Sono stato a Else domenica pomeriggio

“Clubbing alla berlinese”, modi alternativi di digerire il pranzo domenicale il pomeriggio a Berlino: c’è chi va a Tempelhof a pattinare, chi si gode i laghi e chi va all’Else a “clubbare”

articolo di Simone Speciale e Lorenzo Mollicone

La dimensione che gli italiani conoscono molto poco è quella del club la domenica pomeriggio, dopo pranzo. Mentre il carico culturale dello stivale impone un sano riposo post pranzo, i berlinesi vanno volentieri a fare due salti a suon di techno. Il club in questione è l’Else di Berlino, costruito sulle rive dello Sprea, utilizzando solo container in disuso. Il club, infatti, ha la sua particolarità nella struttura, ricavata da uno spazio relativamente piccolo, ottimizzato con l’utilizzo di container posti anche uno sopra l’altro. Hanno tirato fuori un resort da uno stagno.

All’ingresso la selezione non è “terroristica” come comunemente è per la maggior parte dei club a Berlino. Proviamo ad entrare in guest-list ma non ci riusciamo, perché il contatto si era dimenticato di dare i nostri nomi all’ingresso. Senza che il panico prendesse il sopravvento, la bouncer ci dice che non è un problema, ma l’alternativa è pagare il prezzo pieno. Normalmente, per un missunderstanding di questo tipo, in un qualsiasi altro club saremmo stati respinti alla frase “non è la vostra serata”. Forse ha giocato a nostro favore il fatto che fosse pomeriggio, facendo perdere di senso tutta la frase.

Una volta tappati i cellulari con gli adesivi, pagato il biglietto e messo il timbro, la direzione che prendiamo è quella verso la quale ci guida la musica. Un sound anni ’90 dalle note funky, che inizia con bpm molto da afterparty. Una techno “ampia e chill”, come una passeggiata, nonché una marcia. Pian piano i ritmi si fanno più spinti, senza degenerare mai nella hard-techno, anche perché il posto non sembrava, a quell’ora, avere i presupposti per ritmi più serrati.

Colori, atmosfere e sound estivi a Else

La line-up ci ha accolto con un abbraccio di Nick Hoppner (musicalmente parlando) e Leopol che ha serrato molto bene un’onda, alzatagli in assist dal collega. Due dj-set in outdoor, quelli entro i quali ho fisicamente resistito, con sonorità che deliziano i gusti dei più spinti e di chi cerca un’andamento più “chill” nelle ore più calde. Un gusto anni ’90 che conduce il gioco, fino alla fine di quello che, convenzionalmente, viene definito come pomeriggio. La sensazione è sempre quella di essere accompagnati. La musica spinge come una corrente floreale e fluorescente, dove il dj guida le spinte corporee dei presenti, mescolando caratteri diversi, senza escludere nessuno.

Uno stile molto fresco, con una line-up pomeridiana che cullava, forse in maniera un po’ spinta rispetto al normale cullare, i fedelissimi berlinesi che ballano la domenica dopo pranzo. Colori ovunque, dai suoni agli outfit dei presenti. L’estate vista Sprea mostra un volto strano di Berlino in cui, al terzo vodka mate, mentre stai aspettando l’ennesimo drop, alzi la testa e incroci lo sguardo di Lorenzo che dice: “ma quelli stanno andando in s.u.p.” (sport nel quale si sta in piedi su di una tavola e, con un remo, ci si muove a pelo sull’acqua), scorgendoli dalla vista sul fiume. Un mashup tematico, che fonde il clima caraibico, gli sport da spiaggia alla techno bitonale da speed, ketamina e maschera da cane.

Interessanti interazioni con lo staff di Else

Al bar ho un breve battibecco con la barista in una lingua sconosciuta ad entrambi. Il problema era, a detta sua, che non si poteva fumare al bar, quando però, il bar, non aveva nessun confine strutturale che lo  separasse dalla pista, dove, invece, fumare sembrava più che accettato; anzi, quasi necessario. Ho chiesto, quindi, come fosse delineato il perimetro del bar per comprendere dove non fumare, ma la sua risposta è stata generica e un filo rancorosa.

