«A Berlino studio come le nostre cellule uccidono i batteri. Peccato non potere tornare e farlo in Italia»
Alessandro Foti, siciliano, classe 1987, nato e cresciuto a Milazzo, biologo e ricercatore in immunologia al Max Planck Institut di Berlino
«Mi occupo di cellule che si chiamano neutrofili; cellule che modulano le risposte immunitarie del nostro corpo. In particolare, mi occupo del processo tramite il quale i neutrofili trasformano le molecole d’ossigeno in tossine antibatteriche». Queste le parole di Alessandro Foti, nato e cresciuto a Milazzo, in provincia di Messina. Alessandro ha conseguito la laurea in biologia all’università di Palermo (2010), la magistrale in microbiologia alla Sapienza di Roma (2013) e il dottorato in Biochimica all’università di Potsdam (2017). Da ormai 3 anni è attivo nel campo dell’immunologia presso il Max Planck Institut. «Le cellule neutrofili presenti nei polmoni dei pazienti affetti da Covid19, scatenano delle reazioni infiammatorie fortissime. Studiare i neutrofili vuol dire comprendere come modulare queste risposte infiammatorie».
Le difficoltà con il sistema accademico italiano
«In Italia il sistema accademico è chiuso. Si basa normalmente su meccanismi locali che promuovono ricercatori interni che fedelmente seguono linee di ricerca impostate dai direttori di dipartimento. I quali spesso dirigono questi istituti da molti anni con risultati scientifici dubbi. Detto questo, ovviamente ci sono bravissimi studiosi e interessanti ricerche fatte anche in Italia. Rimane il fatto che personalmente andare all’estero è stato, ed è ancora, una ricchezza ed una continua crescita. Perciò lo consiglio a tutti quelli che vogliono fare questo lavoro. Il problema è che il sistema accademico italiano non riassorbe buona parte di queste persone che si sono formate e specializzate all’estero, perdendo così tante competenze che servirebbero ad un Paese moderno. Una dimostrazione chiara è la crisi portata dal Covid19 che mostra la mancanza di personale sanitario.
L’inflazione del numero delle ricerche scientifiche sul COVID19
Nell’arco degli ultimi 40 anni, sono state pubblicate poche centinaia di ricerche scientifiche sui Coronavirus. Dall’inizio della pandemia invece, sono state pubblicate decine di migliaia di nuovi studi a riguardo. «Si tratta di un fenomeno complesso e a tratti inquietante. Data l’emergenza della situazione, i consueti meccanismi di controllo e di verifica che permettevano di validare e di pubblicare ricerche scientifiche di alto livello sono a volte saltati. Normalmente per pubblicare una ricerca scientifica servono diversi mesi o anche anni. Bisogna mettersi in contatto con una rivista scientifica, che a sua volta incarica tre esperti indipendenti di verificare i parametri qualitativi della ricerca. In molti casi, il ricercatore deve ripetere o modificare gli esperimenti da lui condotti. Oggi invece con le ricerche sul Covid19, la pressione è così alta che il tempo di queste verifiche si è ridotto a dismisura, al punto che molti articoli vengono redatti e revisionati nell’arco di poche settimane».
La gestione della pandemia da parte del Governo tedesco e il confronto con l’Italia
«Per quello che riguarda la gestione del virus a livello sanitario, la Germania la sta gestendo abbastanza bene. Non ci sono grandi differenze nella politica di contenimento del virus tra Germania e Italia. Solo che la struttura amministrativa dello Stato tedesco è organizzata e reattiva. Mentre quella italiana è più caotica e lenta. A volte in Italia manca lo spirito di coesione e il senso di collettività presenti in Germania. Ricordiamoci che la pandemia non verrà risolta dal singolo genio, ma dall’apporto comune di tutti».
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