Come funzionano le associazioni per la coltivazione della cannabis in Germania? Intervista a Patrick Albertini
La legalizzazione della cannabis passa attraverso le associazioni. Ne parliamo con Patrick Albertini, tra i fondatori di Grüner Bär e.V.
Da più di un anno il parlamento tedesco ha approvato il Konsumcannabisgesetz (KCanG), la legge che regola la legalizzazione della cannabis in Germania. La coltivazione e la vendita del prodotto sono affidate alle Anbavereinigungen, specifiche associazioni senza scopo di lucro. Ad oggi solo poche associazioni hanno ottenuto l’autorizzazione per iniziare la produzione: difficile e lungo è l’iter burocratico necessario per ottenerla. Cerchiamo di approfondire la questione con Patrick Albertini, un fotografo che ha creduto fin da subito nel progetto fondando l’associazione Grüner Bär e.V.
Cosa sono e come funzionano le associazioni di coltivazione?
Le associazioni di coltivazione sono e.V. (Eingetragener Verein), cioè associazioni senza scopo di lucro. Per fondare un’associazione ci si deve innanzitutto rivolgere a degli avvocati perché si deve avere una Satzung, una costituzione che regolamenta tutto quello che farà la Verein. Nel nostro caso abbiamo fatto un grosso lavoro con degli avvocati che si sono specializzati in questo settore per poter fondare questa associazione e disporre di tutte le possibili modalità di movimento (non possiamo fare profitto alla fine dell’anno). Per fondare un’associazione servono sette persone, di cui due sono i Vorstand (i presidenti). La costituzione – approvata dal consiglio dell’associazione – va davanti al tribunale. Questo esamina ogni singola costituzione per verificare che sia tutto a norma di legge, e dopo può registrare l’associazione. Per diventare Anbauverein si deve presentare la domanda ad un organo specifico del proprio Land.
Da marzo 2024 abbiamo intrapreso questo iter. Il lavoro di quest’anno è stato soprattutto burocratico. Abbiamo dovuto fare una serie di interventi che sono costati tempo e soldi.
Quanto è stato difficile ottenere l’autorizzazione per la coltivazione? Quali sono gli snodi più complicati che avete incontrato nel vostro percorso?
È un percorso veramente difficile. Noi siamo all’interno di una rete che comprende la maggior parte delle associazioni che stanno provando ad ottenere la licenza e sappiamo che tanti hanno rinunciato. Da un lato perché si è costretti a fare no profit, dall’altro perché si soffre la concorrenza delle farmacie. Queste offrono il prodotto tramite semplici ricette online e senza limiti di grammatura; addirittura possono spedire a casa. Se le farmacie non sembrano avere limiti, i club sono invece molto controllati. In realtà è necessario entrare in un’ottica diversa e considerare i club in un piano diverso rispetto a quello delle farmacie. Tra gli obblighi che i nostri membri hanno c’è quello di collaborare nell’associazione. Ad esempio, in Brandeburgo è richiesto che i membri per sei ore all’anno partecipino attivamente alla coltivazione. Organizzeremo quindi dei workshop dove i nostri membri possono venire e dare una mano. È un concetto diverso rispetto al semplice consumo di erba. Inoltre la qualità che possiamo garantire con la nostra produzione non è minimamente paragonabile alla farmaceutica, che si rifornisce per la maggior parte dall’estero. Facciamo ricerca delle genetiche più in auge in Spagna, California e Olanda e vorremmo con il tempo creare le nostre piante madri, in modo da sviluppare le nostre genetiche.
Il passaggio più difficile è stato la presentazione della domanda. Abbiamo dovuto redigere diversi concetti obbligatori su sicurezza, qualità, tracciabilità, prevenzione giovanile e formazione. Siamo stati chiamati a scrivere e adattare oltre 20 SOP (Standard Operating Procedures), manuali e concetti richiesti dalla legge; ogni passaggio della produzione deve essere descritto e documentato. Abbiamo dovuto realizzare un impianto produttivo secondo standard di sicurezza elevati (impianti anti-incendio, sistemi di allarme, videosorveglianza).
C’è quindi una serie di requisiti che va raccolta nella domanda ufficiale da presentare alla LAVG (ufficio nazionale per la protezione del lavoro, dei consumatori e della salute). È quello il passaggio cruciale? Il passaggio che detta i tempi dell’intero percorso?
Ad esempio, in Baviera hanno dato le prime licenze solo due settimane fa. In Brandeburgo siamo invece stati fortunati: abbiamo inviato la domanda domenica sera e lunedì mattina ci hanno immediatamente richiamato. Si sono fin da subito dimostrati molto disponibili e collaborativi. Ci sono quindi delle evidenti differenze territoriali, come spesso avviene in Germania.
Richiedendo degli standard altissimi, è il procedimento stesso che richiede questi tempi? Oppure la legalizzazione è una macchina che non ha ancora iniziato a carburare?
