Colori, fantasia e creazioni di ogni tipo. Textile Art 2015: la fiera dell’arte tessile di Berlino
Molte persone hanno carisma. Energia, consapevolezza, magnetismo; basta un loro sguardo. Il fascino è il lato più accattivante e soggettivo del carisma. Emerge da piccoli gesti ipnotici. Ed inevitabilmente quando si è catturati una volta dalla malia di quella persona si può star certi che la successiva si ricadrà nello stesso gioco. Tutto questo è abbastanza comune. Raro è invece trovare la miscela di carisma, fascino ed eleganza. Con i suoi occhi accesi e le sue delicate parole sussurrate alla francese, Nathalie Wolters appare come un perfetto sommario di questi retroscena umani. Nella sua fiorita casa-atelier di Rummelsburg, l’artista, psicologa e gallerista racconta di lei e della kermesse che sta per avere luogo: la Textile Art Berlin, fiera dell’arte tessile che vedrà affiancati artisti provenienti da tutto il mondo a sottoscrivere un’unica petizione: l’arte e l’artigianato sono per tutti. Esposizioni, installazioni, workshop saranno il cuore di queste due giornate tessute sui colori del mondo, all’interno della Carl-von-Ossietzky-Schule di Kreuzberg.
Come hai iniziato questa attività?
Sono un’artista tessile, ma nasco in realtà come psicologa. Ho sempre lavorato con tante persone differenti in vari progetti, per la haute couture in Francia, progetti in giro per il mondo. Poi sono poi venuta a Berlino, dove ho capito come l’arte tessile fosse naturale conseguenza della tradizione artistica. Ho cominciato a dare lezioni di antiche tecniche di tessitura rivisitate, imparate durante i miei viaggi in oriente e in Europa. È stato un successo, la gente si interessava sempre di più. Così ho partecipato a diverse fiere in Germania, imparando la lingua, conoscendo la gente di qui. La sensazione che avevo durante quegli eventi era quella di entrare in una macchina del tempo diretta verso il medioevo: andare di fiera in fiera, incontrare le stesse persone mi dava l’impressione di vivere le antiche feste popolari o i mercati degli artigiani. Tante cose da fare, trasportare oggetti, mettere su gli stand, una fatica ricompensata dall’ incontrare tante persone. Mi piaceva molto. Ma poi questi eventi sono diventati sempre più cari per gli espositori. Mio allora marito mi disse: inventiamoci una fiera dove gli artisti paghino poco e soprattutto apriamo le porte ai giovani. Così è nata l’dea. Accostare signore che cuciono da decenni e portano con sé tradizioni centenarie a giovani artisti volenterosi di accogliere quelle informazioni tessendole con la propria creatività. Come riuscire a creare un evento “democratico”, senza confini economici? Abbiamo riflettuto: l’unico posto abbastanza grande, coerente ed economico era una scuola.
La fiera è all’undicesima edizione. Può dire di essere cresciuta con lei?
Sì, siamo cresciute insieme. Sento di aver imparato come artista e come psicologa, le due parti sono sempre collegate. Stare a stretto contatto con gli altri migliora ogni nostro aspetto. E iniziammo nel 2008, qualche anno direi! La cosa che più mi gratifica è che i primi allievi, i primi partecipanti alle lezioni ora tornano più specializzati che mai, formati da questa esperienza e si mettono a disposizione per aiutare. È una dinamica simbolica, fatta di scambio, di condivisione, di passaggio di competenze e di aiuto reciproco. Ed è cosi che si lavora per realizzare questo evento, come in un teatro, un anno di preparazione, una mezza giornata di allestimento e due pazzi giorni di divertimento per tutti. Un’atmosfera unica. Con undici anni di duro lavoro alle spalle.
I progetti esposti?
