Bebelplatz

Bebelplatz a Berlino, lì dove i nazisti bruciarono oltre 25.000 libri

“Nessuno può uccidere le idee”: nel 1933 sono invece state proprio le idee, nella loro forma scritta, a essere state vittime di un tristemente noto massacro a opera dei nazisti

È il rogo dei libri la pietra miliare della efferata lotta censoria della dittatura hitleriana. Uno sterminio utile a terrorizzare chiunque avesse osato pensarla diversamente. Per sfortuna del partito di Hitler e per fortuna nostra, le idee sono indistruttibili e gli avidi e attenti lettori di testi banditi non mancarono anche dopo quelle notti di maggio dei primi anni ‘30. Quell’evento creò un vuoto, un’onta nei ricordi tedeschi che si cerca di esorcizzare con monumenti carichi di valore simbolico, perché la memoria è il bene più prezioso, l’unico capace di non far ripetere gli stessi errori. È per questi motivi che la difesa del libero pensiero si fa opera d’arte e ricorda quelle notti di orribili fuochi avvenute oltre 80 anni fa, ma capaci di provocare un disgusto ancora molto attuale.

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Il rogo dei libri di Bebelplatz

Le “purghe” intellettuali avevano il fine di eliminare gli scritti contrari allo “spirito tedesco”, ossia testi proibiti per via del loro contenuto o del loro autore. Fu ripreso quanto già avvenuto nel 1817: il rogo dei libri “non tedeschi” perché legati alla cultura napoleonica diffusasi al tempo dell’avanzata dell’imperatore Bonaparte. Così nella notte del 10 maggio 1933 a Bebelplatz – conosciuta storicamente anche come Opernplatz – più di 25.000 volumi furono dati in pasto alle fiamme fra canti, inni e manifestazioni di gioia davanti a un pubblico di 40.000 cittadini. Goebbels presenziò all’evento e tenne un discorso volto alla tutela dell’uomo tedesco contro le influenze ebree e immorali. La purificazione della Germania e la difesa della razza ariana ridussero in cenere i testi di autori socialisti come Bertolt Brecht e August Bebel, a cui è poi stato dedicato il nome della piazza. Furono distrutte anche le pagine scritte da Karl Marx, Thomas Mann, Erich Maria Remarque, Arthur Schnitzler e autori americani come Ernest Hemingway, Jack London, Theodore Dreiser e Helen Kelle. La stessa sorte toccò ai lavori dei primi oppositori del partito guidato da Hitler, ossia Erich Kästner, Heinrich Mann e Ernst Gläser. Nel rogo furono gettati i volumi scritti da autori ebrei come Franz Werfel, Max Brod, Stefan Zweig e il poeta Heinrich Heine, la penna che nel 1820-1821 partorì le seguenti parole: Dort, wo man Bücher verbrennt, verbrennt man am Ende auch Menschen (tradotto “Là dove si bruciano libri, si finisce per bruciare anche gli uomini”). Pietre miliari della cultura mondiale, fra cui testi che incoraggiarono la diffusione di idee pacifiste, di eguaglianza e di giustizia sociale, furono dati alle fiamme. Fu con questo gesto che il controllo della cultura e la censura nazista raggiunse il suo apice.

Per non dimenticare

È proprio la citazione di Heine quella che riportata accanto alla scultura di Micha Ullman. L’artista israeliano ha installato nel 2008 un memoriale costituito da una lastra di cristallo trasparente sotto la quale si intravedono degli scaffali vuoti. Uno spazio di circa 50 m², librerie capaci di ospitare 20.000 volumi, deserto. È inaccessibile e vuoto, come la sensazione che si prova quando si cerca di capire un gesto come quello compiuto dai nazisti nel 1933.

Bebelplatz

Berlin Bebelplatz © Graham Fellows CC BY 2.0

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Berlino Schule tedesco a Berlino

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Foto di copertina: Bebelplatz © nembrot.com CC BY-SA 2.0