Automat Bar, il leggendario bar di Berlino dove non c’era personale eppure era sempre pieno
Alla scoperta di un luogo icona di un futuro passato di Berlino
Era il 2002, l’euro era stato introdotto solo da pochi mesi, le banconote erano ancora rigide e le monete lucide. Non tutto funzionava già con l’euro, anzi, poche cose. L’Automat ad esempio funzionava ancora con i vecchi marchi che si potevano cambiare all’entrata. Nessuno lavorava all’Automat bar. Non è una lamentela la mia, ma una scelta dei fondatori. Questo lo rende uno dei progetti più ambiziosi di quei tempi e non è un caso che fosse nato a Berlino.
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Mitte, il distretto centrale della città, era mezzo vuoto a inizio millennio. Per strada c’era poca gente e c’erano pochi colori, molto grigio e la vita costava poco. Berlino non piaceva a nessuno. Quando andavo in Italia e dicevo dove vivessi, la domanda era sempre la stessa: “Perché? Che ci fai in una città così brutta?”. Sembrava una metropoli abbandonata, ma è in posti come questi che si trovano le condizioni giuste per le idee più strane. Servono lo spazio fisico e mentale, sapere che nessuno ti guarda o ti giudica. L’arte ha bisogno di spazio per fiorire e a Berlino ce n’era tanto.
L’Automat era un bar che funzionava tramite macchine che rendevano l’esperienza completamente automatizzata. Per questo era sempre aperto. Era all’angolo tra la Neue Schönhauser Str. e la Münzstraße, dove prima del crollo del muro c’era una gelateria. Si entrava con una carta magnetica che segnalava la web, in modo che gli altri membri sapessero chi ci fosse al bar. Anche le telecamere di sorveglianza erano collegate con il sito internet. Oggi sembra una follia, ma era un tempo in cui se volevi vedere qualcuno dovevi fare una telefonata. Dai distributori automatici si poteva avere birra, superalcolici e perfino degli snack, ma la cosa interessante era il video-audio-jukebox. Si poteva scegliere tra diverse entertainment units che consistevano in diverse tracce electro. Non c’era un barman. Il bar era quindi rivolto verso la finestra con quattro schermi appesi sopra, collegati con le telecamere esterne. C’era un computer con accesso ad internet che potevano usare tutti, oltre a 4 collegamenti per chi avesse voluto usare il proprio computer. Era un posto per tutti: da chi veniva la mattina per organizzare le riunioni o a prendere un caffé, fino ai falchi notturni che venivano a farsi passare il fischio nelle orecchie dopo il club prima di tornare a casa.
Non c’era molto da vedere nelle strade di Mitte, ma quando calava la notte la luce degli schermi sui visi di chi stava la bar mi ricordava i racconti di William Gibson. Le strade scure con tanti edifici vuoti e le insegne al neon sulle mura segnate dalle bombe erano lo scenario ideale per questo progetto cyberpunk. Dalla finestra si vedeva la Berlino con le ossa rotte ma in piena ricostruzione. La Ringbahn stava per essere riunita dopo 40 anni come altre linee. Berlino non aveva un passato ammirevole dove potersi rifugiare come altre città europee. Quindi si poteva guardare solo avanti, e dopo aver buttato giù il muro si guardava al futuro con più ottimismo. L’Automat era l’espressione di quell’ottimismo nel futuro e nella tecnologia che ci avrebbe dato la forza di abbattere gli altri muri rimasti.
Aveva quel flair di post-apocalittico che andava d’accordo con la Berlino Est di inizio 2000. Oggi non c’è motivo di esistere per un bar del genere. Sarebbe un ricordo del futuro che potevamo avere ma abbiamo mancato. Oggi i bar si rifanno tutti al passato, il futuro l’abbiamo visto, non ci è piaciuto e adesso ci guardiamo indietro con malinconia.
Ancora oggi non so i motivi della chiusura dell’Automat. A me piace pensare che rispecchiasse alla perfezione la Berlino di quei tempi, che quando è sparita, l’Automat è sparito con lei.
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