9 Ottobre 1989: ecco come da una chiesa di Lipsia si arrivò al crollo del Muro di Berlino

Ubaldo Villani-Lubelli*

Il Muro di Berlino cadde il 9 novembre, ma il giorno decisivo che aprì la strada alla fine della Germania comunista era arrivato già un mese prima. Il 9 ottobre fu infatti il giorno della grande manifestazione di Lipsia in cui oltre 70 000 cittadini provenienti da tutta la DDR marciarono pacificamente chiedendo “più democrazia” sotto lo slogan Wir sind das Volk – Noi siamo il popolo. L’obiettivo non era esplicitamente quello di far cadere la Repubblica Democratica Tedesca (DDR), si chiedevano in generale più libertà e democrazia. Ingo Schulze, scrittore tedesco nato e cresciuto nella DDR, partecipò a quella manifestazione e in un vecchio articolo sulla Zeit raccontò che, tra i dimostranti, regnava la paura che il governo comunista scegliesse la “soluzione cinese”, ovvero lo scontro di piazza, se non il massacro. Del resto circa quattro mesi prima (4 maggio 1989) ciò che accadde sulla piazza Tienanmen di Pechino era stato applaudito dal governo di Berlino Est.

La manifestazione di Lipsia era l’ennesimo atto di una serie di altri eventi che stavano distruggendo la solidità della nazione. L’11 settembre il governo ungherese aveva aperto definitivamente, senza il consenso del governo comunista, i confini con l’Austria anche per cittadini della DDR. A Budapest e Praga migliaia di cittadini avevano assediato l’ambasciata della Repubblica Federale Tedesca. Il governo di Berlino Est non l’aveva presa bene. Nell’edizione dell’11 settembre del Neues Deutschland, l’organo ufficiale del Comitato Centrale della SED, si legge: “Si tratta di un’intromissione diretta negli affari interni della DDR. Con il pretesto di ragioni umanitarie si è organizzata una tratta di uomini. Con rammarico si deve prendere atto che i rappresentanti della Repubblica popolare ungherese, in spregio ad accordi e intese, si sono lasciati indurre a sostenere un’azione predisposta dalla Repubblica Federale Tedesca”.

I vertici del Partito Socialista (il SED) non si rendevano evidentemente conto dell’abisso che li separava dai cittadini. Come scrisse sulla Welt già nell’agosto del 1989 Rupert Scholz, ex senatore per la giustizia e gli affari federali a Berlino:  “la DDR era uno stato senza popolazione“. In realtà non si trattava di fughe dovute alla necessità, alla fame o alla violenza, quanto più che altro, come si legge in un documento del movimento di opposizione Neues Forum diffuso nel settembre del 1989, di una frattura tra la società e il potere politico e per questo si voleva dare origine ad una piattaforma politica per una riforma radicale della DDR. Tuttavia, tra il settembre e l’ottobre del 1989, lasciarono la DDR circa 50000 mila cittadini attraverso i confini di Cecoslovacchia e l’Ungheria. Il 30 settembre il ministro degli esteri della Germania Occidentale Hans-Dietrich Genscher annunciò dal balcone dell’ambasciata tedesca a Praga che i cittadini della DDR potevano espatriare ed entrare liberamente nella Germania Occidentale.

Nel frattempo, in molte delle principali città si organizzavano le cosiddette manifestazioni del lunedì (Montagsdemonstrationen). Lipsia divenne il cuore della rivoluzione pacifica e delle manifestazioni fin dai primi del gennaio del 1989. Il 9 ottobre  1989 il numero dei manifestanti fu di 70.000, il 6 ottobre 120.000, il 23 ottobre 200.000, il 30 ottobre 300.000, il 6 novembre poco meno di 400.000. La città era, tradizionalmente, uno dei principali centri di opposizione al regime. Le manifestazioni, che almeno dal 1983 venivano organizzate nella Nikolaikirche, erano poco tollerate dalle autorità comuniste. Dopo la preghiera comune si riunivano semplici cittadini e oppositori che reclamavano il diritto di lasciare la Repubblica. Sempre da Lipsia erano partiti anche le proteste contro i brogli nelle elezioni comunali del 7 maggio del 1989. In un contesto in cui dilagava un senso di impotenza e di rabbia, la Chiesa Evangelica, nella DDR, svolse un ruolo fondamentale. Fu un punto di riferimento perché offrì un luogo protetto di discussione, di confronto e di opposizione, “vessillo di speranza e centro di raccolta dei cittadini più critici”. Un membro del comitato centrale della SED, il partito unico della DDR, disse: “Wir hatten alles geplant. Wir waren auf alles vorbereitet. Nur nicht auf Kerzen und Gebete.” (“Avevamo pianificato tutto. Eravamo pronti a tutti. Ma non a candele e preghiere”).

