Le incredibili fughe da Berlino Est dei tre fratelli Bethke, una storia che ho sentito direttamente da loro

I fratelli Bethke sono delle leggende grazie alle loro rocambolesche evasioni dalla DDR

Essere ribelli spesso è solo un gran dispendio d’energie: si lavora male e non si va lontano. Mentre a essere obbedienti alle regole si costruiscono grandi cose e si fa strada. Eppure infrangere le regole non è lo scopo del ribelle vero: il suo obiettivo è più lontano e alcune norme vanno infrante per raggiungerlo. Avevo appena finito il periodo di leva obbligatoria, era la fine anni ’90, quando incontrai i fratelli Bethke. Ero appena arrivato a casa di mio padre qui a Berlino, la tv era accesa e i tre stavano vedendo un video. Sembrava una ripresa aerea fatta con un vecchio VHS. Si alzarono tutti, il più alto fece un passo avanti e mi diede la mano: “Ingo, piacere”. Non c’era certo bisogno di stringergli la mano per coglierne la forza, ma bisognava guardarlo negli occhi per capire che era inarrestabile. Ingo Bethke era il più grande dei tre fratelli cresciuti nella Germania Est, luogo che offriva un futuro a tutti ma bisognava essere obbedienti e non fare troppe domande. Non era un posto per ribelli. Non era un posto per i fratelli Bethke.

1975: l’attraversamento di un campo minato di notte

Nel 1975, Ingo era nella Polizia. Sarebbe potuto rimanerci per altri anni senza problemi, ma voleva vedere che posto era quello oltre il Muro, quello dove suonavano i Beatles. Una notte passò un punto poco illuminato del confine. Per attraversare il campo minato si aiutò con un bastone per setacciare le parti di terreno dove avrebbe messo ogni passo. Poi attraversò l’Elba su un materassino gonfiabile e arrivò salvo all’Ovest dove venne accolto dalla polizia di frontiera con un pasto caldo. Aveva 21 anni, esattamente come me quando lo incontrai. Erano anni che sentivo parlare di un tipo scappato da Berlino Est su di un cavo tra due palazzi e finalmente ce l’avevo davanti.

1983: rimanere appesi a un filo sulla Striscia della Morte

La fuga di Holger fu molto più complicata. Nel 1983 scappare era molto più difficile, i controlli si erano inaspriti e il confine era praticamente blindato. Ma nel quartiere di Treptow, l’angolo tra la Schmollerstraße e la Bouchéstraße non era ben pattugliato ed era male illuminato. È stata una pianificazione laboriosa a partire dalla comunicazione con Ingo che avveniva tramite lettere con un mittente fasullo e telefonate in codice tra intermediari. Per settimane si allenò al tiro con l’arco insieme a un amico. Controllarono se nell’attico della Schmollerstraße 5 le finestre erano abbastanza larghe da passarci. C’era da muoversi: più perdevano tempo nella preparazione, più si correva il rischio di essere scoperti dalla Stasi.

Il 30 Marzo del 1983, Holger e un amico entrarono nell’edificio travestiti da elettricisti e aspettarono il buio per 13 ore nell’attico. Bethke tirò due frecce dall’altra parte della strada, ma nessuna delle due andò a segno. Il colpo era particolarmente difficile: la freccia era collegata a un filo da pesca arrotolato intorno a una bottiglia di spumante per srotolarsi il più veloce possibile. Holger tese l’arco una terza volta e la freccia raggiunse l’altra parte. Ingo tirò il filo di nylon che portava il cavo d’acciaio e lo attaccò alla macchina per tenerlo in tensione. Holger andò per primo ma la pendenza tra i due palazzi è meno di quanto pensassero e si fermò a pochi metri dall’arrivo. Se essere appesi a una fune al quinto piano di un palazzo non vi basta, provate a immaginare questi dettagli: la vostra vita è appesa a una carrucola di legno fatta da un amico e 5 piani sotto di voi ci sono dei militari istruiti a sparare su qualsiasi cosa attraversi la “striscia della morte”. Fece il resto del tragitto aiutandosi con le mani e le gambe.

1989: ali spezzate ed eliche fracassate

La divisione tra l’Est e l’Ovest non era un semplice Muro, ma un macchinario di contenimento ben studiato e, come ogni macchinario, migliorava ogni anno. Nel 1989 scappare era quasi impossibile. Passare dalle facciate di un palazzo o scavare un tunnel erano opzioni che la Stasi conosceva bene ormai ed erano da scartare. La fuga era impensabile, ma non per dei ribelli come i fratelli Bethke. Ingo e Holger ebbero un’idea per far scappare il terzo fratello, Egberg. Comprarono due piccoli aerei che modificarono con dei motori più potenti per trasportare due persone invece di una. I sacrifici al dio della libertà furono: telai rotti, un’ala spezzata e diverse eliche fracassate. Chiesi a Ingo se non avesse avuto paura, le guardie di confine avrebbero potuto aprire il fuoco in qualsiasi momento ma lui mi disse che avevano attaccato due stelle rosse sotto le ali. Si fidava del fatto che durante la guerra fredda nessuno avrebbe aperto il fuoco per primo a un oggetto volante non identificato.

Decollarono a sud di Berlino prima dell’alba diretti verso Treptower Park dove Hegberg li spettava. Ingo atterrò mentre Holger pattugliava la zona dall’alto. Hegberg saltò sul sedile accanto tenso come una corda di violino per la paura di essere scoperti. Ingo lo calmò e gli disse di mettersi la cintura da buon fratello maggiore. Quando si levarono in volo e le cime degli alberi sparirono sotto di loro Hegberg fu attraversato da un pensiero che probabilmente hanno avuto tutti quelli che hanno passato il confine da profughi: lasciarsi indietro tutta una vita, una città, delle persone e non sapere se si potranno mai rivedere. Guardava la città divisa sotto di lui con il cuore pieno di malinconia ma diretto verso la libertà. E così posarono le ruote sul prato del Reichstag fino a fermarsi e spegnere i motori. I fratelli Bethke potevano finalmente vedere l’alba da uomini liberi in quell’ avamposto tenuto in vita dagli Alleati chiamata Berlino Ovest. Era impossibile perché era una follia ed ha funzionato perché era una follia. Non è semplice la strada del ribelle ma in fondo non è nella natura dell’uomo vivere dietro un muro.

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