Cronaca semiseria di un ritorno a casa in S-Bahn, un venerdì notte qualunque, a Berlino

È l’una di un venerdì notte come tanti, e io sono sul treno in direzione Westkreuz che mi riporta a casa dopo una di quelle serate tranquille che lasciano sugli abiti l’odore caparbio di sigaretta e il ricordo vivido di una piacevole chiacchierata tra amici. L’atmosfera sul vagone è sonnolenta, regna quello stato di quiete quasi innaturale che ho imparato oltremodo ad apprezzare sui mezzi pubblici da quando vivo a Berlino. Un silenzio che concede spazio alla cadenza ritmica dei pensieri e che permette, a chi ha occhi curiosi, di osservare. L’orario non è neppure dei più affollati: è quello strano limbo temporale del venerdì notte berlinese in cui la stragrande maggioranza della gente è ancora in coda per entrare nei club e solo i più pigri decidono di rincasare. Nel mio caso, naturalmente, ha vinto la pigrizia. Nel vagone solo pochi passeggeri oltre a me, che approfitto volentieri di queste rare occasioni per guardarmi intorno e divertirmi a immaginare le storie di chi, seppure per la fugace parentesi di una sera, conduce la sua vita nella mia stessa direzione, verso il medesimo angolo della città. Un ragazzo pensieroso armeggia distratto con le cuffie di un lettore MP3. Una ragazza assorta nella lettura di tanto in tanto solleva gli occhi dal libro per guardarsi la punta delle scarpe. E un uomo di mezza età dall’aria stanca, forse reduce da un turno di lavoro, se ne sta con il gomito appoggiato al finestrino e la testa ciondoloni sul petto, morto di sonno. Il vagone accanto è deserto, fatta eccezione per un tizio ubriaco che barcolla pericolosamente ad ogni sobbalzo del treno. Nessun dettaglio insolito, dunque, tutto come da copione.

Manca poco alla mia fermata, e già pregusto l’accoglienza festosa del mio gatto, qualche pagina di lettura prima dell’anelato riposo e il risveglio assolato che le previsioni meteo hanno promesso a Berlino per il mattino seguente. Ma l’imperturbabilità dei miei pensieri non mi impedisce di notare con la coda dell’occhio che il tizio nel vagone accanto sembra impegnato a compiere strane manovre e ha tutta l’aria di volersi sganciare la cintura dei pantaloni. Mi persuado di essermi sbagliata, che la stanchezza gioca brutti scherzi, e mi riprometto di imbrigliare una volta per tutte la mia fervida immaginazione che va spesso a ruota libera. Penultima fermata, le porte si aprono. La ragazza con il libro scende, si richiudono.

 s-bahn

A quel punto mi convinco davvero di essere esausta, perché nel silenzio del treno comincio a udire un gocciolìo insolito, come quello di un rubinetto difettoso che perde a ritmo regolare. Prima il gocciolìo di un rubinetto, dopo qualche secondo lo scroscio deciso dell’acqua sulle pareti di un box doccia. Una doccia? Nella S-Bahn? È in quel preciso istante che due paia di occhi, oltre ai miei, si levano in perfetto sincrono rivolti verso il vagone accanto. E lo spettacolo non è certo dei più incoraggianti. Il tizio ubriaco, in preda a una frenesia da piccolo diavolo, si è totalmente calato i pantaloni e sembra aver perso il controllo delle parti basse: ha deciso di espletare i suoi bisogni fisiologici lì, sul treno, nel modo più plateale possibile. Con un sorriso beato e l’espressione orgogliosa del gatto tronfio che marca il territorio, l’uomo non si limita a imbrattare il pavimento, ma direziona il getto verso i sedili, i finestrini, le preziose mappe delle linee metropolitane messe a disposizione dalla BVG. E lo fa con una naturalezza e una gioia quasi commoventi.

Io e gli altri due passeggeri ci scambiamo uno sguardo imbarazzato, ma dalle smorfie che a stento riusciamo a trattenere mi rendo conto che tutti e tre muoriamo dalla voglia di esplodere in una fragorosa risata liberatoria. Siamo a distanza di sicurezza dall’irrigatore folle, quindi possiamo concederci il lusso di condividere l’ilarità del momento. Parliamo lingue diverse, forse non abbiamo nulla in comune, ma la casualità degli eventi ci ha permesso di comunicare nella maniera più istintiva. È uno di quegli sporadici attimi di complicità che unisce le vite di tre sconosciuti (quattro, compreso l’aspirante pompiere) e s’imprime indelebilmente nel ricordo, strappando un sorriso anche a distanza di anni. Tutto accade in fretta: la voce registrata chiama la mia fermata, rivolgo un cenno di commiato ai due passeggeri, mi avvicino alle porte e mi appresto a scendere.

È con una punta di tristezza che noto sulla banchina di Halensee, in corrispondenza del vagone accanto al mio, un assembramento di poliziotti – sedici, per l’esattezza – arrivati su segnalazione nel giro di un minuto scarso con la ferrea intenzione di insegnare il buon vivere civile all’uomo che ha appena seminato il terrore, e non solo, sulla S-Bahn. Prima di andar via li vedo distintamente: lo afferrano di peso e lo piazzano senza troppe cerimonie sulla panchina della stazione, decisi certamente a fargli passare un brutto quarto d’ora. Ammirevole zelo teutonico e reattività delle forze dell’ordine, un binomio che a Berlino riesce a farmi sentire tranquilla in qualunque zona e mi permette di rincasare a qualunque ora, da sola, senza dovermi necessariamente guardare le spalle.

Tuttavia, anche questa volta, preferisco non voltarmi. Esco dalla stazione ancora poco convinta di aver preso parte davvero, da spettatrice silenziosa, a una scena tanto surreale, che ha spezzato la monotonia di un viaggio regalandomi qualcosa da raccontare. E avviandomi verso casa sorrido, ripensando agli sguardi allibiti dell’uomo stanco e del ragazzo con le cuffie, testimoni come me dell’amena follia di un istante. La follia di uno sconosciuto qualunque, un venerdì notte qualunque, in una città che concede sprazzi tragicomici nei luoghi più inattesi.

A Berlino ci si annoia raramente. E ad annoiarsi, di solito, è semplicemente chi ha perso lo sguardo partecipe, quello capace di cogliere la grande energia sprigionata da un sorriso fortuito nel quale forse non gli capiterà più di imbattersi. E io, quello sguardo, spero con tutto il cuore di non perderlo mai. Per lo meno fino al prossimo incontro casuale con l’ennesimo, esilarante pioniere dell’assurdo che si troverà ad incrociare la mia strada.