In Marocco Hollande è raffigurato come Hitler. La deriva dell’islamofobia francese
Hollande è stato rappresentato con baffetti alla Hitler da un giornale marocchino. Che storia è questa? Perché ha senso parlarne? Ecco qualche buon motivo per approfondire la faccenda.
Prendi un presidente la cui precaria popolarità si è risollevata dopo gli attentati a Charlie Hebdo; prendi la parte radicale del mondo islamico che non ha preso bene il messaggio #JeSuisCharlie. Aggiungi tutta un’altra serie di ingredienti come i tratti caratteristici del dittatore nazista e il dibattito sui limiti della libertà d’espressione che non smette di accendere gli animi. Pare evidente che non ci sia bisogno d’ulteriori aromi per ottenere una ricetta che si può servire anche fredda.
Questa è, di fatti, una storia di qualche giorno fa. Per questo la lunga premessa: per ricordare che ci sono storie che non invecchiano, storie che se osservate a qualche giorno di distanza è possibile analizzare con più calma. E c’è un elemento in più: la Germania è una terra in cui l’immagine conta, come abbiamo più volte sottolineato a proposito delle domande di lavoro. E l’immagine di Hitler, non cessa di venire utilizzata. Ma perché proprio Hollande?
Tra le conseguenze dell’attentato alla redazione di Charlie, si è verificata un’ondata di violenze dirette contro la comunità islamica di Francia. Come riportato dall’Huffington Post in versione italiana: “Secondo l’Osservatorio contro l’islamofobia, gli ultimi dati indicano un aumento del 110% rispetto a gennaio 2014 degli atti contro la comunità islamica, con 116 incidenti registrati dopo il primo attentato.” Quest’islamofobia dell’Hexagone, ha contribuito a diffondere un’immagine poco simpatica del suo presidente. E così, il buon Hollande si è nuovamente ritrovato sulla copertina di un giornale: questa volta non con frecciatine provenienti dall’ex moglie, bensì con il titolo “I francesi faranno rinascere i campi di concentramento di Hitler per sterminare i musulmani?” Da notare che i riflettori erano ancora caldi dalla commemorazione della liberazione di Auschwitz.
Il giornale di cui stiamo parlando si chiama “Al Watan Al An” ed è un settimanale marocchino. La copertina incriminata è quella dell’ultimo numero di gennaio, il 29. Al di là delle dichiarazioni del direttore Abderrahim Ariri che afferma come sia la destra che la sinistra francesi siano colpevoli della mancata attenzione verso gli atti islamofobi, sorge spontanea la domanda: in quanti leggono questo settimanale? O meglio, in quanti erano a conoscenza della sua esistenza prima di questa scelta editoriale? Non molti: non si tratta di uno dei principali giornali del Marocco, ha una tiratura sulle 16.000 copie e da quanto pare di capire da Le Figaro ha perso un po’ di smacco nel 2006, dato che è passato da giornale regionale di Casablanca a pubblicazione settimanale. Questo non esclude che Al Watan Al An potrebbe incappare in ripercussioni legali, come il codice marocchino prevede nei casi di offesa pubblica a Capi di Stato (guarda anche il video di France 24).
Ora, su che piano ci dobbiamo interessare della vicenda? Su quello della rampante islamofobia, sull’attenzione mediatica che il settimanale ha ricevuto, sul potere delle immagini? Ci sono due questioni determinanti: la prima riguarda i rapporti diplomatici tra Francia e Marocco, che stanno attraversando un momento difficile. Il momento difficile in questione, dura da un anno e possiamo immaginarci che un Hollande con baffetti e croce uncinata non sarà d’aiuto. La seconda concerne la libertà d’espressione, qui limitata da un codice penale. Sulla prima, non possiamo che lasciare la patata bollente nelle mani delle alte sfere della politica; sulla seconda, siamo tutti chiamati a continuare, a continuare, a continuare e a continuare ad interrogarci.
Come riportato nella bella analisi pubblicata da Jeune Afrique : “Di fatto, gli attentati del 7, dell’8 e del 9 gennaio a Parigi sono paragonati nell’articolo all’omicidio d’un responsabile nazista per mano di un ebreo in Germania, che aveva scatenato la famosa Notte dei Cristalli dal 9 al 10 novembre 1938, durante la quale circa un centinaio di ebrei vennero uccisi e altri 35.000 deportati, prefigurando il genocidio che si stava per verificare.” Dobbiamo allora interpretare il gesto come un grido d’allarme verso atti su cui la stampa e la politica si dovrebbero concentrare di più? Oppure come il segno evidente che queste dimostrazioni verso la libertà d’espressione sono diventate un gioco tra bambini capricciosi?
Come annunciato all’inizio, questa è una storia di qualche giorno fa, che non ha perso il suo valore nonostante i giorni. E, come tutte le buone storie, ci pone degli interrogativi alla cui pressione non ci possiamo sottrarre.