Cosa sapeva il Vaticano delle vie di fughe dei nazisti
Ratlines o “vie del monastero”: come la Chiesa cattolica ha aiutato migliaia di nazisti a scappare dopo la caduta del Terzo Reich. I documenti falsi forniti dalla Croce Rossa e il viaggio fino in Sud America
Il rapporto tra la Chiesa e il nazismo è fatto ancora oggi da zone d’ombra. L’attenzione sul pontificato di Papa Pio XII e l’olocausto si è riaccesa in seguito all’apertura degli archivi vaticani in merito. Si sa che migliaia di nazisti sono fuggiti dopo la caduta del Terzo Reich grazie all’aiuto della Chiesa cattolica. Sono scappati attraverso percorsi chiamati “ratlines“, o “vie del monastero”. Gli itinerari principali della fuga erano tre: il primo partiva da Monaco di Baviera e si collegava a Salisburgo per arrivare a Madrid; gli altri due partivano da Monaco e, passando da Strasburgo o attraverso il Tirolo, arrivavano a Genova, dove i gerarchi potevano imbarcarsi con l’aiuto del clero verso l’Egitto, il Libano, la Siria e, soprattutto, il Sudamerica. Ma la via di fuga principale rimaneva l’Italia, attraverso le Alpi. Ai nazisti che avevano ricevuto una lettera dalla Chiesa cattolica che confermava la loro identità venne consegnato un passaporto falso dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), per un totale di circa 120.000 documenti fino al 1951. La loro prima tappa fu nella regione dell’Alto Adige nel nord Italia: il monastero dell’Ordine Teutonico a Merano, il monastero cappuccino vicino a Bressanone o il monastero francescano vicino a Bolzano. I criminali di guerra si nascondono spesso nei monasteri raccogliendo denaro per continuare la loro fuga all’estero. Un nome che compare regolarmente è Alois Hudal. Il vescovo austriaco si era chiaramente posizionato come simpatizzante nazista durante il Terzo Reich. «Sarebbe stato molto più difficile fuggire per Stangl e gli altri se la Chiesa cattolica non avesse protetto molti nazisti» ha affermato Stahl. A volte, i nazisti venivano sistemati proprio accanto alle loro ex vittime, ebrei diretti in Israele.
Come e perché i Paesi sud americani come Argentina e Brasile sono diventati rifugi sicuri per migliaia di ex membri del partito nazista
Nel 2012 il Daily Mail pubblicava un articolo sull’analisi di file segretati provenienti da Brasile e Cile in cui si confermava che ben 9.000 ufficiali nazisti e collaboratori di altri paesi fuggiti dall’Europa per trovare rifugio nei Paesi del Sud America. Il Brasile ha accolto tra i 1.500 e i 2.000 criminali di Guerra nazisti, mentre tra i 500 e i 1.000 si sono sistemati in Cile. Mentre ben 5.000 si sono trasferiti in Argentina. Il giornalista e storico argentino Uki Goñi ha pubblicato un libro intitolato “Operazione Odessa” (tradotto in italiano da Garzanti) in cui argomenta la sua teoria secondo cui molti stati del Sudamerica fossero asili predisposti per la fuga dei nazisti ancor prima che la guerra finisse. Essi erano Stati neutrali, a maggioranza cattolica e guidati in molti casi (Argentina, Cile, Bolivia e Paraguay) da governi filo-nazisti. Inoltre, soprattutto in Argentina, era presente un’ampia comunità di emigrati provenienti proprio dalla Germania. Goñi descrive e documenta riunioni a questo scopo alla Casa Rosada, la sede della presidenza argentina; l’invio di agenti in Europa per agevolare l’espatrio; il passaggio in Svizzera; i documenti di identità forniti dal Vaticano per ottenere il lascia passare della Croce Rossa e la partenza dal porto di Genova. Le sue ricostruzioni hanno portato all’apertura di numerose inchieste, sono condivise da altri storici e supportate da un’ampia documentazione, compresa quella della Comisiòn para el Esclarecimiento de las Actividades del Nazismo en la Argentina, costituita presso il ministero degli Affari Esteri dal presidente argentino Menem.
L’elenco di alcuni nazisti che hanno usato le ratline
Adolf Eichmann, l’uomo che organizzò l’Olocausto, fuggì da Bolzano in Argentina nel 1950 sotto il nome Riccardo Klement. La sua famiglia si unì successivamente a lui. Riconoscente al Vaticano, Eichmann si convertì al cattolicesimo. Ha lavorato come elettricista in una fabbrica di camion Daimler-Benz. Nel 1960 fu rapito dal Mossad, il servizio segreto israeliano, e portato a processo in Israele. Fu giustiziato nella notte dal 31 maggio al 1 giugno 1962.
Immagine: Screenshot da Youtube
Josef Mengele, il sadico medico del campo di concentramento di Auschwitz, fuggì in Alto Adige nel 1949. I sostenitori gli fornirono un nuovo passaporto: Helmut Gregor, 38 anni, cattolico e meccanico, nato nel villaggio altoatesino di Termeno. Il dettaglio della sua nascita in Alto Adige si rivelerebbe la condizione più importante per lasciare il paese. Come cittadino altoatesino, era considerato un etnico tedesco e apolide, e quindi avente diritto a un passaporto del CICR. Mengele visse in Argentina, Paraguay e Brasile, dove morì affogato il 7 febbraio 1979.
Immagine: Screenshot da Youtube
Klaus Barbie, conosciuto come il “Macellaio di Lione”, l’ex capo della Gestapo della città francese partì per il Sud America come Klaus Altmann dalla Romania. Con l’aiuto della CIA, Barbie ottenne un visto per la Bolivia nel 1951 e continuò a ricevere ordini dal servizio di intelligence straniero degli Stati Uniti e dal Servizio di intelligence federale tedesco (BND). La sua posizione divenne nota al pubblico nel 1970. La Bolivia lo estradò in Francia nel 1983. Fu condannato all’ergastolo e morì di cancro in prigione il 25 settembre 1991.
Immagine: Screenshot da Youtube
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Immagine di copertina: Pixabay