Ho passato un fine settimana di…musica live a Berlino
Dal live al Frannz-Club al JazzClub-kunstfabrik schlot: l’indie-rock e il Jazz mi hanno fatto dimenticare per 48 ore la techno di Berlino
Il fine settimana è iniziato con il live de Lo Stato Sociale per concludersi apparentemente con il My Unique Jazz festival. Pensavo che questo avrebbe esaurito la mia voglia di musica, ma ha aperto delle questioni: mi spaventano i tram, il Jazz e mi sento a casa se qualcuno suona la chitarra e mi parla di politica.
Lo Stato Sociale, un live meravigliosamente familiare
Arrivo al Frannz Club di corsa, come spesso accade ultimamente a Berlino. Mi ricongiungo a Jacopo che stava già lì da un quarto d’ora e capiamo da dove entrare. Il posto si presenta imperioso all’esterno, nonostante dentro le dimensioni siano circoscritte ad una sala, il guardaroba, un corridoio e un bagno. Stop, fine del “Club”. Lascio lo zaino al guardaroba e entriamo a farci una birra. La situazione ricorda tutto, fuorché un pre-concerto. Sembra l’inizio di un’occupazione bolognese, come quelle che fanno al 38. Gente sparsa a gruppetti modesti che parla di politica, il tavolino di promo all’ingresso per il concerto dei Modena City Ramblers del 26 ottobre; diciamo che, in qualche misura, mi sentivo a casa.
Inizia il live che subito i “regaz” mettono i puntini sulle “i”. Alla domanda quanti italiani, si solleva una selva di mani alzate. Solo tre persone, su per giù, erano tedesche. Rispettavano lo stereotipo dei fidanzati che accompagnano le ragazze al concerto indie-italiano a Berlino. Tutto quadra, nei canoni che immaginavo. Il plot twist arriva appena iniziano a suonare, lasciandomi senza parole e pieno di turbolenze emotive. Sia musicalmente che non, il concerto ha il respiro che meritava. Lo Stato Sociale non ha mai avuto paura di fare politica sul palco, tralasciando il festival di Sanremo, ma lo ha sempre fatto senza politicizzarsi.
Non serve per forza cantare “Bella Ciao” per fare politica su un palco
Il gruppo ci ha accompagnato, per due ore scarse, nell’immersione in quelle acque che li hanno sempre caratterizzati: quella leggerezza musicale con cui trattano la pesantezza di temi socialmente difficili. Sollevare questioni, senza dover necessariamente dare risposte, permette al gruppo di parlare di società, senza fare “pipponi”, senza sfociare nell’opinionismo, usando la forma canzonata dell’indie-italiano, per fare quello che Calcutta non è riuscito a fare: farci commuovere parlando di amore, insofferenza sociale e disoccupazione, mettendo magari tutto nella stessa canzone, senza togliere però spazio a niente.
Il Festival del Jazz che fa volare leggeri, come se a suonare fossero tutti i presenti
Il Jazz è un genere ingombrante. Non fa ballare, non lo puoi cantare in coro all’italiana come un inno da stadio. Il Jazz è come il tram a Berlino: mi spaventa a priori, perché va troppo lento, ma cammina sui binari. Questo, però, ti consente, se elimini la fretta di arrivare, di vedere esattamente il percorso che fai per andare da un posto all’altro, perché devi toccare tutti i passaggi intermedi.
Arrivo in punta di piedi, con la certezza mentale che tutto intorno a me dormisse. Un silenzio che bucava le orecchie. Immerso tra i palazzi, arrivo nei pressi della stazione di Nordbahnhoff, in una foresta di palazzi silenziosi.
Un piano più giù, era nascosto da una scala, il Jazzclub-Kunstfabrik Schlot. Gli occhi silenziosi di Berlino, che fanno finta di non guardare, ma ti osservano, ti controllano. Nel corollario di cose sconsigliate a Berlino c’è sentirsi liberi. Qui il concetto di libertà è molto strano.
È difficile nel 2023 coinvolgere in prima persona gli ascoltatori quando suoni uno strumento acustico live. Il rischio è quello di cadere nei tecnicismi per “professionisti del settore”, quindi fare musica per i musicisti. Soprattutto a Berlino. È facile immedesimarsi con una station e un dj, più complicato con un sassofonista che suona bossa-nova o con un contrabbassista che viene da NY, con la sua camicia azzurra e la faccia di chi ha studiato per farlo, magari ancora prima di imparare a camminare.
Una conversazione piacevole in cui sto in silenzio e non parlo con nessuno
Prendo posto e chiedo due birre. La sala è molto piena, il posto indossa tutti gli abiti del genere e non lascia troppo spazio all’interpretazione: è un Jazz Club.
Il gruppo inizia a suonare, con un Andrea Marcelli alla batteria che fa da chiave di volta. Il Sassofono irrompe dopo un po’, ma entra come il profumo del caffè: deciso, intenso e amaro. Il gruppo è una novità della serata, perché i musicisti si conoscono, ma è la prima volta che suonano insieme. Il pubblico muove la testa, approvando, seguendo, ascoltando. Il live è una conversazione di strumenti, che interagiscono tra di loro e tutti hanno qualcosa da dire e lo spazio per farlo.
Ho assistito a un dibattito democratico, libero ed emozionante, in cui il mio ruolo era di ascoltatore silenzioso, attento ai rilanci e sensibile ai silenzi. Il Jazz è un dialogo, in cui non si parla di niente, che tira in mezzo tutti, usando il silenzio di chi ascolta. Un silenzio che da’ un contesto ai suoni, che sembrano parole, ma risultano spessi come concetti.
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