Lorenzo Monfregola, autore di Gli annegati: «Il lost in translation a Berlino non smette mai»
Intervista allo scrittore Lorenzo Monfregola in occasione della pubblicazione di Gli annegati, suo romanzo d’esordio
“Arthur Cipriani apre gli occhi e tutto ciò che ha attorno è acqua, acqua in ogni dove, e luci che scivolano lungo la riva nel buio mentre la corrente lo trascina via: come è finito a bagno nella Sprea, il fiume che taglia in due Berlino, con tutti i vestiti addosso e nessun ricordo di ciò che è accaduto? A fatica riesce a raggiungere una sponda, sente un dolore trafiggergli il petto, là dove un misterioso livido rosso gli copre lo sterno. Ma cosa gli è successo? E che fare ora? Arthur non lo sa, ma l’unico modo per capirlo è andare avanti. Ogni risalita verso la luce inizia da una discesa, e quella nella notte della capitale tedesca è una caduta in picchiata tra fantasmi stroboscopici e allucinazioni sintetiche; l’unica chance per rintracciare i brandelli della sua esistenza è lanciarsi nell’ignoto.”
È l’incipit di Gli annegati, romanzo di esordio di Lorenzo Monfregola, classe 1982, nato a Firenze, cresciuto tra la Baviera e la Liguria, ma da una decina di anni a Berlino, giornalista esperto di Germania e geopolitica (scrive regolarmente per Ansa, Il Tascabile, Aspenia, eastwest, il Grand Continent e per la Fondazione Feltrinelli).
Pubblicato da Il Saggiatore nella primavera del 2021, Gli annegati racconta – come sintetizza il suo stesso autore nell’intervista che ci ha concesso: “Una storia di amore, sradicamento, violenza, angoscia mentale, caccia alla gioia e viscerali conflitti politico-sociali. E volevo far travolgere questa storia dallo scorrere di un fiume che accelera”. Al centro c’è quell’Arthur Cipriani dell’incipit: ha perso la memoria, non cosa gli sia successo né come scoprire come si trovi in una situazione così estrema. Si trova così a seguire “la corrente” ritrovandosi in una serie di situazioni ancora più estreme, per quanto convenzionalmente definibili come “berlinesi”. «La mia ossessione è stata il ritmo. E poi volevo anche scherzare, ridere.»
Gli annegati e Berlino
Il romanzo, come potrete aver intuito, è legato a doppio filo con la capitale tedesca. «Friedrichshain, Müggelsee, Mitte, Neukölln..Il luogo più importante, è la Sprea, in particolare il tratto tra Elsenbrücke e Nikolaiviertel. L’immagine del fiume in piena è stato il punto iniziale. Un ulteriore luogo cruciale è Marzahn, anzi Marzahn Nord, al confine con il Brandeburgo, nell’area tutta Plattenbau.
Non avrei mai voluto scrivere qualcosa di ambientato a Berlino senza la periferia. Conta molto di più di altri posti. Poi, oltre a dei luoghi, ci sono degli spazi sociali: i club, il mondo startup, la scena kinky o sex positive, i rocker, il neonazismo, la mutazione della realtà dovuta al disagio mentale, i percorsi dell’immigrazione privilegiata e quella non privilegiata, e così via.»
La genesi del romanzo
«Come tanti che hanno scritto il loro primo romanzo, ne avevo iniziati diversi negli anni precedenti, troncandoli per vari motivi. Poi, un giorno, mi sono svegliato e in 5 mesi ho scritto “Gli Annegati”. Ci ho lavorato ancora, in seguito, ma il romanzo è frutto di quei 5 mesi, molto frenetici. Il percorso fino alla pubblicazione è stato abbastanza veloce, in realtà.
Con una prima casa editrice non ha funzionato perché c’è stato un disaccordo interno alla redazione, tra chi amava il romanzo e chi invece non lo voleva perché “troppo provocatorio”.
