«Io, Luca Lucchesi, in regia, Roy Paci alle musiche e Wim Wenders a produrre: il mio A Black Jesus, guscio di noce con dentro l’Europa»
A tu per tu con Luca Lucchesi, berlinese-palermitano, regista di A Black Jesus, documentario prodotto da Wim Wenders
«Può un’improvvisa epifania sconvolgere la vita di un paese e magari riuscire, anche in un solo isolato istante di speranza, a rimettere le cose in ordine, o meglio, a mettere in subbuglio quelle regole e quel sistema che Europa e mondo intero sembrano pian piano aver dato per scontato: leggi, politiche e purtroppo anche sentimenti, il cui denominatore comune è la divisione, piuttosto che il convivere armonioso delle comunità? Ecco, con A Black Jesus cerco di proporre una visione come alternativa alla di-visione, lascio spazio al dis-ordine come antidoto all’ordine. E questo penso sia una prerogativa del cinema documentario o almeno lo è per me». A parlare è Luca Lucchesi, 36enne, regista e co-sceneggiatore (assieme a Hella Wenders) di A Black Jesus, film selezionato in concorso al festival Dok Leipzig 2020 (26 ottobre – 1 novembre). Le musiche sono di Roy Paci mentre a produrre ci sono Léa Germain e Wim Wenders (che Lucchesi conobbe nel 2008 durante le riprese di Palermo Shooting e di cui successivamente ne è stato più volte assistente alla regia). La storia è legata a doppio filo a Siculiana, piccola provincia di Agrigento dove da secoli si venera la statua di un Gesù nero. Quando Edward, diciannovenne ghanese ospite del contestato centro di accoglienza locale chiede di partecipare alla processione annuale e di sollevare la vara del Cristo nero insieme ai portatori locali, la comunità si trova di fronte ad un bivio. Cosa fare?. «Ho trovato la storia un pomeriggio d’estate, anzi, è stata la storia che ha trovato me».
A Black Jesus, la genesi del progetto
«Quando mio padre è morto, nel 2017, mi sono sentito improvvisamente, e per la prima volta in vita mia, troppo lontano da casa. Da 12 anni a Berlino, e nonostante il mio quasi-abbonamento al diretto Ryanair per Palermo, il peso della mancanza aveva fatto diventare un macigno quello della lontananza. Così sono tornato per un po’ giù. Come prima tappa ho scelto Siculiana, il paese di mio padre, in provincia di Agrigento. Volevo ritrovare i luoghi a noi più cari. E l’idea era di fare una scorta di ricordi e di sensazioni, di farne provvista per gli inverni futuri. Per questo tipo di bagagli extra non hanno ancora imposto tariffe aggiuntive su Ryanair. E così, un giorno di agosto, mi sono trovato nel Santuario del SS Crocifisso di Siculiana a cercare un po’ di ristoro dall’afa di agosto. La chiesa era silenziosa e fresca di marmo. Dietro l’altare, in cima alla scalinata monumentale, è esposto il famoso e veneratissimo Cristo nero. I suoi lineamenti sono arabi, il colore della sua pelle marrone scuro, il legno un po’ più chiaro solo sulle ginocchia, “sbiancato” a forza dei baci dei fedeli. Il tre di maggio di ogni anno il Santissimo Crocifisso di Siculiana viene portato in processione per le strade del paese. Ed è la festa più grande. Credevo di essere da solo in chiesa. Invece proprio ai piedi del Cristo nero c’era un gruppo di ragazzi africani, in ginocchio, che pregavano. Una cosa davvero straordinaria da vedere. Un’immagine carica di un potere enorme. Specie in quei giorni a Siculiana, dove a gran voce si protestava per chiedere la chiusura del centro di accoglienza presente in paese. L’ex Hotel Villa Sikania, in questi giorni tristemente ritornato alle cronache nazionali a causa della tragica morte di un giovane migrante eritreo che ha cercato di evadere dal centro in cui “scontava” la sua quarantena. Quel pomeriggio d’estate, quei ragazzi ghanesi, che poi avrei conosciuto e seguito per ben due anni, erano entrati nel cuore prezioso di Siculiana, il Santuario, ed erano andati a chiedere ospitalità al più venerato e potente dei suoi abitanti: un povero cristo, un cristo nero come loro. Quella visione mi aveva colto di sorpresa, mi aveva spiazzato, aveva dato un senso nuovo a quel mio essere lì. E mi invitava a seguirla. Tante cose sono successe dopo. E il film le racconta tutte».
Il contributo di Wim Wenders
«Wim è stato fin dall’inizio al mio fianco. Nel suo modo visionario e coraggioso di credere nei progetti che sono ancora solo un seme. La prima volta che gli ho parlato del film avevo solo due righe scarse, scritte su un documento word per il resto desolatamente vuoto. Gli sono bastate per darmi fiducia. Assieme a lui, alla co-scenggiatrice Hella Wenders e alla produttrice Léa Germain abbiamo visionato ore e ore di girato. Abbiamo scritto e riscritto il film, decine di volte, prima durante e dopo le riprese nel montaggio. È stato un processo di enorme fiducia reciproca. E naturalmente l’esperienza di Wim è stata fondamentale. Soprattutto nel dare al film un taglio universale, di storia che è fuori dal tempo. Nonostante riferimenti alla politica e alle notizie di cronaca siano presenti nel film, questi non sono mai in primo piano. E così abbiamo raccontato Siculiana come un guscio di noce in cui è racchiusa l’Europa intera. Del resto quello che succede a Siculiana oggi, è già successo mille altre volte altrove, e succederà mille altre ancora in un posto vicino o lontano».
A Black Jesus, un film siculo-berlinese
«Il film è stato girato da una troupe molto ridotta. Per un periodo di tempo molto esteso. Le prime ricerche sono iniziate a inizio 2018. Le ultime riprese sono della fine del 2019. Io ho curato anche la fotografia del film. A Siculiana mi ha sempre accompagnato il fonico di presa diretta e collaboratore insostituibile Francesco Vitaliti. Ho avuto una aiuto regia molto speciale, mia sorella Chiara, senza il cui talento e passione non avrei mai potuto organizzare da Berlino i vari blocchi di ripresa a Siculiana. Dalla Germania il team di produzione della Road Movies e la producer Léa Germain sono stati fondamentali nel gestire il rapporto con i nostri co-produttori e con i finanziatori. Nonché nel promuovere adesso il film con i distributori internazionali. Sono orgoglioso delle collaborazioni che il film ha reso possibile. Quella con il montatore Edoardo Morabito, per esempio, siciliano anche lui e il cui lavoro è stato più volte premiato in Italia e all’estero.
Una colonna sonora firmata Roy Paci
«Ciò che ha creato Roy Paci è intenso, dolce, nostalgico, e al contempo amaro, duro e pungente. Il suo lavoro mi ha dato la possibilità di guardare al mio film in una prospettiva nuova. Con una grande orchestra messa insieme per l’occasione – la “Banda Mistica”, un vero e proprio Dream Team tutto italiano di eccellenze; e con una “title song” che è destinata a diventare una vera e propria hit, firmata insieme a Tahnee Rodriguez e John Andrew MacFarlane, Roy si è già guadagnato un posto nella top ten dei compositori italiani per film (e non solo)».
Chi volesse vedere A Black Jesus può o recarsi a Lipsia o guardare il film acquistando il biglietto online: qui il link per capire come fare
Photo: © RoadMovies – Paolo Indelicato
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