, ma i falchi si arroccano sul Fraktionszwang, l’obbligo di voto secondo la linea di partito, e, più in generale, molti osservatori politici ritengono altamente improbabile un rivoluzionamento dell’attuale impianto di legge prima del prossimo banco di prova elettorale.

Se lo status quaestionis in Germania è controverso, in Italia, come si accennava, non ce la passiamo di certo meglio. Anzi, per dirla con Ennio Flaiano, la situazione è grave ma non è seria. Nonostante gli sforzi delle associazioni LGBT e di partiti come Sel, nonostante il successo degli ultimi Gay Pride, il dibattito parlamentare è ancora in alto mare e persiste un’imbarazzante vacatio legis sul tema. Pesano come un macigno le parole del Segretario di Stato vaticano Parolin all’indomani del referendum irlandese, secondo cui i matrimoni gay costituirebbero una «sconfitta per l’umanità». Dichiarazione che il cattolico Spahn, si badi bene, ha ritenuto «una grave offesa».

Ancora più deprimente della lentezza degli iter parlamentari, in realtà, è il livello del nostro dibattito culturale. In mancanza di argomenti migliori, e consapevoli che la confusione concettuale e terminologica può solo portare acqua al loro mulino, gli ambienti conservatori e ultracattolici italiani agitano il manganello ideologico del “contro natura”, che può avere forse una dignità teologica ma non ne possiede affatto una scientifica, e si trincerano dietro lo spauracchio della teoria gender, creatura mitologica mai rinvenuta in un’aula accademica, eppure perennemente al centro del discorso politico.

Definita da Bergoglio come uno «sbaglio della mente umana» e bollata senza sprezzo del ridicolo come «più pericolosa dell’Isis» da un sacerdote del comasco, la teoria gender rappresenterebbe il cuore ideologico di un complotto orchestrato dalla fantomatica lobby gay e avallato dalle istituzioni europee e dai poteri forti al fine di indifferenziare sessualmente l’essere umano, spingerlo ad una libertà assoluta e nichilista e sottoporlo, secondo i timori di quello pseudo-intellettuale rossobruno che risponde al nome di Diego Fusaro, a un inquietante quanto inesistente progetto di «ingegneria sociale».

Nel linguaggio da gazzarra di seconda media che contraddistingue il nostro panorama politico, tali assurdità vengono ulteriormente semplificate, prima di essere date in pasto al tollerantissimo popolo del Family Day, che ha affollato piazza San Giovanni poco più di una settimana fa. Così, gli insegnanti delle nostre scuole starebbero provando a confondere i bambini costringendo i maschietti a mettere il rossetto e insegnando alle femminucce – orrore – che una donna può anche fare la camionista. A Venezia il neosindaco Luigi Brugnaro ha restaurato l’Indice dei libri proibiti, ordinando il ritiro dalle scuole di testi travianti come Storia incredibile di due principesse o Milly, Molly e tanti papà, visto che all’educazione deve pensare la famiglia.

Gli fa eco – onnipresente – l’ineffabile Matteo Salvini, che, alla maestra che affronti coi bambini i temi della sessualità e dell’affettività, vuole fare «una faccia così». Giustissimo, in un paese dove l’educazione sessuale – e soprattutto sentimentale – è affidata sostanzialmente a YouPorn, dove il bullismo omofobico e il femminicidio sono drammaticamente all’ordine del giorno e dove gli stereotipi di genere limitano pesantemente la libertà decisionale delle donne e le loro prospettive professionali e salariali.

No, a noi piace continuare a farci del male, e evidentemente ci meritiamo che sepolcri imbiancati come Alemanno, Alfano, Quagliariello, Gasparri, Adinolfi, Formigoni, Giovanardi, Lupi – c’è bisogno di continuare? – dettino l’agenda politica o che figure come Paola Binetti, con le sue pratiche di mortificazione mediante cilicio, e la scrittrice Costanza Miriano, autrice dell’illuminante testo-provocazione Sposati e sii sottomessa, ci facciano lezioni di bioetica e moralità; ci meritiamo, forse, che l’ultradestra di Forza Nuova e l’imam di Centocelle sfilino insieme a difesa della famiglia tradizionale, o che l’associazione ProVita Onlus sforni un video tanto paranoico quanto esilarante come questo:

https://www.youtube.com/watch?v=9ixb1XTewsw

 

Ma, tornando seri, è davvero frustrante constatare che questa povertà intellettuale possa decidere dell’amore e della felicità di centinaia di migliaia di persone e che alcuni gruppi percepiscano l’universalizzazione dei diritti come una minaccia ai propri. Provate voi a spiegare a una Sentinella che in natura esistono organismi transessuali o comportamenti omosessuali e bisessuali con una precisa finalità evolutiva (ad esempio, scaricare le tensioni sociali ed evitare i conflitti); provate voi a spiegare ai fautori della “famiglia naturale” che la famiglia monogamica ed eterosessuale non costituisce l’unico nucleo organizzativo della storia, ricoprendone anzi un segmento spaziale e temporale piuttosto ristretto; provate voi ad argomentare con un Giovanardi che non esiste qualcosa come l’ideologia del gender ma, al massimo, i gender studies, i quali sono sorti quarant’anni fa e non negano affatto l’esistenza di un sesso maschile e di uno femminile, ma semplicemente distinguono il sesso biologico dall’identità di genere, dai ruoli di genere e dall’orientamento sessuale e sostengono che i secondi sono fortemente influenzati da fattori socioculturali. Una distinzione fondamentale, specialmente in una società come quella italiana, ancora dominata da una mentalità patriarcale e da stereotipi sessisti.

I conservatori hanno gioco facile a banalizzare la discussione, a volgarizzarla in dicotomie manichee e categorie metafisiche che non descrivono e non racchiudono la meravigliosa complessità del reale. Ma ciò testimonia, ancora una volta, come alla base del rifiuto, della paura, dell’intolleranza, ci sia solo una buona dose di ignoranza e la necessità di difendere lo status quo.

Photo © Paola Di Micco

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