I 10 più famosi emigrati tedeschi negli Stati Uniti: prima parte
I più famosi emigrati tedeschi costretti a fuggire negli USA a causa delle loro origini ebree durante la dittatura nazista
Rifugiati in fuga da persecuzioni, migliaia e migliaia di persone in difficoltà alla ricerca di un futuro migliore, campi profughi senza confini, vita in clandestinità… Queste sono le prime immagini che, almeno oggigiorno, si collegano alla parola emigrazione. Quello a cui non si pensa spesso sono però altri emigrati: quelli famosi. Storicamente non sempre la fama o una carriera di successo hanno garantito stabilità. Al contrario, queste hanno spesso fatto partire gogne mediatiche che hanno costretto personaggi affermati ad abbandonare il loro paese. Ci concentreremo soprattutto sugli emigrati tedeschi della seconda guerra mondiale, periodo durante il quale avere pensieri propri ed essere dei “Querdenker” (anticonformisti) poteva costare la vita.
Hannah Arendt (1906, Hannover – 1975, New York): politologa e filosofa
La prima, tra i vari emigrati tedeschi che tratteremo, è Hannah Arendt, filosofa umanista degna di nota. Si stabilì a New York, dove lavorò come giornalista e docente universitaria. Scrisse molte opere di teoria politica e fece attivismo nella comunità ebraica tedesca locale. I suoi amici più stretti la descrivevano come piena di “vitalità elettrica“, cosa che si rifletteva nelle feste che organizzava nel suo appartamento di Manhattan.
“Alla festa di Capodanno di Hannah Arendt gli intellettuali del West Side con background europeo si riuniscono nella stanza dei liquori e dei cioccolatini. Quelli del West Side con background americano sono invece nella stanza del whisky”. Così John Curry, giornalista del New York Times.
Albert Einstein (1879, Ulm – 1955, Princeton): fisico
Anche Albert Einstein, fisico rivoluzionario, ha dovuto rinunciare alla cittadinanza tedesca e rifugiarsi negli Stati Uniti. Quando Hitler salì al potere nel gennaio 1933, aveva già ricevuto il Nobel per la fisica e si dedicava anche alla filosofia e alla politica. La notorietà delle sue teorie lo rese un bersaglio del regime nazista.
Secondo il nazismo, i suoi libri costituivano la “fisica ebraica” e dovevano quindi essere bruciati nei roghi. Per confutare la sua teoria della relatività, la dittatura nazista arruolò altri fisici premiati per scrivere il libro “Cento autori contro Einstein”. Quando gli fu chiesto di commentare questa denuncia, Einstein rispose che per sconfiggere la relatività non serviva la parola di 100 scienziati, ma solo un fatto.
Nel dicembre 1932, lasciò per sempre la Germania dopo che la sua foto comparve sulla copertina di una rivista con la didascalia “Non ancora impiccato”. C’era una taglia sulla sua testa. Era arrivato il momento di fuggire. Una volta emigrato, la sua casa fu trasformata in un campo giovanile nazista.
All’ingresso negli USA gli è stato chiesto di dichiarare la propria appartenenza razziale: “Umana”, ha risposto. Ha assunto la cittadinanza americana ed è rimasto a Princeton (New Jersey) fino alla morte, per fare ricerca presso l’Institute for Advanced Study. Questo istituto divenne presto una mecca per i fisici di tutto il mondo. Sui giornali si leggeva: “il papa della fisica ha lasciato la Germania, Princeton è il nuovo Vaticano”.
Thomas Mann (1875, Lubecca – 1955, Zurigo): scrittore
Anche Thomas Mann – autore di celebri opere come il romanzo I Buddenbrook – è stato costretto all’esilio. Dopo il riconoscimento del Nobel per la letteratura, segnò il suo destino durante la sua ultima conferenza all’Università di Monaco. Era il 1933, anno dell’ascesa al potere di Hitler.
Anche se sapeva a cosa andava incontro, lo scrittore ebbe comunque il coraggio di criticare i legami tra la dittatura nazista e la musica di Wagner – di cui era un grande appassionato. Queste sue dichiarazioni infastidirono non poco i sostenitori del Führer. Si trasferì quindi prima in Francia, per passare poi a Zurigo e infine agli Stati Uniti. Accettò una cattedra presso l’Università di Princeton, dove conobbe altri importanti emigrati tedeschi, come il fisico Einstein.
«Ora che ho detto quanto avevo da dire, il mio comportamento rimarrà immutato: continuerò a fare il mio lavoro e lascerò che sia il tempo a confermare il mio presentimento che dal nazionalsocialismo non può derivare nulla di buono. Ma la mia coscienza si sarebbe sentita a disagio non avessi formulato tali opinioni» così Thomas Mann in una lettera a Herman Hesse. «Rivedrò l’Europa? Dubito. E in quali condizioni la rivedremo, dopo questa guerra, la cui conclusione mi sembra assolutamente imprevedibile, irrazionale, irrealizzabile?»
Theod0r W. Adorno (1903, Francoforte sul Meno – 1969, Svizzera): sociologo e musicologo
Ultimo, ma non meno importante, questo filosofo, sociologo e musicologo tedesco. Dopo essere stato in esilio a Parigi, Oxford e infine negli Stati Uniti, tornò in Germania per diventare uno dei maggiori esponenti della Scuola di Francoforte. Si tratta di una corrente di pensiero rivoluzionaria del Novecento che si basava sui pensieri di Hegel, Marx e Freud.
Prima della guerra, Adorno frequentò a Berlino dei circoli marxisti alternativi in cui conobbe altri artisti costretti poi a fuggire – come il filosofo Ernst Bloch o il drammaturgo Bertolt Brecht. Allo stesso tempo fu invitato dagli intellettuali di sinistra di Francoforte a partecipare alle riunioni di un circolo chiamato “Kränzchen“.
La carriera di professore all’Università di Francoforte si concluse dopo che il regime nazionalsocialista gli revocò l’autorizzazione di insegnare a livello accademico. Come molti altri intellettuali del suo tempo, sottovalutò il Nazionalsocialismo. In una sua lettera si legge “C’è pace e ordine, credo che le condizioni si consolideranno.”
A differenza degli altri emigrati tedeschi riportati, Adorno tornò subito in Germania terminata la guerra. Sentiva nostalgia di casa e della lingua tedesca, che per lui aveva una “speciale parentela con la filosofia”. Il suo pensiero “non poteva essere staccato dalla lingua tedesca”. Si cominciò quindi ad occupare di sociologia e sviluppò la Scuola di Francoforte. La sua teoria critica si opponeva al mondo moderno burocratizzato e meccanizzato. Furono pensieri che interessarono soprattutto le giovani generazioni, ma ciò nonostante Adorno si oppose sempre agli atti violenti del movimento studentesco del 1968.
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Immagine di copertina: foto di Leni