L’opera di Giorgio Fabbris per ridimensiorare le celebrazioni per Joseph Beuys

A cento anni dalla sua nascita, la figura di Joseph Beuys continua a suscitare polemiche come dimostra il lavoro di Giorgio Fabbris

12 maggio 1921: nasce Joseph Beuys, uno degli artisti contemporanei tedeschi più famosi al mondo. Nel centesimo anniversario da quella data il dibattito intorno al pittore nato a Krefeld e riconosciuto come il padre della cosiddetta “scultura sociale” è stato quasi a senso unico, di sola celebrazioni. A stimolare una discussione più approfondita e tesa a mettere in luce anche le ambiguità del personaggio ci prova ora l’artista veneto Giorgio Fabbris con l’opera Ecce Beuys, visibile presso l’atelier di Arcangelo Sassolimo a Trissino, provincia di Vicenza.  “Con la mia scultura voglio scuotere chi ha già accettato acriticamente in blocco l’opera Joseph Beuys, artista a dir poco ambiguo. Credo che la storia dell’arte debba essere sempre in movimento e che la critica abbia il compito estetico-etico-morale di studiare gli artisti in tutti i contesti, senza reticenze e pregiudizi  Il contenuto della lapide dice in modo essenziale, robusto e conciso cose che non sono il frutto di un mio estemporaneo guizzo controcorrente, ma il risultato dello studio di biografie e documenti”.

 Il pensiero di Giorgio Fabbris su Beuys

«Sono stato turbato quando ho consultato immagini e documenti che dimostrano il trasformismo di Beuys: “rivoluzionario” fra studenti, nostalgico a cena con camerati ex piloti di Stuka. In un saggio di Benjamin H.D. Buchloh si sottolinea che  Beuys non apprezzava un gran numero di importanti artisti moderni e, guarda un po’, le opere di questi artisti, durante il nazismo, furono mostrate quale esempio di arte degenerata. Beuys dichiarò poi, sia in interviste che nella sua biografia, che la sua partecipazione alla guerra era “ragionevole” e “moralmente giusta”, “che non fu tempo perso, ma “un’esperienza formativa”. Come si fa ad accettare le menzogne iterate da Beuys sulla caduta del suo Stuka, sulle cure dei Tartari con materiale salvifico, grasso e feltro, che egli continuò ad adoperare in molte opere importanti, e lo fece per tutta la vita? Tutte bugie, quelle sui Tartari e dintorni, lo documenta non solo Hans Peter Riegel nei suoi volumi relativi alla biografia di Joseph Beuys, mai tradotti in Italia. Le sue opere plastiche non fossero “autonome”, autosufficienti, dato che avevano bisogno di essere battezzate con la sua presenza “sciamanica”. Anche per questo l’arte di Beuys è da ridimensionare. Le sue installazioni sono pregne di simboli e icone che sono chiare stampelle mitologiche senza le quali il valore dell’opera vacillerebbe. Perché non riconoscere che l’apparato Volk e teosofico usato da Beuys è ben poco originale essendo questo alla base della cultura della Germania prenazista come descritto da George L. Mosse in “Le origini culturali del Terzo Reich”? E, per entrare nel merito creativo-artistico di Beuys, perché non citare il testo di Julius Langbehn “Rembrandt come educatore” il quale influenzò milioni di giovani tedeschi nei primi decenni del 1900. Si scoprirà che alcune “teorie” di Beuys riguardante la cosiddetta “arte allargata”, “ogni uomo è artista” e anche le considerazioni politico-culturali del nazional-patriottismo contro i partiti, la democrazia, i dogmi scientifici ecc. erano già state sviluppate da Langbehn alla fine del ‘800. Tali teorie e idee di Langbehn sono state spudoratamente espropriate e usate da Beuys e presentate come fossero sue rivoluzionarie proposte artistiche. Per non parlare delle sconcertanti affermazioni di Beuys, annotate dal suo studente Johannes Stüttgen nel 1967: “… Questa società in fin dei conti è molto peggiore del Terzo Reich, Hitler ha buttato nei forni solo i corpi.” Basta tergiversare. Beuys è stato un convinto soldato volontario, operativo nella Luftwaffe, entusiasta del suo contributo alla guerra nazista. E questa è una macchia indelebile che deve accompagnare Beuys uomo e Beuys artista. E’ risaputo che l’arte è necessaria anche per capire in che mondo viviamo e chi siamo. L’arte esige rispetto ma anche una costante remise en question per evitare la banalizzazione e la paralisi del giudizio. Spero tanto che le varie commemorazioni per il centenario della nascita di Joseph Beuys non si trasformino in una sua canonizzazione».

 

 

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