Il terzo inno alla notte di Novalis, la poesia dell’amore buio
L’oscura notte di Novalis
La sensibilità romantica di Novalis, pseudonimo artistico di Georg Philipp Friedrich von Hardenberg, tocca il suo apice nel ciclo di poesie Inni alla Notte, sei parti di lunghezze variabili che rappresentano il percorso sentimentale, filosofico e mistico del poeta tedesco, pubblicati nel 1800.
Novalis contrappone il giorno e la luce all’oscura notte, come dimensione infinita, in cui il sentimento per l’amata morta diventa eterno. Ricerca la notte nel mondo sensibile, ma solo attraverso una visione sulla tomba dell’amata entrerà in contatto con il regno dell’oscurità. Il poeta diventa l’annunciatore del legame che intercorre tra il mondo della luce e quello della notte, l’unica dimensione che libererà l’uomo dal dolore e che rappresenta la vera vita. Novalis risolve così il dualismo vita/morte tramite la forza dell’amore e della fede: è Cristo infatti il supremo annunciatore, e solo con lui l’uomo supera la paura della morte. Nell’ultimo inno, la morte viene accolta con piena gioia dal poeta che varca le porte dell’eternità accompagnato dalla sua amata e da Cristo.
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L’inno III e la visione della donna amata
L’Inno III, che riportiamo di seguito, canta il dolore del poeta che affranto piange sulla tomba dell’amata Sophie. Ad un tratto si spezza il legame con la vita terrena, rappresentato dalla nascita, e lo spirito del poeta si eleva nel regno della notte: la visione dell’amata ha aperto a Novalis le porte del mondo soprasensibile. Il poeta vive in pienezza l’esperienza della vita oltre la tomba.
Novalis, Inno III – Inni alla Notte
Un giorno che versavo amare lacrime, che la mia speranza si dileguava dissolta in dolore, e io stavo solitario vicino all’arido tumulo, che nascondeva in angusto oscuro spazio la forma della mia vita – solitario, come non era mai stato nessuno, incalzato da un’angoscia indicibile – senza forse, non più che l’essenza stessa della miseria. Come mi guardavo attorno in cerca d’aiuto, non potevo proseguire né arretrare, e mi aggrappavo alla vita sfuggente, spenta, con nostalgia infinita – allora venne dalle azzurre lontananze: – dalle alture della mia beatitudine un brivido crepuscolare – e d’un tratto si spezzò il cordone della nascita, il vincolo della luce. Si dileguò la magnificenza terrestre e il mio cordoglio con essa – confluì la malinconia in un nuovo imperscrutabile mondo – tu estasi della notte, sopore del cielo ti posasti su di me – la contrada si sollevò poco poco; sopra la contrada aleggiava il mio spirito sgravato e rigenerato. Il tumulo divenne una nube di polvere – attraverso la nube vidi i tratti trasfigurati dell’amata. Nei suoi occhi era adagiata l’eternità – io afferrai le sue mani e le lacrime divennero un legame scintillante non lacerabile. Millenni dileguarono in lontananza, come uragani. Al suo collo piansi lacrime d’estasi per la nuova vita. – Fu il primo, unico sogno – e solo d’allora sentii eterna, inalterabile fede nel cielo della notte e nella sua luce, l’amata.
(Novalis, Inni alla Notte e Canti Spirituali. Traduzione di Roberto Fertonani, a cura di Virginia Cisotti, Mondadori, Milano 1982)
Novalis, Dritte Hymne an die Nacht – 1800
Einst da ich bittre Thränen vergoß, da in Schmerz aufgelöst meine Hoffnung zerrann, und ich einsam stand am dürren Hügel, der in engen, dunkeln Raum die Gestalt meines Lebens barg – einsam, wie noch kein Einsamer war, von unsäglicher Angst getrieben – kraftlos, nur ein Gedanken des Elends noch. – Wie ich da nach Hülfe umherschaute, vorwärts nicht konnte und rückwärts nicht, und am fliehenden, verlöschten Leben mit unendlicher Sehnsucht hing: – da kam aus blauen Fernen – von den Höhen meiner alten Seligkeit ein Dämmerungsschauer – und mit einemmale riß das Band der Geburt – des Lichtes Fessel. Hin floh die irdische Herrlichkeit und meine Trauer mit ihr – zusammen floß die Wehmuth in eine neue, unergründliche Welt – du Nachtbegeisterung, Schlummer des Himmels kamst über mich – die Gegend hob sich sacht empor; über der Gegend schwebte mein entbundner, neugeborner Geist. Zur Staubwolke wurde der Hügel – durch die Wolke sah ich die verklärten Züge der Geliebten. In ihren Augen ruhte die Ewigkeit – ich faßte ihre Hände, und die Thränen wurden ein funkelndes, unzerreißliches Band. Jahrtausende zogen abwärts in die Ferne, wie Ungewitter. An Ihrem Halse weint ich dem neuen Leben entzückende Thränen. – Es war der erste, einzige Traum – und erst seitdem fühl ich ewigen, unwandelbaren Glauben an den Himmel der Nacht und sein Licht, die Geliebte.
(Novalis, Schriften, Die Werke Friedrich von Hardenbergs. Band 1, Stuttgart 1960–1977, S. 134)
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