Una cosa che, a posteriori, mi inorgoglisce, anche se mi sembra emblematica di certe tendenze. Poi, subito dopo, sono arrivato a Il Saggiatore e non potevo chiedere di più. Ci tengo a dire che la copertina è un’opera di Pietro Sedda, artista e tatuatore milanese, e la trovo splendida ogni volta che la guardo. Del mondo letterario ed editoriale italiano non so assolutamente niente, non lo conosco, sono il più outsider possibile, e mi va bene così. Stare ai margini ti fa muovere meglio.»
I personaggi del libro, berlinesi in cerca di autore
«Ho cercato di creare una doppia dinamica. Da una parte dei personaggi che rappresentino delle tipologie tipiche della metropoli berlinese, o anche di altre metropoli globali. Personaggi che magari si percepiscono attivamente in queste tipologie in base a posizioni politiche, religiose, in base alle loro opinioni sulle tematiche di genere e identità, sugli approcci esistenziali, culturali, eccetera. Ma, al tempo stesso, volevo che avessero pulsioni e tensioni psicologiche molto più contraddittorie.
Ho cercato di raccontare questa contraddizione, tra auto-narrazioni politico-morali correnti e motivazioni più oscene, quelle per cui scegliamo poi davvero di aggrapparci a una o a un’altra espressione ideologica.
Per questo il libro è pieno di dialoghi su temi politici, morali ed emotivi, con litigi furibondi e scoppi di tensione. I dialoghi non sono fasulli, non c’è ipocrisia, ma lo scopo è far emergere le possibili motivazioni più intime dei comportamenti dei personaggi: il desiderio di affermazione, riconoscimento, condivisione, rivalsa, vendetta, il bisogno disperato di amare o di odiare, di sentirsi vivi, di sperare o credere in qualche divinità i cui segni sono andati dispersi.»
Immedesimarsi nel proprio protagonista
«Mentre scrivevo il libro pensavo ci fosse ovviamente tantissimo di me in Arthur Cipriani. Ora, però, non è più così. Il libro e i personaggi sono di chi li legge. Ed è una sensazione gioiosa. E’ un fenomeno che sentivo spesso descrivere da diversi autori, ma che non puoi capire finché non ti accade. Il libro l’hai scritto, l’hai gettato nel mondo, non importa che succede. Una sensazione preziosa, almeno fino a quando non inizia a trapanarti la testa l’idea di scrivere un altro libro.»
Scrivere articoli e un romanzo: differenze e affinità
«Al di là delle scontate diverse tempistiche e intensità di scrittura, per certi versi per me è stato tutto molto simile: analizzi i poteri, le dinamiche di forza, seduzione, amore, odio, raccogli le voci, le incroci, cerchi alchimie, cerchi di capire cosa possa muovere i corpi e le menti delle persone, insegui tanti fantasmi, le materie prime, le energie, gli imprevisti. E poi scrivi, fai ricerca, e scrivi di nuovo.
La declinazione della scrittura però è diversa: il giornalismo chiede una chiarezza e un linguaggio condivisi specifici e la tua libertà magari si esprime nella tua ricerca e nella tua analisi, più che nello stile.
In letteratura – sempre ammesso che tu riesca a fare della letteratura – puoi ovviamente fare molte più fughe in avanti, perseguire una libertà stilistica più radicale, fare salti nel buio, prenderti molti più rischi di linguaggio oltre che di contenuto e, anche, prenderti molti più rischi psicologici. Poi, chiaramente, il processo giornalistico e quello letterario possono contaminarsi, vedi anche solo il “gonzo journalism”, che è una cosa bellissima, se si riesce a farla bene.
In Gli annegati c’è anche del giornalismo. Ad esempio tutto il lavoro di ricerca che ho potuto fare sul neonazismo o sul proletariato bianco tedesco della Germania orientale, tutto quel lavoro l’ho messo nel libro, ma in maniera 100 volte più onirica, sensuale, intima, forse pericolosa. Mentre quando ne scrivo per una rivista magari ho voglia di farlo in maniera ultra-tecnica, precisa, quasi crudele, come se scrivessi un report d’intelligence, perché in certi momenti è solo così che puoi analizzare con un po’ di lucidità uno scenario.
