Noi, espatriati che ci lasciamo i genitori indietro privandoci del privilegio di poterli vedere invecchiare
Mentre una generazione cresce all’estero, un’altra invecchia in Italia senza potersi godere l’amore di ricambio
Per ragioni più e meno belle sto facendo abbastanza spesso su e giù con l’Italia. Vivo a Berlino dal marzo 2009, non ho mai sentito nostalgia di casa, non almeno come qualcosa capace di farmi dubitare delle mie scelte, però la famiglia che invecchia senza che io la possa vedere, o meglio, vivere e ridare parte dell’amore che ho ricevuto, beh, questo lo sento sempre più forte. So che non è un sentimento solo mio, che fa parte dell’uomo dai tempi della rivoluzione industriale e che si può essere fuori casa anche rimanendo nel proprio Paese (chi va all’estero però non può improvvisare un arrivo in auto o in treno), ma mai come in questa epoca il trasferimento oltre confine, Germania, Inghilterra o Australia che sia, è un fenomeno così esteso tra gli italiani, un popolo che più di altri ha fatto della famiglia un punto di partenza imprescindibile sia in termini educativi che economici (quanti giovani ora sopravvivono in Italia grazie ai risparmi dei genitori o alla pensione dei nonni?).
Nel 2014 sono emigrate 101mila persone, l’anno dopo 107mila. Nel 2016 ben 124mila di cui il 39% ha tra i 18 e i 34 anni. Giovani che all’estero faranno famiglie e di cui solo una piccola percentuale, nonostante le peggiori condizioni meteo, la qualità del cibo e il diverso calore umano, tornerà indietro. Un sondaggio qualche tempo fa ha dimostrato che se si parla di espatriati in Germania, la maggiore parte di loro sono felici. Si sono allungate le aspettative di vita, si sono alzate le ambizioni di un’esistenza che sia felice a tutto tondo, sia in termini di aspirazioni di lavoro (e allora ecco gli espatriati) che di amore (ormai tutti noi abbiamo avuto almeno un paio di relazioni importanti). Si punta al massimo, con il rischio, logicamente, che aumentino i casi di frustrazione e depressione, grande male della nostra generazione. Stando così le cose è difficile abituarsi all’idea di non vedere i nostri genitori invecchiare, provare a mantenerli giovani uscendo assieme, portargli (chissà, in futuro) nipotini o semplicemente stando seduti sul divano a conversare di politica o chiedendogli la definizione di un 42 orizzontale su un dettaglio della vita di Garibaldi che si è sicuri che voi no, ma vostro padre o vostra madre, beh, non ci sono dubbi che lo sanno.
Tutto questo per dire che oggi, a seguito di una chiacchierata di qualche giorno fa, mia madre (classe 1957) mi ha mandato un paio di foto di lei ventenne. Era bellissima (come ora a 60 anni) e mi sono un po’ commosso. Ogni volta che mi viene a trovare dice che le manco. Normalmente le dico di non preoccuparsi, che va tutto bene, che è anche bello che quando ci vediamo stiamo così tanto assieme. E ci credo mentre lo dico. O meglio, ci credevo. Ora mi rendo conto che ha ragione, ma è meglio che lo pensi e basta, perché ammetterlo fa un po’ male. A me, come a lei.
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