Arrivato al terzo drink mi rendo conto che fa troppo caldo, nonostante fossimo all’aperto. Anche il fatto che il club sia “all’aperto” non è profondamente vero. Il tetto, infatti, è a vetri, come quello di una serra, guarnendo tutto con i vapori corporei delle persone ubriache che ballano, il fumo delle sigarette, il fumo della macchina del fumo. Il risultato è una cappa di caldo importante con niente da invidiare alla più fitta giungla del sud America.

Il plot-twist arriva verso 17:30, quando in balia del troppo caldo e delle bottiglie di acqua troppo fredde, il mio fisico è andato in protezione, facendomi perdere i sensi, in puro stile da malessere balneare delle 12:00, vista mare senza ombrellone. Dopo due bicchieri di acqua e sale, un paio di sigarette e mi riprendo, rendendomi conto della reale conformazione delle zone “chill” del club, pensate appositamente per situazioni come la mia. Luoghi appartati, comodi, in cui è possibile sdraiarsi senza dare troppo nell’occhio. Il problema era il volume della musica che, comunque, nonostante fossi strutturalmente sopra la pista da ballo, sembrava mi fossi sdraiato nella bocca del subwoofer. La conformazione dei club mi stupisce sempre per la lungimiranza e l’adeguatezza dei posti rispetto problematiche che si possono presentare: dal colpo di calore alle conseguenze di “clubbate” più spinte da 72 ore, tra disidratazione ed entusiasmo di svariata natura chimica.

Le conseguenze dell’amore da club:

Restare e andare a ballare da soli

Ci abbracciamo con Simone. Appena stacchiamo e riversiamo i nostri sguardi ognuno sulla propria via, i miei occhi si incrociano con quelli dell’addetta al guardaroba: ha visto il nostro saluto e la sua espressione facciale empatizza con la situazione. Salgo sulla parte rialzata che affaccia verso la strada fuori, per salutare un’altra volta Simone, ma non lo vedo. Girando lo sguardo c’è la stazione S-Bahn di Treptower Park e rivedo me stesso, che, esattamente una settimana prima, ero lì sulla banchina a farmi trasportare dalle vibrazioni musicali di Else, mentre aspettavo il Ring. Ora ci sto finalmente dentro. Ora però sono anche “solo”.

Nella mia esperienza di club berlinesi tante volte mi è capitato di ritrovarmi in questa condizione. Io e una moltitudine di persone sconosciute intorno, dentro un posto nuovo per i miei sensi e per il mio backgroud culturale. Affascinante, ma ogni volta anche un po’ spaventosa e non facile. Il carico sociale che ci pesa nello stare da soli non so esattamente da cosa derivi, sicuramente però la mentalità tedesca mi sta insegnando a gestirlo.

Qualche respiro di sigaretta profondo, guardando chi affronta i 32 gradi domenicali tuffandosi nella Sprea -con annessa riflessione sul perchè noi romani non riusciamo a sfruttare il Tevere nello stesso modo- e poi di nuovo giù nel cortile interno a ballare. Nei club le insicurezze sociali si decostruiscono di pari passo con la ricerca di collocamento nel posto più idoneo in pista, ed effettivamente, una volta presa la postazione al vertice laterale dell’area console (con vista dj, udito sottocassa e giusto spazio intorno per far esprimere il corpo), mi sento felice, sereno e pronto a sintonizzare i bpm del cuore con quelli delle tracce musicali.

Imparare a navigare tra le correnti musicali

La dj che sta suonando ovviamente non so chi sia. Mi rapisce però per il suo volto francese molto simile a Rudi Garcia, nuovo allenatore del Napoli. Da questo imput la mente inizia a viaggiare tra mille bisettrici in cui si intersecano familiari, amici e persone speciali. Sono solo fisicamente, ma mai come quando ballo qua a Berlino mi sento così tanto connesso con chi ha condiviso con me parti di vita. Sento energia intorno a me e cerco di ricambiare con la mimica del corpo colei che la sta creando componendo musica.

Allo stesso tempo penso anche a come sia possibile ballare così tanto. Oltre il caldo, sulle gambe si fanno sentire i tanti chilometri della marcia-danzante Rave The Planet, per le strade di Berlino, il giorno prima. Mi rendo conto di quanto flow musicale e atmosfera intorno siano determinanti nel farmi saltellare ancora felice. Poter ballare all’aria aperta e sotto le foglie illuminate di un albero vero sono dettagli che fanno la differenza e su cui probabilmente Else ha saputo costruire il proprio valore negli anni. Anche il tipo di musica si lega con l’ambiente circostante. Una finestra vetrata apre uno spiraglio di vista su OST, un altro club musicale esattamente dall’altra parte del fiume. In quel momento mi sembrano i due custodi della club culture, speculari sia geograficamnete che nell’attitude spirituale, come Scilla e Cariddi: in mezzo un mare di correnti elettro-musicali.

OST merita un approfondimento a parte, ma per capirci rapidamente ha una sala pesi panoramica e gli eventi vengono chiamati maratone: la musica traina i corpi nell’esercizio fisico e nello sfogo di ciò che hanno dentro. Il mood è molto strong e dark in musica e infissi. Esattemente l’opposto di Else. In un mondo che da quando siamo nati ci classifica e divide con azzurro e rosa, Barbie e Gormiti, calcio e shopping, io maschio dovrei star ballando a OST. Se invece sto ancora qua a ballare da solo di domenica a luglio senza nessuna voglia di andarmene è proprio perchè sto a Else.

Elogio alla femminilità Elsica e diabolica

Il flusso elsico sta dando ossigeno all’anima femminile che vive nel mio corpo. La sessualità d’altra parte anche a livello biologico è uno spettro in cui appartengo i caratteri di entrambi i sessi. La femminilità mi sta facendo capire il flow e cavalcare il ritmo; senza sarei già a dormire o a guardare Wimbledon. E invece il tempo sembra stare fermo mentre la giornata va avanti: chiude la pista open-air e apre la sala dentro. La festa non si ferma con la notte e sale d’intensità.

Il logo di Else, illuminato rosso-neon sopra la console, sembra parlarmi. Non servono necessariamente muscoli e forza fisica per sfidare l’oscurità e ballarci dentro. Diavole non sono solo le pizze che qua vendono: Diavola è Cinthie, la dj piromane di questa notte a Else.
Diavola è Cassy, la dj che ha chiuso la pista outside, convincendomi a rimanere solo nel club, dove poi sono arrivati altri amici. Oltre ad assomigliare a Rudi Garcia è anche la curatrice della giornata.
Diavola è Gigibasso, una ragazza conosciuta in pista in uno scambio incrociato di drink e canne. Fa la dj DivaTechno, è felice di aver rinunciato alla sua vacanza a Roma per rimanere a Berlino, sta in fissa con Tivoli e Campobasso (da cui ha preso il nome d’arte) e ci spiega che siamo al cospetto di una leggenda vivente dell’elettronica. Cinthie appunto, in grado con la sua arte di farti bruciare più del piccante e assaporare la vita più del pensabile.

La musa ispiratrice si impersonifica in questa circostanza in una signora con un vestito lungo verde che la fa sembrare una volatile tropicale. Da ore e ore continua a piroettare sottocassa scambiandosi cinque, sorrisi e abbracci con gli amici. Parlano italiano, staranno sulla trentina d’anni e sembra stiano facendo scorta di divertimento per il resto dell’anno. Con Simone ci divertiamo a immaginarla come una professoressa di filosofia; forse perchè una professoressa così non l’abbiamo mai avuta. E un posto dove divertirsi così la domenica pomeriggio, nemmeno. Grazie Else.

Leggi anche: Rave the planet, a Berlino torna la grande parata techno

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Immagine di copertina: Pexels