Witold Pilecki, l’eroe polacco che entrò volontariamente ad Auschwitz
A settembre del 1940 Witold Pilecki entrò volontariamente ad Auschwitz per raccogliere preziose informazioni e organizzare la resistenza dei detenuti
Witold Pilecki, membro attivo della resistenza polacca contro i tedeschi, è un eroe del suo tempo. Il 19 settembre 1940 si fece arrestare dalla Gestapo durante una retata a Żoliborz, frazione di Varsavia. Fu deportato nel campo di concentramento di Auschwitz sotto il falso nome di Tomasz Serafinski, e ci restò per quasi mille giorni. Convinto antinazista, era deciso ad organizzare una rete di resistenza tra i detenuti e a raccogliere informazioni dall’interno da trasmettere agli alleati.
Ma chi era Witold Pilecki? Figlio della guardia forestale Julian Pilecki e di Ludwika Osiecimska, nacque nel 1901 nella Repubblica di Carelia, parte dell’Impero Russo ai confini con la Finlandia, dove la sua famiglia era stata deportata dopo la Rivolta di Gennaio del 1863. Nel 1910 si trasferì con sua madre e i suoi quattro fratelli a Vilna, in Lituania. Con l’avvento della Rivoluzione Russa e la sconfitta degli Imperi Centrali nel 1918, Pilecki si arruolò in un’organizzazione paramilitare schierata con il Movimento dei Bianchi, e nel 1920 prese parte alla cruciale Battaglia di Varsavia contro le forze sovietiche.
Dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Pilecki diventò comandante di plotone di fanteria, e combatté per fermare l’avanzata tedesca. Quando l’Unione Sovietica invase la Polonia da est, continuò instancabile a contribuire alla resistenza. Poi, l’idea. Pilecki presentò ai suoi superiori il piano che sarebbe diventato una delle più pericolose – ma preziose – missioni dell’epoca. Decise di infiltrarsi ad Auschwitz, di cui non si avevano informazioni certe, per vedere in prima persona la realtà del campo.
L’arrivo ad Auschwitz
Nel 1939, quando la Polonia soffriva per la pressione militare tedesca, Pilecki, insieme al maggiore Jan Włodarkiewicz e ad altri ufficiali, fondò il movimento di resistenza clandestina della Tajna Armia Polska (l’esercito segreto polacco). Nell’agosto del 1940 la Gestapo catturò tre membri di spicco della TAP, trasferendoli tutti nel campo di concentramento di Auschwitz, aperto qualche mese prima. Giravano solo delle voci su quello che accadeva nel campo, e ora che la resistenza polacca era stata colpita così da vicino, era necessario saperne di più. A quel punto, Pilecki non esitò ad entrare volontariamente ad Auschwitz come spia.
Per fornire un’attendibile fonte interna al governo polacco in esilio e agli alleati, Pilecki si fece arrestare a Varsavia insieme ad altri 2000 civili. Diede alla Gestapo un nome falso per proteggere la sua famiglia, prima di diventare nel campo di concentramento nient’altro che un numero, il 4859. Del momento in cui varcò i cancelli di Auschwitz, Pilecki scrisse: “Ho detto addio a tutto ciò che avevo finora conosciuto in questa terra e sono entrato in qualcosa che non ne faceva più parte”. Quello che vide andava oltre ogni immaginazione.
“Con almeno cento altri mi hanno portato in bagno. Qui hanno dato a tutti dei sacchi, contrassegnati dal rispettivo numero. Hanno tagliato i nostri capelli, i peli del corpo, e ci hanno spruzzato acqua fredda. Ho ricevuto un colpo alla mascella con una sbarra pesante. Ho sputato due denti. Ho cominciato a sanguinare.” Questo il benvenuto riservato ai detenuti: uno smistamento violento seguito da una totale privazione della propria identità. Oltre al dolore personale, Pilecki doveva fare i conti con l’atroce spettacolo dei suoi connazionali giustiziati. Durante il suo primo anno ad Auschwitz, i polacchi erano il gruppo di detenuti più numeroso, e venivano spesso uccisi pubblicamente e in modo brutale.
La rete di resistenza e i primi rapporti inviati all’esterno
Già dopo i primi giorni di permanenza nel campo, Pilecki cominciò a tessere una rete di contatti con altri prigionieri. Fondò insieme a loro la prima organizzazione di resistenza clandestina, la ZOW (Związek Organizacji Wojskowej). L’obiettivo della ZOW era duplice, uno interno al campo, uno esterno. Il primo era supportarsi a vicenda, dividendo e ridistribuendo vestiti e razioni di cibo, e aiutandosi con i lavori forzati. Il secondo era veicolare informazioni e messaggi dentro e fuori dal campo.
