Manodrome, la recensione dalla Berlinale

Un’analisi cupa e accurata di una mascolinità tossica sempre più pericoloso e complesso. Manodrome è tutto questo. Poco? Molto? Dipende dai punti di vista. Di certo originale

Manodrome narra la storia di Ralphie, un autista di Uber che trascorre il suo tempo libero allenandosi in palestra soprattutto per evitare di affrontare la sua imminente paternità con la fidanzata Sal (Odessa Young). È un uomo in crisi di mascolinità, non solo perché si sente disgustato dal fatto che donne e persone LGBTQ+ stiano diventando sempre più sicure di sé, ma anche a causa di un trauma familiare che ha radici nel suo passato: suo padre lo ha abbandonato il giorno di Natale, e questa festività si avvicina di nuovo.

Grazie a un amico viene attratto in una setta separatista maschile chiamata “Manodrome”. Il gruppo sostiene la necessità per gli uomini di “sbloccare il loro potere” e di abbandonare completamente le donne nella loro vita. Il loro modo di radicalizzare è preciso e quotidiano e mostra come le persone più comuni possano essere spinte a commettere atti di violenza per “riprendere il potere”.

Manodrome e la mascolinità tossica

In un recente sondaggio condotto dal gruppo anti-fascista HOPE not Hate nel Regno Unito, è emerso che ci sono più giovani uomini a seguire l’influencer dei “diritti degli uomini” Andrew Tate rispetto a quanti conoscano il Primo Ministro. Tate è una delle figure più misogine su Internet. Il 45% degli intervistati ha una visione positiva di questo personaggio, qualche mese fa arrestato in Romania per tratta di essere umani.

Il film offre una rappresentazione sottile ma potente dei piccoli elementi della vita quotidiana che causano a Ralphie una costernazione inspiegabile: una donna che allatta il suo bambino in taxi e lo accusa di essere un pervertito per averla guardata, una coppia gay che si bacia nello specchietto retrovisore della sua macchina, un gruppo di uomini neri omosessuali in palestra che chiedono di cambiare la musica da rock metal a musica pop..

Jesse Eisenberg è perfettamente nel ruolo di Ralphie, un uomo debole che desidera diventare di più. La sua è un’interpretazione trattenuta, piena di silenzi e frustrazioni capaci di parlare con posture del corpo e sguardi. Da questo punto di vista Manodrome è un film terrificante: mostra quanto sia facile per gli uomini moderni essere indotti verso un odio estremo verso le donne portando alla superficie i pilastri intrinseci della misoginia socialmente accettata.

Il film affronta temi quasi biblici che pongono la mascolinità come qualcosa di assolutorio, ciclico, una lotta spirituale di parricidio in cui bisogna annientare la propria vulnerabilità per sopravvivere. I sessi sono in guerra, e Manodrome non offre una soluzione per un armistizio. È un film affascinante, visivamente impressionante, pieno di energia. Alcuni aspetti però, soprattutto nel finale, appaiono molto forzati, quasi che il film volesse apparire come un manifesto su di un tema anziché un racconto capace anche di parlare di quell’argomento, ma non solo.

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