A Berlino la moda si fa per strada

A Berlino la moda è consapevolezza. Tra sensibilità ambientale e forte identità, l’abito diventa un manifesto sociale

La prima cosa che mi ha colpita quando sono arrivata a Berlino è stato lo stile e il gusto berlinese. Giacche e mantelle di pelle, tagli di capelli minimalisti o estremamente eccentrici, outfit creati per accumulazione. Insomma, Berlino, e chi ci abita, non ha mezze misure quando si tratta di moda. Camminando da Warschauer Strasse verso la parte più interna di Friedrichshain, mi sembrava di stare su delle passerelle piuttosto che su dei semplici marciapiedi.

Un lieve senso di estraneità ha iniziato a insinuarsi in me.

Torino, la mia città, e l’Italia in generale mi sembravano provincia rispetto a questa capitale così estrosa. Ho iniziato così a chiedermi quali fossero le regole di questo gioco alla moda berlinese. Volevo iniziare a giocarci anch’io.

Cercando qualche informazione online sono capitata su una vecchia pubblicità del Berliner Morgenpost, uno dei più importanti quotidiani cittadini. La vedete in copertina. Ci sono due persone, un anziano che bagna le piante al piano rialzato di un palazzo e un ragazzo giovane che cammina per strada. I due indossano praticamente la stessa giacca. Sotto, la scritta “A Berlino non si sa mai se si è completamente in o out”, ponendo l’attenzione sul carattere intergenerazionale dei vestiti. Insomma, la moda qui è un tema di dibattito continuo. È così che ho deciso di andare nei più famosi mercatini vintage della città a chiedere ai berlinesi – cresciuti qua o d’adozione – come compongano i propri outfit, dove reperiscano i propri vestiti e quale sia la loro definizione di moda di strada.

A tu per tu con chi a Berlino ci vive (e si veste)

Sono partita da Holzmarkt 25, un villaggio urbano sulla Sprea sede di mercatini, eventi e concerti. 300 anni fa mercato per il commercio del legname, oggi si presenta come un progetto di sviluppo urbano orientato all’utente, dove musica, arte e comunità sono le parole chiave.

«Le regole dello street-style a Berlino non sono dettate dalle passerelle o da designer in particolare. È qualcosa che emerge dalle strade, gli spazi che viviamo ogni giorno, e vive in continuo mutamento» racconta Marcelo, portoghese da due anni nella capitale tedesca. Per Pedro, spagnolo: «L’importante è che rappresenti la tua personalità, le tue idee e i tuoi orientamenti. L’abito è qualcosa di molto identitario». Più persone incontro, più è chiaro che qui tutti, o quasi, proiettano nel vestirsi il proprio immaginario e i propri riferimenti estetici. Il risultato è un alto grado di individualità che si riflette sulla moda.

Brianna, una ragazza statunitense sostiene un concetto che mi ha colpito: «Consciamente o inconsciamente, per un bisogno di sentirci appartenere al posto in cui viviamo, tendiamo a conformare il nostro abbigliamento alle tendenze locali. Ogni città, però, ha le proprie regole non scritte. Quando sono venuta in Europa ho dovuto completamente ripensare il mio guardaroba, ma anche qui da città a città cambia molto. È difficile passare da Parigi a Berlino o da Milano a Londra, senza fare qualche modifica. I colori brillanti posso metterli a Miami, New York o Los Angeles. Qualche volta qui a Berlino mi sono vestita con colori brillanti, ma mi sono sentita subito fuori luogo!».

 

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Pensieri sul fast-fashion e le sue alternative

L’industria e i suoi consumatori pensano sempre di più a come rendere eco-sostenibile il settore della moda. In questo i berlinesi sono da anni in prima linea. Non di meno, la maggior parte delle persone che ho intervistato vestiva abiti di seconda mano.