La DDR era in fermento. Tutto questo avveniva alla vigilia del quarantesimo anniversario della Repubblica Democratica Tedesca che cadeva il 7 ottobre. Per non rovinarlo la SED concesse l’espatrio ai profughi delle ambasciate di Praga e Varsavia. Per dimostrare la propria sovranità e indipendenza la SED decise di portare i cittadini che volevano espatriare in treni speciali sulla linea della DDR che portavano direttamente nella Repubblica Federale Tedesca. Un errore fatale, perché di fatto indicò a tutti i cittadini che volevano abbandonare la DDR la via più facile.

Il giorno di festa e le solenni commemorazioni si trasformarono in un spettacolo penoso. Scrive lo storico Michael Stürmer: Mentre si approntavano sventolii di bandiere e striscioni per il fatale giorno di festa, si provavano le parate e i cori, la sabbia scorreva nella clessidra e gli uomini fuggivano verso ovest attraverso l’Ungheria, poi attraverso Praga. Erich Honecker, da 18 anni segretario del Comitato Centrale del Sed, era ormai segnato dalla malattia e tenne un discorso da burocrate, dogmatico e privo di una prospettiva futura, rispolverando la stantia immagina della DDR come bastione socialista contro l’imperialismo tedesco. Nessun riferimento al drammatico esodo che aveva segnato la Germania comunista. A fare da contraltare al discorso di Honecker, ci fu quello di Gorbaciov che non solo parlò in termini elogiativi dei colloqui avuti con il cancelliere tedesco Helmut Kohl ma invitò la SED ad iniziare un percorso di democratizzazione socialista.

Il giorno decisivo fu il 9 ottobre, giorno della più significativa delle manifestazioni del lunedì, naturalmente a Lipsia, appena due giorni dopo i festeggiamenti della DDR, nata il 7 ottobre 1949, esattamente quarant’anni prima (ve ne abbiamo scritto qui). Da quel momento la dittatura comunista in Germania non esisteva più e come scrive lo storico Stefan Wolle la vittoria della democrazia era solo una questione di tempo. Sotto la pressione delle manifestazioni della rivoluzione pacifica, di cui Lipsia ne fu la manifestazione più plastica, e dell’insofferenza dell’apparato, il 17 ottobre Erich Honecker, segretario generale del comitato centrale della SED, si dimise e lasciò il posto a Egon Krenz che la storia ricorderà come il curatore fallimentare della DDR. La storia non solo della Germania, ma di tutto il mondo, si avviava a cambiare….

Ubaldo Villani-Lubelli*: Giornalista e scrittore, è autore del blog Potsdamer Plazt: Germania, Europatwitter@uvillanilubelli, facebook

Bibliografia

Ingo Schulze, Als wir aus dem Schatten traten, in: Die Zeit, 8 ottobre 2009 (nr. 42).
Rupert Scholz, DDR: Uno Stato senza popolazione?, in: Die Welt, 15.08.1989.
Stefan Wolle, Der Weg in den Zusammenbruch: Die DDR vom Januar bis zum Oktober 1989, in: Die Gestaltung der deutschen Einheit, hrsg. Eckard Jesse und Armin Mitter, Berlin 1992, p. 97 e 107.
Peter Thomas Krueger, DDR: all’inizio di un lungo cammnino verso un futuro carico di incognite, in: Das Parlament, 6 ottobre 1989, trad. ital. in: Gian Enrico Rusconi, Capire la Germania, il Mulino Bologna 1990, p. 61.
Michael Stürmer, I confini della potenza. L’incontro dei tedeschi con la storia, il Mulino, Bologna 1996, p. 177