Berlino capitale queer già a inizio Novecento: il nuovo documentario Netflix Eldorado

Il nuovo documentario Netflix Eldorado è una rievocazione storica della libertà queer della Berlino pre-Hitler e delle persecuzioni naziste e del dopoguerra, con storie individuali e documenti ufficiali

La scorsa settimana su Netflix è uscito il nuovo imperdibile documentario Eldorado – tutto ciò che i nazisti odiano. Il regista Benjamin Cantu, con interviste, rievocazioni e filmati storici, documenta la vita LGBTQ+ berlinese, dalla libertà dei locali queer dei primi decenni del Novecento alla persecuzione non solo nazista ma anche della Germania post-bellica.

Un emozionante documentario sulla sottocultura queer della capitale, tra testimonianze storiche e destini individuali

Tra Motzstraße e Kalckreuthstraße, l’Eldorado di Schöneberg è il locale queer più famoso a Berlino negli anni ’20, un luogo di libertà a metà tra il Berghain e lo SchwuZ, ma col Charleston al posto della techno. Ne parla anche Christopher Isherwood (che tra l’altro menziona anche il KitKat da cui ha preso ispirazione il club odierno) e si può trovare rappresentato nei quadri di Otto Dix. Oggi, però, del locale non vi è più nessuna traccia.

Ecco il motivo per cui Netflix e gli sceneggiatori hanno deciso di raccontarne: perché non si dimentichi la storia della comunità LGBTQ+ berlinese del Novecento. Il regista e co-sceneggiatore Benjamin Cantu ha affermato: “Questa parte della storia tedesca è ancora oggi sconosciuta a molti. La storia dell’Eldorado e in particolare quella delle persone queer -la cui persecuzione non finì nel 1945- fu scomoda per il pubblico del dopoguerra per molto tempo e fu messa a tacere. Realizzare il film per il gigante globale dello streaming Netflix e i suoi 233 milioni di abbonati è un segnale importante in un momento in cui i diritti LGBTQ+ sono sotto pressione in molti luoghi in tutto il mondo”.

Il film è stato realizzato con materiale d’archivio in parte scoperto di recente, con la partecipazione di un team prevalentemente queer, sia davanti che dietro la macchina da presa, tra cui l’autrice Morgan M. Page, la politologa Katrin Himmler e lo storico Robert Beachy, oltre che una serie di testimoni dell’olocausto. Il documentario è uscito il 28 giugno, proprio in occasione dell’anniversario dei moti di Stonewall del 1969 a New York. Ma come mostra il film, la storia dell’emancipazione queer è molto più antica del Christopher Street Day.

La Berlino queer degli anni ’20, tra ufficiali nazisti gay e interventi per la riassegnazione del genere

Già nei ruggenti anni Venti, la vita notturna berlinese conta circa 120 luoghi queer. Ci sono già magazine per persone gay (come il Die Insel), lesbiche (Frauen Liebe e Die Freundin) e trans (Geschlecht), e nel 1897 nasce a Berlino la prima organizzazione al mondo per i diritti degli omosessuali. Nel 1919 Magnus Hirschfeld fonda a Berlino l’Istituto per la ricerca sessuale, in cui esegue i primi interventi chirurgici per la riassegnazione di genere di tutto il mondo.

Il Paragrafo 175 del codice penale tedesco dal 1871 rende reato la fornicazione tra uomini, punibile col carcere, ma fino all’epoca nazista la sottocultura queer della capitale riesce a fiorire senza problemi.

Il documentario intreccia la storia di Charlotte Charlaque e Toni Ebel, prime donne trans a sottoporsi all’intervento chirurgico, con la storia dello stesso Hirschfeld (anche lui uno degli ospiti dell’Eldorado) e con quella di altri personaggi divenuti poi celebri nel mondo queer.

Il personaggio di cui si parla di più è sicuramente il capo delle SA Ernst Röhm, la cui omosessualità era un “segreto di pulcinella sulla bocca di tutti”. L’omosessualità del capo delle camicie brune non interessava ad Hitler, a patto che mantenesse una certa discrezione. Gli uomini delle SA vivevano però in un contesto di mascolinità tossica e di cameratismo così radicali da renderli misogini e spesso omosessuali. Il risaputo omoerotismo diffuso nei reparti d’assalto fu quindi la causa dell’uccisione di migliaia di ufficiali, per mano dell’organizzazione paramilitare SS, sotto ordine di Hitler. 

Eldorado insegna a combattere per mantenere i diritti conquistati

Questo documentario ci mostra come le libertà conquistate dal mondo queer sono spesso molto fragili e possono essere sottratte radicalmente in pochissimo tempo, come è successo con la presa di potere dei nazisti.

Nel 1933 l’Istituto Hirschfeld viene distrutto, l’Eldorado chiuso, e Ernst Röhm assassinato dalle SS per la sua omosessualità: per reazione alla libertà degli anni Venti, negli anni Trenta inizia la peggiore persecuzione di omosessuali della storia. Le persone lesbiche erano invece perseguitate in modo più indiretto, ed erano spesso deportate in campi di concentramento sotto il termine di “asociali”.

Nonostante questo, la resistenza queer continua, e se all’inizio della persecuzione le persone queer potevano essere arrestate, nella metà degli anni ’30 Hirschfeld riesce a ottenere dei “trans pass”: è la prima volta al mondo in cui le persone trans hanno un riconoscimento legale e possono uscire in pubblico con gli abiti che preferiscono. Hirschfeld diventa molto conosciuto, ma allo stesso tempo è considerato “il medico che sta effemminando la Germania”, mentre intanto le persecuzioni si inaspriscono.

La polizia nazista inizia a redigere pink list di sospettati omosessuali, con l’aiuto dello stesso popolo tedesco che è invitato a denunciare qualsiasi movimento losco: si stimano circa 100.000 accusati di omosessualità, 50.000 condannati in via definitiva. Nei campi di concentramento muoiono tra le 5.000 e le 15.000 persone queer, molte delle quali solo sospettate di esserlo. Oltre a subire trattamenti particolarmente brutali, esperimenti medici e castrazioni, le persone internate col triangolo rosa non ricevono alcuna solidarietà da parte degli altri detenuti, perché ritenuti anche da loro i più reietti tra i reietti. E così rimangono anche alla chiusura dei campi.

Ma la persecuzione non si ferma con la fine del nazismo

Alla fine della guerra, a differenza degli ebrei, gli omosessuali sopravvissuti vogliono raccontare la propria storia ma non possono: la persecuzione contro le persone queer non è considerata un’ingiustizia. Tutta la Germania Ovest adotta il Paragrafo nazista 175 e condanna circa 50.000 uomini, lo stesso numero di uomini che i nazisti avevano condannato durante i loro dodici anni di governo. La versione nazista di questa legge non ottiene alcuna riformulazione fino al 1969, e viene abrogata definitivamente solo nel 1994. L’omocausto arriva all’attenzione pubblica solo durante il movimento di liberazione gay degli anni ’70. (Per farti un’idea della criminalizzazione dell’omosessualità anche nel dopoguerra, vedi il film Great freedom (2021) di Sebastian Meise)

Le fonti che attestano la persecuzione nazista degli omosessuali sono scarse perché molti documenti furono distrutti prima dell’arrivo degli Alleati. La Berlino queer di oggi si è reinventata, si è allargata e diversificata, ma del suo legame col passato si parla ancora troppo poco. Era dunque ora di farci i conti.

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Immagine di copertina: screenshot di YouTube