Declinare la scrittura è quindi bello finché mantieni la consapevolezza decisiva che alla fine sei sempre tu che scrivi. Cambia enormemente il risultato finale per chi legge, ma tu sai che è sempre il tuo corpo a produrre un testo: tu scrivi e poi vedi che succede.»
La fase dopo la pubblicazione: raccogliere i commenti di chi il libro lo ha letto
«Il complimento che più amo è quando mi si dice che ci sip innamorati del personaggio di Kimiko, la protagonista femminile del libro, una giovane donna berlinese di Marzahn Nord, che sopravvive tra Hartz IV e spaccio nei club. Creare Kimiko è stato magico e il fatto che venga apprezzata è un dono che mi riempie il cuore. Non saprei descrivere altrimenti questa sensazione.
Poi mi piace anche quando alcune persone si arrabbiano per il libro. Non perché mi piaccia che la gente si arrabbi, per niente, ma perché spesso questi lettori esprimono la loro rabbia o il loro rimprovero facendo dei transfert di codici ideologico-identitari che io nel romanzo volevo attivamente assaltare e smantellare un po’. Quindi significa che questa tensione degli Annegati ha funzionato e che magari potrà pure rivelarsi liberatoria. Se scrivi di certe cose non puoi farti solo degli amici, è impossibile.»
La Germania e il tedesco nel sangue
«Mia madre è tedesca. Il mio rapporto con il tedesco è strano: parlo un tedesco talvolta molto sporco e talvolta molto bello, non l’ho mai studiato sistematicamente. Da bambino mi sono rifiutato a lungo di parlare tedesco perché ero convinto che contribuisse a non farmi integrare in Italia.
Quando, anni dopo, sono venuto a vivere in Germania, ho però scoperto che la lingua tedesca era stata sempre dentro di me e che questo era un dono. Ad esempio ho iniziato molto presto a sognare in tedesco. Ora leggo gli autori tedeschi solo in lingua originale e non potrei mai leggerli in italiano.
Nel libro ho messo un po’ di tedesco e un po’ d’inglese, forse il 20% di Gli annegati è in inglese e in tedesco, talvolta in forma distorta. C’è chi mi ha detto che così alcuni lettori italiani capiscono magari solo l’80% dei dialoghi del libro. Io rispondo sempre che allora siamo sulla buona strada, perché è questa Berlino: dove ti abitui a capire sempre solo una parte della conversazione, visto che, in un modo o nell’altro, il “lost in translation” non smette mai. Una parte di caos comunicativo, del resto, ti rende molto più tollerante come essere umano, perché ti abitui a una certa relatività concettuale.»
La Berlino del futuro secondo Lorenzo Monfregola
«A Berlino sono arrivato nel 2010 e, se ci starò ancora un po’, sarà la città in cui avrò vissuto di più nella mia vita. Ma non so quanto ci starò ancora, forse un mese o forse per sempre. Che è esattamente come pensano tanti che vivono a Berlino senza esserci nati: la convinzione di essere di passaggio, l’illusione di essere ancora di passaggio, di essere ancora in moto, di essere ancora in tempo per cambiare sempre tutto. Forse è questo il vero magnete di questa città, anche nei momenti in cui vorresti andartene.
Berlino stava cambiando già tanto quando sono arrivato e cambierà ancora moltissimo, soprattutto ora che la storia d’Europa si è messa ad accelerare ogni giorno di più. Berlino è sempre un incrocio nevralgico di troppa Storia e continuerà a esserlo: questa è la sua benedizione e questa la sua maledizione.»
Gli annegati
di Lorenzo Monfregola
pubblicato da Il Saggiatore
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