«Io, pediatra umbra specializzanda a Berlino: qui primo stipendio 2850€, ma non chiudo la porta all’Italia»
A tu per tu con Lisa Cardellini, perugina, classe 1991, pediatra presso il St. Joseph Krankenhaus di Berlino
«La mia tesi di laurea l’ho scritta in terapia intensiva neonatale, ovvero ho svolto uno studio sperimentale su come cercare di rendere meno invasivi gli interventi di somministrazione di Surfattante ai bambini nati prematuri per aiutarli a respirare autonomamente. Mi sono laureata con 110 e lode, all’Università di Perugia. Era il 2016, avevo 25 anni e per iniziare la specializzazione avrei dovuto aspettare 11 mesi, prima infatti non sarebbe stato aperto nessun bando» Lisa Cardellini, nata e cresciuta a Perugia da padre umbro e madre tedesca («Si sono innamorati quando lei faceva l’Università per stranieri, doveva rimanere solo qualche mese, è ancora lì» ), è oggi pediatra al St. Joseph Krankenhaus di Berlino, zona Tempelhof. Il percorso che l’ha portata nella capitale tedesca è legato a doppio filo con l’esigenza, non voluta, di lasciare purtroppo l’Italia «A Perugia stavo vivendo quello che si può chiamare un imbuto formativo. Aspettare così tanto per la specializzazione significa sprecare mesi preziosi. E così, mentre un po’ mi sostenevo come guardia medica e medico sportivo, ho cominciato per la prima volta a pensare di lasciare l’Italia. Avevo già fatto due tirocini Erasmus, uno curriculare e uno Placement, entrambi a Colonia, ma fino a quel momento, nonostante mia madre sia tedesca, avevo sempre pensato che la mia vita sarebbe stata in Umbria, vicino la mia famiglia e ai posti che amo. Ed invece, leggendo in giro le offerte che provenivano dalla Germania, mi sono convinta a fare il grande passo. Grazie ad un gruppo su Facebook di medici italiani in Germania ho trovato la prima offerta di lavoro, poi continuando a cercare altre ancora. Mi hanno risposto tutti. Ho fatto diversi colloqui. Mi hanno tutti accettato, ma ho scelto l’ospedale di Detmold, una cittadina da 80mila abitanti vicino ad Hannover, nord-ovest del Paese. Prima di essere ammessa, nonostante sia bilingue grazie a mia madre che fin da piccola mi ha parlato in tedesco, ho dovuto fare un esame di lingua applicata alla medicina (scritto, orale e pratico) davanti ad un comitato scientifico. Dal momento in cui avevo mandato la candidatura a quando sono stata assunta era passato circa un mese. È iniziata così la mia specializzazione di cinque anni in Pediatria, un ambito che avevo scelto mesi prima mentre facevo l’allenatrice di MiniBasket scoprendo un bel feeling con i bambini. Il primo stipendio netto da specializzanda in Germania è stato di 2850 € per 42 ore settimanali. Gli straordinari te li pagano tra i 50 e i 60 € l’ora. Sono passati tre anni da allora. Nel 2019 ho deciso di trasferirmi a Berlino. Il St. Joseph Krankenhaus di Tempelhof è un ospedale con più di 5mila parti all’anno, più di ogni altro in Germania. Lavoro in terapia intensiva neonatale e pediatrica, mi sento ancora “straniera”, del resto sono l’unica specializzanda non tedesca del reparto, ma a livello professionale imparo qualcosa ogni giorno, è una grandissima opportunità».
Pregi e difetti del sistema sanitario tedesco e di quello italiano
«Qui vige un sistema semi-privato. Le strutture ospedaliere sono eccezionali, l’unica pecca è spesso l’assenza di abbastanza personale, un problema che c’è in tutta la Germania ed è la ragione per cui sempre più stranieri vengono qui a fare medici e infermieri. Poiché si parla di aziende però c’è da tenere sempre a mente un budget. In questi mesi di pandemia lo Stato ha pagato e sta pagando affinché decine di posti letto, sia in reparto che in terapia intensiva, rimangano vuoti pronti in caso di un peggioramento della situazione. È uno sforzo economico grandissimo, ma dimostra quanto i soldi facciano parte del discorso. Ogni paziente qui viene dimesso solo dopo l’ok del medico curante, ma i giorni di degenza vengono sempre segnati e quando superano quelli che, per quella patologia, si immaginano come “giusti” senti che hai un occhio in più ad osservare il tuo lavoro. Non amano le perdite e hanno linee guida su tutto, a volte sembra di essere in una catena di montaggio. Dall’altra parte però senti che c’è uno sforzo incredibile affinché tutto sia pianificato e funzioni al meglio. Si dà anche più fiducia alle persone. Se penso agli anni degli studi, a quando feci i tirocini a Colonia, posso dire che paragonare il sistema accademico italiano a quello tedesco, nel campo della medicina, è come confrontare la teoria con la pratica. In Italia, ma sarebbe stato lo stesso in Francia o Spagna, i professori, durante un’esercitazione, una volta ascoltati alcuni sintomi ci invitano a fare viaggi incredibili dentro tutte le possibilità, qui si va molto più sul concreto e si cerca di agire. Anche chi è specializzanda, sempre sotto l’occhio di primario e strutturati, può prendere decisioni in prima persona. Se non avessi fatto i due tirocini a Colonia, in cui feci molta pratica, i primi mesi di lavoro in Germania non so come li avrei passati, i miei colleghi tedeschi sarebbero stati molto, ma molto più avanti di me».
Berlino oggi e l’Italia sullo sfondo
«I due anni a Detmold sono stati belli, eravamo quasi tutti medici stranieri, chi altro vorrebbe andare lì, c’era un clima molto internazionale, ma volevo nuove sfide. Mi sono proposta a vari vari ospedali tutti mi hanno dato un feedback nel giro di pochi giorni, se non subito. A farlo è stato quasi sempre il primario, una figura che in Italia sembra irraggiungibile e che qui invece risponde sempre, o quasi, alle email. Ho scelto Berlino perché è una città internazionale e ben collegata con l’Italia. L’ospedale di Detmold non ha fatto storie a lasciarmi andare, i tedeschi sono molto discreti, basta dire, da straniera, che si va in una città con l’aeroporto che capiscono. Non è un periodo facile per prendere decisioni. Quando vedo bambini in terapia intensiva, a volte anche malati di Covid, mi si stringe il cuore e nel curarli mi capita anche di pensare alle contraddizioni già citate del sistema sanitario tedesco, ma in generale è un’esperienza che mi sta facendo crescere moltissimo. Ad ogni modo non so se rimarrò qui per tutta la vita. Sicuramente finirò la specializzazione in Germania, mi prenderò un Master e poi valuterò. Sarei pronta a tornare a Perugia anche con uno stipendio molto più basso, a patto di poter stare vicino ai miei. Anche se con un genitore tedesco, mi sento comunque a 1380 km dal cuore ».
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Lisa Cardellini pediatra a Berlino