Germania, dottoressa condannata in tribunale per aver “pubblicizzato” l’aborto

In Germania una dottoressa è stata condannata a una multa di 6.000 euro poiché accusata di aver “pubblicizzato” l’aborto sul suo sito web.

Il tribunale di Giessen (Hesse) ha condannato la dottoressa Kristina Hänel al pagamento di una multa di 6.000 euro per aver fornito informazioni relative all’interruzione di gravidanza sul suo sito web. La sentenza è stata emessa venerdì 24 novembre. Tuttavia, la decisione del giudice ha sollevato non poche polemiche nel mondo della politica così come nella società civile.

I fatti

Kristina Hänel è stata condannata al pagamento di una multa di 6.000 euro per aver dichiarato sul suo sito web di eseguire interruzioni di gravidanza. In particolare, la donna – che esercita la professione medica da circa 30 anni – avrebbe pubblicato sulla sua pagina web un elenco di tutte le prestazioni offerte, tra le quali per l’appunto l’aborto. Nella sezione “salute delle donne” è infatti possibile cliccare su “interruzione di gravidanza” e inserire il proprio indirizzo email nell’apposito riquadro. Grazie a questa procedura, si possono ricevere direttamente sulla propria casella di posta elettronica informazioni relative all’aborto, ai rischi e agli effetti collaterali. Il tutto nella massima discrezione e nel rispetto della sensibilità delle pazienti. Tuttavia, le buone intenzioni di Kristina Hänel non sono state comprese dal tribunale di Giessen, che ha condannato la 61enne ad una multa di 6.000 euro per aver violato il paragrafo 219a del codice penale tedesco. Il medico è stato accusato di aver “pubblicizzato” l’interruzione di gravidanza a scopo di lucro. La donna era già stata denunciata in passato per lo stesso motivo, ma il pubblico ministero aveva ritenuto che la dottoressa non fosse al corrente della normativa vigente, e si era pertanto limitato a informarla e ad archiviare la pratica.

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Il paragrafo 219a del codice penale tedesco

Il paragrafo 219a del codice penale tedesco dispone delle limitazioni in materia di aborto. Per la precisione, è vietata la divulgazione di informazioni relative all’interruzione volontaria di gravidanza allo scopo di ottenere vantaggi di natura economica. Pertanto, chiunque “pubblicizzi” l’aborto è punibile con una sanzione pecuniaria, o con la reclusione fino a due anni. La legge risale al 1933, e non sono in pochi in Germania a considerarla obsoleta.

Le reazioni

Il giudice ha condannato il comportamento di Kristina Hänel non solo perché contrario alla normativa vigente, ma anche perché la dottoressa avrebbe trattato la materia “in modo del tutto naturale, come se fosse un’operazione all’appendice”. “Non riesco a credere che un giudice non conosca la differenza tra informazione e pubblicità” ha dichiarato l’avvocato difensore Monika Frommel a SPIEGEL ONLINE. “Il verdetto è contradditorio e ignora i diritti di tutti i soggetti coinvolti.” Ha inoltre aggiunto che non solo le donne, ma anche gli stessi medici, dovrebbero essere informati dettagliatamente sulle modalità e sui luoghi dove poter interrompere una gravidanza. L’imputata, che fino al giorno del processo si è rifiutata di rilasciare interviste, ha in seguito affermato: “Ne ho semplicemente parlato, ho rotto un tabù. Sono un medico e voglio che le donne abbiano il diritto di essere informate.”

Le reazioni delle associazioni e della politica

Prima del processo Kristina Hänel ha lanciato una petizione online dal titolo “Il diritto all’informazione per le donne in materia di aborto”. Ad oggi la petizione ha raccolto quasi 132.000 firme. Molte personalità della politica si sono schierate a sostegno del medico, tra cui Ulle Schauws (I Verdi), che ha sottolineato la responsabilità collettiva nell’appoggiare le conquiste del movimento femminista. La frazione di sinistra del Parlamento tedesco ha già in progetto la soppressione del 219a. Il suddetto paragrafo, infatti, è stato ignorato nel corso degli anni, sebbene la normativa in materia di aborto sia stata soggetta a cambiamenti significativi. Col tempo si è quindi creata una situazione normativa contraddittoria: i medici sono legittimati a interrompere gravidanze, ma non dovrebbero offrire pubblicamente questo servizio. Anche l’associazione Pro Familia ha chiesto la soppressione della clausola, in quanto quest’ultima continua a “criminalizzare medici in modo ingiustificato.”

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Immagine di copertina: © Bgmfotografia CC0