I funzionari che analizzano le domande sono state assunti specificamente per questo compito. La legge è entrata in vigore da aprile 2024. Da luglio le associazioni hanno potuto presentare la domanda. Se è stata presentata tutta la documentazione, gli uffici hanno al massimo tre mesi per concedere la licenza. Per i primi mesi dopo la legalizzazione abbiamo navigato nel buio alla ricerca di informazioni. È un lavoro pionieristico: nessuno aveva informazioni. C’è un continuo confronto con le istituzioni per capire come muoversi. Le interpretazioni della legge sono multiple e quindi abbiamo posto alle istituzioni delle problematiche e spunti. Il procedimento è costantemente in via di sviluppo. In più ogni Land ha una sua linea, quindi se riceviamo delle informazioni da altri Land possono non andare bene per il Brandeburgo.
All’inizio sembrava che potessimo partire immediatamente con la produzione, ma in realtà prima di partire abbiamo dovuto sostenere un enorme carico burocratico e ingenti investimenti economici, completamente autofinanziati dai fondatori e senza entrate sicure. Inoltre, trovare un capannone non è assolutamente facile perché siamo comunque sempre visti come produttori di droga: c’è uno stigma che continua ad agire. Devono poi essere rispettate delle restrizioni urbanistiche – come la distanza di almeno 200 metri da asili, scuole, club giovanili e parchi giochi – e ciò rende difficile trovare un luogo per la produzione e la distribuzione. Oltre a ciò, dobbiamo rispettare il divieto assoluto di pubblicità e promozione diretta: ogni contatto con i futuri soci deve avvenire nel rispetto di norme molto rigide. Siamo delle associazioni, ma in realtà siamo costretti a mettere su delle vere e proprie imprese.
Nella vita sei fotografo di professione. Non essendo direttamente legata alla tua professione, come nasce l’idea di fondare un’associazione di coltivazione?
Ho lavorato per anni con Rototom Sunsplash, il più grande festival Reggae in Europa. Ho avuto sempre una passione per il mondo della cannabis. Alcuni miei amici in Italia coltivano da alcuni anni CBD. Appena si è parlato di legalizzazione in Germania abbiamo considerato la possibilità di sviluppare questo progetto per portare avanti questa passione e magari per trasformarla in qualcosa di più in futuro. Siamo partiti io e un mio amico, abbiamo capito come funzionava e abbiamo trovato altre persone a Berlino per costituire l’associazione.
Quali sono i valori e le prospettive che guidano questo progetto?
La nostra missione è semplice: coltivare cannabis di alta qualità per uso personale dei nostri soci, in modo legale, trasparente, sicuro e rispettando rigorosamente tutte le norme previste dalla nuova legge tedesca. In primo luogo, abbiamo deciso di puntare sulla massima qualità del prodotto tramite selezione genetica, coltivazione naturale e senza contaminazioni. A differenza della farmaceutica – che si limita a rispettare una determinata percentuale di THC – noi intendiamo completare il percorso di maturazione della pianta, così da sfruttarne il massimo potenziale. Vogliamo proporre un’esperienza diversa rispetto alla farmacia. Vogliamo inoltre garantire legalità e trasparenza totale: ogni fase, dalla semina alla distribuzione ai soci, deve essere regolamentata, documentata e controllata. Crediamo poi in un’idea di comunità: il socio non è solo un consumatore, ma parte integrante dell’associazione ed è chiamato a contribuire attivamente alla crescita del progetto. Vogliamo essere un punto d’incontro sfruttando la possibilità a noi concessa di fare informazione. Vogliamo portare la gente a capire perché fumare e creare una comunità appassionata che venga in associazione e abbia voglia di sporcarsi le mani. A tutto ciò vogliamo affiancare attività di educazione e prevenzione: ogni socio riceverà una formazione sul consumo consapevole e sulla responsabilità personale. Il nostro obiettivo è diventare un punto di riferimento non solo per la qualità del prodotto, ma anche per l’approccio responsabile e comunitario al consumo di cannabis a Berlino.
È tutto un work in progress. Una legalizzazione in questo modo non è minimamente paragonabile ai casi di Stati Uniti, Olanda o Spagna. Adesso il nostro obiettivo è attirare membri. Il divieto di pubblicità è assoluto, ma l’informazione non è pubblicità. Siamo chiamati a rimanere nell’ambito informativo e a non incentivare il consumo.
Avete di fronte a voi la possibilità di fare un’importante opera di sensibilizzazione, che permetta di comprendere i lati positivi e negativi del consumo di cannabis, al di là dei pregiudizi che ancora oggi dominano nella nostra società.
Assolutamente. In alcuni casi si possono però già incontrare persone aperte. Ad esempio, il proprietario dello stabile ci ha appoggiato fin dall’inizio. Andando contro i vicini, ha creduto nel nostro progetto senza pregiudizi. Nell’epoca che stiamo vivendo è tutto molto complicato. Nonostante tutto, siamo riusciti a creare un progetto serio, innovativo e solido, pronto ad affrontare le sfide di un mercato ancora in fase di definizione. Come previsto dalla legge, il nuovo governo ha fissato ad ottobre una rivalutazione per vedere gli step successivi. Nel caso di una legalizzazione totale, noi abbiamo la possibilità di essere già ben avviati.
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