Ce ne sono di diversi tipi. Oltre alle mostre abbiamo anche progetti sociali. Dei bambini del Ghana ad esempio hanno realizzato bellissimi batik, splendide tessiture. Un’altra iniziativa che ho molto a cuore è stato realizzato in collaborazione con donne con problemi di debiti, che dovrebbero lavorare per evitare la prigione. Ci saranno workshop tenuti da queste donne e mostre fotografiche sulla loro vita. Diventa così un reportage, un modo di riflettere sulla loro condizione. Chi verrà vedrà come abbiamo tenuto a rappresentare tutti gli aspetti dell’arte tessile, dai più leggeri ai più delicati. Ci sono così tante tecniche, così tante possibilità e tante storie da raccontare.
Guardando questi lavori si intuisce come il mero artigianato sia qualcosa di ben lontano…
Non ci sono confini a parer mio tra arte e artigianato. Uno è riflesso dell’altro. Dipende dal tempo in cui l’oggetto viene osservato. Anche uno strumento col cambiare dei concetti estetici ora può esser visto come arte. Ma nell’artigianato artistico oltre alle idee, come nell’arte tout court, c’è l’elemento fisico, il coinvolgimento delle mani che creano, che producono oggetti reali e utilizzabili volendo. Rispetto al passato abbiamo anche la distanza come strumento di giudizio. Ho lavorato in Afghanistan molto tempo fa come assistenze per una ricerca archeologica e nel frattempo imparavo dalla gente di lì la loro arte tessile. E quando cambiavo medium e iniziavo a dipingere, tutto questo riemergeva. Riporto spesso sulle mie tessiture i motivi che trovo dipingendo, sono una pittrice astratta. Ma avviene anche il contrario. Uso le tecniche che ho imparato per poi dar loro il mio senso. Questo mi fa stare bene, è come una terapia. Anche realizzare miniature e gioielli diventa per me pura meditazione: per fare questi monili serve una concentrazione ed una precisione disarmanti che portano ad un riavvicinamento col proprio io. Anche qui uso inconsciamente tecniche differenti che arrivano dall’Oriente e dall’America degli anni ’40, le mie mani rendono reali quei ricordi.
Qual è la cosa più importante di questo evento?
La globalizzazione sta uccidendo la diversità di saperi. L’Europa è sempre stata punto di riferimento per ogni tipo di esperienza artistica, ha sempre coinvolto e rivaluto le altre esperienze culturali, anche nel campo tessile. Nelle scuole questo messaggio sembra essere vanificato. E non c’è più condivisione, i know hows non passano più il testimone. Ma grazie queste determinate esperienze sta rinascendo la tendenza che va a rivalutare l’arte come lavoro manuale, nel tessile, nell’oreficeria, nelle cosiddette arti minori e viene dalla necessità di usare le proprie mani per realizzare un prodotto di cui si vede la nascita, senza intermediari. Piace anche ai più giovani questa idea, basta vedere le ragazze e i ragazzi che fanno l’uncinetto in metro usciti da scuola o lavoro, è sintomatico di una situazione che spinge per riemergere, dovuta anche alle condizioni di chiusura sociale. L’arte, l’arte tessile, l’artigianato sono alla fine dei conti una pratica artistica, utilitaristica, psicologica.
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Su di una superficie di 4000 mq 24 mostre, 26 workshop, letture, film apriranno ai visitatori e partecipanti mille texture stratificate su livelli diversi. 125 palchi offriranno materiali esclusivi per chi ama il fai da te e l’arte, per lo stilista o il designer più esigenti o per il semplice amane del cucito. Tra gli artisti italiani il talento bergamasco Guido Nosari. Uno dei partner principali sarà Dawanda, fucina di creatività sempre più dilagante. Tra gli espositori anche scuole della città, come la Best Sabel Design School.
Dove passare il prossimo weekend?
Textile Art Berlin | Zeitgenössische Textilkunst – Messe, Ausstellungen, Workshops, Modenschauen
27 – 28 giugno 2015 | Scuola van-Ossetzky, Blϋcherstraβe 46-47, 10961 Berlin-Kreuzberg (U7 Südstern)
Biglietti: 1 giorno 9 euro | 2 giorni 15 euro (riduzione per disoccupati, studenti e ragazzi fino a 16 anni, con valide certificazioni)
Foto copertina (C) Textile Art Berlin/Facebook/Workshop von Isabelle Cellier: