«Sì al Mes e no agli Eurobond? La Germania attua una politica masochista e compromette il futuro dell’Europa»
Quarto appuntamento con la rubrica Kipling di Stefano Casertano: si parla ancora di Europa
Il fondo europeo per la stabilità finanziaria – o “MES” – sarebbe un altro passo sbagliato verso il nonsense monetario europeo che chiamiamo “euro”. Premessa tecnica, ma purtroppo necessaria. So che Facebook spesso ne sa di più, ma se dovessimo credere alla teoria del premio Nobel Robert Mundell, un’area monetaria funziona se persone e merci circolano liberamente, insieme a trasferimenti finanziari permanenti dalle aree più ricche a quelle più povere. In questo modo, si appianano gli squilibri, altrimenti le zone più ricche si arricchiscono di più, e quelle povere s’impoveriscono.
Perché avendo una moneta comune è necessaria una politica fiscale comune
Se i territori avessero monete diverse, potrebbero adottare politiche monetarie differenti e appianare gli squilibri. Se si opta per una moneta unica si hanno altri vantaggi (come per esempio la vastità del mercato, o la stabilità della moneta stessa), ma un po’ bisogna concedere. Grazie all’euro la Germania paga meno interessi sul proprio debito e può esportare meglio; può inoltre attrarre talenti e investimenti da tutta Europa. In parte è merito, in parte è euro. Soprattutto, è la terribile propaganda politica che divide il continente in classi di merito, senza alcuna considerazione per gli squilibri valutari. Esistono e sono un fatto, non un’opinione. Il nonsense monetario europeo si spiega con il fatto che la condizione dei trasferimenti fiscali non è soddisfatta. E’ normale che sia così, perché mancando una personalità politica europea reale è difficile che siano introdotte misure di questo tipo.
Il ruolo del MES e degli Eurobond
Il MES peggiorerebbe le cose ulteriormente. E’ del tutto normale che il sud Europa si trovi in difficoltà a causa dell’euro, e tale difficoltà si traduce in una diminuzione delle entrate fiscali. La riduzione degli introiti verrebbe appianata dal debito, perpetuando i difetti strutturali dell’area valutaria – e mettendo a rischio tutta l’unione. Un passo verso la correzione dell’errore è quello degli Eurobond. Gli Eurobond sono titoli di stato garantiti da tutta l’area euro. Questo non significa che i tedeschi devono pagare il debito italiano, ma solo che potrebbero essere chiamati a fare da garanti in caso di fallimento dell’Italia. Il debito è e rimane italiano. La conseguenza è che gli italiani pagherebbero meno interessi sul debito di stato. Se a garantire i titoli di debito fosse solo l’Italia, gli interessi sarebbero più alti; ma poiché a garantire c’è tutt’Europa, gli interessi sono più bassi.
Perché la Germania è contro gli Eurobond
I critici sostengono che se i tedeschi devono garantire il debito altrui (quello degli Eurobond) diventano meno stabili finanziariamente. Per questo, la Germania dovrebbe pagare maggiori interessi sul proprio debito (gli interessi aumentano col crescere del rischio). E’ come se gli Eurobond infettassero il debito tedesco. Secondo calcoli riportati dal Welt am Sonntag, ciò comporterebbe una spesa addizionale per la Germania di 47 miliardi di euro l’anno. Chi scrive nutre forti perplessità sulla natura di questi calcoli, ma tant’è.
Ai fatti, la Germania si oppone agli Eurobond per motivi strettamente elettorali. Così come stanno le cose, gli Eurobond sarebbero utili anche alla stessa Germania, ma la dialettica anti-italiana degli ultimi anni ha invaso il discorso politico. Angela Merkel non può permettersi alcuna apertura perché rischierebbe di assegnare maggiori consensi al centro-destra in emersione. Ma questo calcolo è miope. Se l’Italia continua a indebitarsi, il debito nazionale diventerà insostenibile. In altre parole, non si troveranno più persone disponibili a prestare soldi all’Italia; o semplicemente l’Italia smetterà di pagare i debiti. Una crisi di questo tipo sarebbe epocale e costerebbe alla Germania molto più dei 47 miliardi calcolati dal Die Welt, con tanti di calcoli ignoti.
La soluzione-tampone della Banca Centrale Europea che compra titoli di debito italiani (e quindi ne abbassa l’interesse) non è una soluzione. Il debito italiano continua a crescere. Inoltre è qualcosa che già sta costando ai tedeschi: per comprare debito, la BCE stampa soldi. Poiché l’inflazione è diretta conseguenza della quantità di moneta in circolazione, l’inflazione aumenta. L’inflazione è una tassa nascosta che tutta Europa sta pagando, solo che non ha rilievo elettorale.
Alla fine, però, i problemi strutturali rimangono, e saranno sempre più gravi.
Risolvere adesso per non leccarsi le ferite in futuro
Le crisi del passato hanno dimostrato che quando ci sono problemi economici, le disparità nell’area euro crescono ancora di più rispetto ai tempi di normalità. Nel dopoguerra non c’è mai stata una crisi grave quanto quella attuale, e le conseguenze saranno tremende e imponderabili. La scelta non è tra MES o acquisti della BCE: la scelta è se riformare l’euro per renderlo funzionante, o dover affrontare un crollo sistemico di entità inimmaginabile.
Perché per come stanno messe le cose, se l’Italia dovesse fallire ciò andrebbe molto oltre le conseguenze economiche. Milioni di tedeschi senza lavoro darebbero colpa all’Italia, così come milioni di italiani attualmente disoccupati stanno dando colpa alla Germania.
L’euro del 2020 non è strumento di pace, ma tutto il contrario. Al posto di ponti e porte sulle banconote ci dovrebbero essere filo spinato e pistole, a voler esser coerenti. C’è ancora tempo per riformarsi, ma chi avrà il coraggio di cambiare discorso? Servono leader, non amministratori di condominio.
Non è un caso se negli anni Novanta l’Italia stesse riducendo il proprio debito anno per anno, fino a che l’euro ha iniziato a espandere la propria forza nefasta. Ancora, non è un caso se alla crisi italiana è coinciso il super-successo tedesco. Non si tratta solo di bravura e inettitudine, come chiama la vulgata giornalaia, ma di normalità valutaria. Dalla crisi del 2008 il debito italiano ha ripreso la salita, fino a stabilizzarsi nel 2015.
Twitter: @stefcasertano