Canto del destino di Iperione di Friedrich Hölderlin

Nella dolorosa oscurità vaga l’uomo, mentre gli Dei incedono sereni nella luce dorata: il Canto del destino di Iperione di Friedrich Hölderlin (1770-1843) è una lirica tragica, dalla struggente forza espressiva, scritta dal poeta nel 1798 e inserita poi nel romanzo l’Iperione o L’eremita in Grecia. Il poeta contrappone in maniera netta le prime due strofe, radiose e distese, che rappresentano il mondo degli Dei, alla terza, più concisa e angosciante, come solo il mondo degli uomini può essere. Nessuna possibilità di fusione, né di avvicinamento qui, la scissione è insanabile. Sarà il compositore Johannes Brahms nel 1871 con il Schicksalslied (Canto del destino) per coro e orchestra, op. 54, su testo di Hölderlin, a superare la cupezza dell’ultima strofa della lirica, concludendo la composizione con note di speranza e di luce.

 

Friedrich Hölderlin, Canto del destino di Iperione – 1798

 

Voi errate in alto, nella luce

    su tenero suolo, genii beati!

       Splendidi aure divine

         vi sfiorano leggere

           come le dita dell’artista

              le sacre corde.

 

Sciolti dal destino, come il poppante

       che dorme, respirano gli immortali;

          pudico, in boccio timido avvolto

             eterno fiorisce per essi lo spirito,

                 e gli occhi beati guardano

                     in placida eterna chiarità.

 

Ma a noi è dato

    in nessun luogo trovar pace,

       dileguano, cadono,

          nel dolore gli uomini

              ciecamente

                 di ora in ora,

                     come acqua da pietra

                        a pietra lanciata,

                           senza mai fine, giù nell’ignoto

 

(Friedrich Hölderlin, Canto del destino di Iperione, in Le liriche, a cura di Enzo Mandruzzato, Milano, Adlephi, 1977, seconda edizione 1993)

 

 

Friedrich Hölderlin, Hyperions Schicksalslied – 1798

 

Ihr wandelt droben im Licht

  Auf weichem Boden, selige Genien!

     Glänzende Götterlüfte

        Rühren euch leicht,

          Wie die Finger der Künstlerin

             Heilige Saiten.

 

Schicksallos, wie der schlafende

   Säugling, atmen die Himmlischen;

     Keusch bewahrt

       In bescheidener Knospe,

           Blühet ewig

             Ihnen der Geist,

               Und die seligen Augen

                  Blicken in stiller

                      Ewiger Klarheit.

 

Doch uns ist gegeben,

    Auf keiner Stätte zu ruhn,

      Es schwinden, es fallen

           Die leidenden Menschen

             Blindlings von einer

                 Stunde zur andern,

                   Wie Wasser von Klippe

                      Zu Klippe geworfen,

                          Jahr lang ins Ungewisse hinab.

 

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Immagine di copertina: © Screenshot Youtube