A Berlino i Flohmarkt (mercatini delle pulci) settimanali sono un appuntamento fisso per i berlinesi. Quello domenicale del RAW-Gelände su Revaler Str. è particolare già per la location, una serie di ex magazzini di treni di epoca imperiale riconvertiti in un’immensa area culturale. Si può trovare abbigliamento e oggettistica di seconda mano, ma anche creazioni di piccoli brand locali. È anche il posto ideale per chi vuole liberarsi di vecchi vestiti affittando una bancarella per trenta euro e vendendo, magari assieme agli amici, i propri pezzi unici. Tra le tante persone che passano di bancarella in bancarella vengo colpita dal verde fosforescente di una sorridente ragazza. Si chiama Kristine, sulla borsa ha una targhetta con scritto Netflix, Pizza & Underwear perfettamente coordinata con i suoi orecchini.

«Sono molto preoccupata sull’impatto che i brand che fanno uscire nuove collezioni ogni 2 settimane hanno sull’ambiente. Oltre a optare per il second-hand o vintage, ci sono diversi modi per comprare vestiti in maniera consapevole. Il mio motto è “money to your neighbourhood” (“soldi al tuo vicinato”). Invece di comprare in grandi catene d’abbigliamento, è buono sostenere gli artigiani locali e i piccoli imprenditori del proprio quartiere. Così facendo, si investe sulla possibilità che esista sempre un’alternativa alla moda non-sostenibile.»

Kristine

Poco dopo conosco Jean, tedesca: «Sono una vera “window-shopper”. Sono molto attratta dalle vetrine, lo ammetto, però non compro subito. Quando vedo qualcosa che mi piace, me lo segno sulle mappe e ci dormo sopra. Se dopo una settimana o due ci penso ancora, allora vado e compro. È il mio modo per evitare il consumismo compulsivo».

Jean dalla Germania

La pratica dello “zu verschenken”

Chi viene a Berlino per la prima volta fa presto a notare degli scatoloni ripieni di oggettistica e vestiti lasciati ai lati della strada. Spesso sono accompagnati da un bigliettino con su scritto “zu verschenken“, che letteralmente significa “da regalare”. Queste cose vengono lasciate da altri cittadini e messe a disposizione dei passanti. È un’usanza diffusa pressoché in tutta la Germania, ma a Berlino particolarmente, visto il pessimo mercato immobiliare e l’alta frequenza con cui le persone cambiano casa nella capitale.

La maggior parte dei nostri intervistati ha ammesso di aver già preso, una o numerose volte, degli abiti da queste scatole “give-away”. Jean, in particolare, ci ha raccontato di aver trovato così il suo paio di  stivali preferiti.

 

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Il sociologo di Amburgo Frank Adloff, nel suo libro “Politik der Gabe. Für ein anderes Zusammenleben” (“Politica del dono. Per un modo diverso di vivere insieme”), parla del dono come del collante sociale per eccellenza. Secondo Adloff, l’uomo non è solo un homo oeconomicus, cioè un massimizzatore egoista dell’utilità, ma anche un homo donatore, un essere sociale generoso.

Il fatto stesso che si pensi di regalare oggetti di uso quotidiano quando si trasloca dimostra il legame del singolo con la società. La pratica dello “zu verschenken”, infatti, promuove la sostenibilità, libera dal disordine rafforza il vicinato. Crea anche una nuova consapevolezza oltre il classico consumo e aiuta le persone con minori possibilità economiche.

In un’epoca di fast-fashion, in cui i vestiti durano una stagione perché passano subito di moda o perché la qualità dura giusto un paio di lavatrici, ecco che Berlino dimostra di avere il suo modo di contrastare questo fenomeno. E per me, che fino a qualche mese fa le strade sembravano passerelle per altri, ora diventano un’opportunità, mentre mi guardo intorno cercando uno scatolone dove trovare, se sono fortunata, il mio futuro paio di scarpe preferito.

Cambogia, deposito di vestiti inutilizzati, frutto della fast fashion. Foto di Francois Le Nguyen © CC 0 – Unsplash

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