La resistenza guidata da Pilecki inviò il primo rapporto nell’ottobre del 1940, che raggiunse Londra passando da Varsavia e dalla neutrale Svezia. I racconti furono uno shock, gli Alleati stentavano a credere alle violenze e delle atrocità disumane subite dai deportati. Dal 1942, il movimento riuscì anche a trasmettere importanti dati sugli arrivi e le morti nel campo attraverso una radio costruita clandestinamente dai detenuti. Le loro operazioni erano mosse dalla speranza di un intervento imminente degli Alleati nel campo, che però non si concretizzò. Pilecki chiese più volte di bombardare il campo, perché per i prigionieri l’eventualità di morire in vista della liberazione era meglio che continuare a vivere gli orrori di Auschwitz.
La fuga da Auschwitz
La Gestapo cominciò ad individuare ed eliminare i cospiratori. Persone appartenenti alla ZOW furono uccise, e dopo quasi tre anni di prigionia, Pilecki decise che era il momento di progettare la fuga. La notte tra il 26 e il 27 aprile del 1943 l’ufficiale polacco e altri due detenuti riuscirono a scardinare la porta del panifico in cui lavoravano e a richiuderla dall’esterno eludendo le guardie. Avevano studiato il piano per settimane, procurandosi documenti falsi e abiti civili, e scegliendo il giusto percorso per non essere scoperti. Avevano con sé anche delle pillole di cianuro, da ingerire nel caso fossero catturati dai nemici. Nella storia del campo di Auschwitz, su 800 tentativi di fuga, solo 144 andarono a buon fine. Quello di Pilecki e i suoi compagni è uno di quelli.
Dopo quattro mesi, Pilecki riuscì a raggiungere Varsavia e venne assegnato al quartier generale regionale dell’esercito nazionale. Nonostante i suoi dettagliati rapporti, l’esercito decise di non intervenire per liberare il campo. Erano troppo deboli per riuscire in una tale impresa militare senza aiuti.
Quando scoppiò la rivolta di Varsavia nell’agosto del 1944, Pilecki si offrì volontario e combatté come soldato semplice in città, senza rivelare il suo vero grado ai suoi superiori. La rivolta venne però soppressa, e Pilecki si arrese alla Wehrmacht, le Forze Armate tedesche. Venne inviato in un campo di prigionieri di guerra in Baviera, da cui venne liberato dalle truppe statunitensi nell’aprile del ’45.
L’ingiusto epilogo della vita del capitano Pilecki
La guerra era ufficialmente finita, ma la scena politica polacca non stava certo vivendo un momento di pace. Il Paese era entrato sotto la sfera di influenza dell’Unione Sovietica, che da subito cercò di eliminare ogni rete di resistenza. Pilecki, tornato a Varsavia per riorganizzare il movimento per l’indipendenza della Polonia, venne arrestato dal Ministero della Pubblica Sicurezza nel maggio del 1947. La prigionia fu lunga e violenta. Pilecki fu ripetutamente torturato prima di essere processato. I sopravvissuti ad Auschwitz tentarono invano di fargli ricevere una grazia per le sue imprese nel campo di concentramento. E a nulla valsero le sue richieste di perdono scritte al primo ministro Józef Cyrankiewicz, anche lui sopravvissuto allo sterminio, e al presidente Bolesław Bierut.
Il processo cominciò il 3 marzo del 1948 e durò meno di due settimane. Pilecki non poté difendersi, né furono ammesse testimonianze a suo favore. Fu condannato a morte con tre dei suoi compagni, e fu giustiziato con un colpo di pistola alla nuca nella prigione di Mokotów a Varsavia il 25 maggio. Quando seppe della sua condanna, Pilecki dichiarò: “Ho cercato di vivere la mia vita in modo che nell’ora della mia morte potessi provare gioia, piuttosto che paura.”
Il Pilecki Insitute con sede a Berlino
La storia di Witold Pilecki è rimasta sepolta fino al ritorno della democrazia in Polonia, nel 1989. Da allora, gli sono state intitolate diverse istituzioni, strade e monumenti. Nel 2006 è stato anche insignito della più alta onorificenza dello Stato polacco, l’Ordine dell’Aquila Bianca.
Anche Berlino ricorda l’eroe polacco che offrì la sua libertà in nome della giustizia, ospitando una sede del Pilecki Institute a Pariser Platz. L’Istituto è stato fondato nel 2017 dal governo di Varsavia per diffondere la conoscenza della storia e della cultura polacca. Ospita mostre, conferenze, e sostiene progetti di ricerca politica, sociologica e storica. La direttrice del Pilecki Istitute Hanna Radziejowska ha affermato che “la storia e la memoria polacca sono importanti, anche per la democrazia tedesca ed europea”. Ha aggiunto: “Pilecki rappresenta l’esperienza storica della Polonia, dei cittadini polacchi nel XX secolo, l’esperienza del nazismo e dello stalinismo. Inoltre, rappresenta la storia che è stata cancellata.” E che noi, oggi, abbiamo il dovere di riportare in vita.
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Foto di copertina: Witold Pilecki, CC0 Public Demain, da Wikipedia