Istruzione, l’Italia investe la metà dei tedeschi. Siamo terz’ultimi in UE. Da qui passa il nostro futuro
L’Italia non investe a sufficienza in istruzione e formazione
Il circolo virtuoso istruzione-occupazione rischia di essere soffocato dall’esiguità degli investimenti in educazione e formazione. Un’insufficienza gravissima per il nostro Paese. Senza una rapida inversione di tendenza e un oculato incremento della spesa, rischia di compromettere definitivamente le prospettive occupazionali delle giovani generazioni. Più in generale, potrebbe minare ogni potenzialità di sviluppo futuro.
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L’Italia fanalino di coda negli investimenti
Secondo i dati Eurostat riferiti al 2015, l’Italia spende in educazione solo il 4% del PIL. Percentuale che tradotta in termini assoluti equivale a circa € 65 miliardi. Siamo perciò terzultimi in Europa, seguiti soltanto da Irlanda e Romania che investono nell’istruzione rispettivamente il 3,9% e il 3,1% del proprio PIL. Tra i Paesi più virtuosi troviamo Danimarca, Svezia e Belgio, che superano di misura il 6%. La media europea invece si attesta intorno al 4,9 % del PIL.
L’Italia a confronto con la Germania
La Germania occupa una posizione intermedia, con una spesa che, in termini percentuali, non sembra molto dissimile da quella italiana: il 4,3% del PIL. Tuttavia non dobbiamo farci trarre in inganno: in termini assoluti infatti i tedeschi spendono ben € 127,4 miliardi, praticamente il doppio degli italiani. Inoltre, sottolinea Il Sole 24 Ore, a essere maggiormente penalizzata in Italia è proprio l’istruzione terziaria, cioè l’università e i corsi post-diploma. Questo livello d’istruzione più specialistico dovrebbe candidarsi a vero propulsore della crescita, ma in realtà riceve soltanto lo 0,4% del 4% degli investimenti complessivi.
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Una realtà drammatica per la scuola
A risentirne sono soprattutto i singoli individui, nello specifico i giovani italiani. Per di più ci sono gravi ricadute per quanto riguarda lo sviluppo economico del nostro Paese. I tagli di bilancio e le misure di austerità possono essere considerati uno strumento necessario in tempo di crisi. Tuttavia, sul lungo periodo, potrebbero secondo alcuni esperti minare ogni possibilità di ripresa e indebolire cronicamente il nostro sistema produttivo. Un fattore determinante può essere anche la carenza di personale specializzato. Per di più, ricordiamo che l’Italia è un Paese in cui gli insegnati sono pagati la metà che in Germania e in cui un terzo del corpo docenti ha più di cinquant’anni. A inasprire una situazione già di per sé drammatica, si aggiunge la preoccupante fuoriuscita di “cervelli”. Una perdita rilevante, se si considera che l’Italia è penultima in Europa per numero di laureati.
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Foto copertina: ©weisanjiang, CC0, Istruzione.